Il protezionismo è fallace e logicamente insostenibile. La filosofia economica protezionista è ritornata in voga con la politica economica di Trump negli Stati Uniti e con gli slogan artati dei movimenti sovranisti e populisti in Italia e nell’intera Europa.
Quante volte abbiamo sentito frasi come “consumate italiano”, “mangiate italiano”, “comprate italiano”? Troppe volte, specialmente nelle battaglie di due politici nostrani come Giorgia Meloni o Matteo Salvini. Ovviamente i prodotti italiani sono delle eccellenze, ma è giusto che nella logica del libero scambio, nel mercato aperto, entrino in concorrenza con altri prodotti esteri.
Prendiamo come naturale l’attitudine dell’uomo al libero scambio. Da questo postulato ne consegue che il protezionismo è innaturale, disumano e deleterio.
La dimensione del libero mercato si adegua al meglio alla struttura naturale dell’essere umano. In questa struttura economica estremamente raffinata ciò che ha una priorità ontologica e reale è la mutua interazione tra produttore e consumatore, tra acquirente e venditore. Gli effetti aggregati delle decisioni (decisionismo) dei singoli individui sono descritti dalla Legge della Domanda e dell’Offerta. Un mercato lasciato libero a se stesso, nonostante i tentativi della manipolazione statale, può garantire dei risultati ed allocazioni di beni estremamente proficui. Cooperazione, libertà, capacità di scelta, interazione, principio di non aggressione, rispetto reciproco… sono questi i principi base su cui si basano le libere transazioni economiche. È il principio morale della “simpatia”, già descritto da Adam Smith nella sua “Teoria dei sentimenti morali”, che valorizza appieno i rapporti tra gli uomini. All’opposto, a livello economico, troviamo Il protezionismo. Questo “demone” deve la sua compiuta strutturazione teorica con il mercantilismo del XVII e XVIII secolo.
Al mercantilismo, si affianca il rafforzamento degli apparati militari dei singoli stati nazionali. I protezionisti ritengono che l’economia può essere salvaguardata attraverso la tutela di prodotti e aziende nazionali e con un poderoso intervento dello Stato pianificatore, l’applicazione di dazi protettivi ai prodotti importati o alle materie prime esportate e il controllo nazionale o internazionale dei cambi, delle monete e del movimento dei capitali (protezionismo non doganale).
Adam Smith, a cui più di ogni altro si deve la prima vera teorizzazione del libero mercato e del libero scambio (liberismo economico), diede il colpo di grazia all’indirizzo di politica economica protezionista. Nella sua opera principale, che segnò l’avvio dell’indipendenza della scienza economica moderna e l’avvio dell’economia politica classica – “La ricchezza delle Nazioni” del 1776 – affermava che è una regola valida per ogni famiglia, così come per una Comunità, non tentare mai di produrre all’interno delle mura domestiche ciò che sarebbe più conveniente acquisire all’esterno. Ciò vuol dire che se una merce può essere acquistata all’estero a un prezzo minore di quello che costerebbe produrla nella madrepatria, sarebbe stolto ostacolarne l’importazione, poiché questo spingerebbe l’industria su strade meno profittevoli di quelle che essa potrebbe trovare autonomamente su mercati diversi.
La stessa idea fu condivisa da David Ricardo con la teoria dei vantaggi comparati. Su Ricardo va fatta una premessa importante. A differenza del suo maestro Smith, il pensatore inglese, non si domandava quali fossero le cause della ricchezza delle nazioni, ma come fosse possibile suddividere il prodotto sociale tra le varie classi esistenti nella società. A chi spettava e come veniva frazionata la ricchezza? La rendita andrà ai rentiers (i proprietari terrieri), il salario ai lavoratori ed il profitto ai capitalisti. David Ricardo, autore di “Principi di economia politica e dell’imposta”, fu un estremo difensore del commercio internazionale. Fu strenuo oppositore delle Corn Laws, provvedimenti aventi valore di legge presenti in Gran Bretagna dal 1815 al 1846 che imponevano dazi all’importazione di cereali. La sua teoria dei vantaggi comparati è l’eredità della teoria dei vantaggi assoluti di Smith. Secondo Ricardo, ogni paese dovrebbe dedicarsi alla produzione di quei beni per i quali ha vantaggi comparati maggiori rispetto ad altri paesi e deve procurarsi con il libero scambio quelli che non ha convenienza a produrre. È il principio del libero mercato, è la regola del commercio internazionale, è il leitmotiv che dona un senso specifico alla nostra realtà economica attuale.