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Abbiamo già mostrato come maggiori controlli e pene più severe non solo non siano un efficace strumento di lotta alla corruzione, ma anzi vadano a detrimento della stessa. A supporto di questa tesi è stata mostrata la forte correlazione tra la classifica Doing Business (che misura la facilità di fare impresa in un Paese) e il Corruption Perception Index (che rileva il livello di corruzione percepita).
Prima di tutto, un paio di precisazioni. La prima: la corruzione ha molte facce. Quando si parla di essa, non si deve immaginare solo il funzionario o il politico che pilotano gli appalti a favore di amici, ma anche i “contributi” richiesti per accelerare una pratica o al contrario per eliminare un ostacolo o la concessione di sovvenzioni improprie; e si potrebbero fare molti altri esempi. Chiaramente, diversi tipi di corruzione richiedono diversi strumenti di prevenzione e repressione. La seconda precisazione, forse più importante, è che correlazione non significa causalità.
Le più autorevoli ricerche in materia di corruzione ne legano la diffusione al grado di povertà in un Paese (misurato tramite il PIL pro capite), alla scarsa istruzione della popolazione, all’inefficienza delle istituzioni politiche presenti e a fattori storico-culturali; il ruolo della sovra-regolamentazione è al più marginale, inserito nel più ampio contesto politico-istituzionale. Il punto non è sostenere che l’unica causa della corruzione sia la proliferazione di leggi e regole, ma confutare il ragionamento opposto, fallace e molto pericoloso, più controlli = meno corruzione. Sia i dati empirici sia la logica indicano che non è così ed anzi una eccessiva regolamentazione, invece di contrastare il fenomeno, lo alimenta.
Partiamo dai dati (del 2015). Della forte correlazione tra gli indici Doing Business (sviluppato dalla World Bank) e Corruption Perception (elaborato da Transparency International) si è già detto, ma allargando l’analisi ad altri indicatori si può evidenziare meglio il rapporto tra corruzione e sovra-regolamentazione:
– L’indice Business Freedom elaborato dalla Heritage Foundation misura i tempi e i costi per aprire/chiudere un’attività o richiedere una licenza; la sua correlazione con il Corruption Perception Index è molto alta, pari a 0,77;
– Il Worldwide Governance Indicator, sviluppato dalla World Bank, analizza la qualità della governance negli Stati, facendo riferimento a 6 dimensioni (a loro volta costruite aggregando dati di vari indicatori e ricerche): Voice and Accountability, Political Stability and Absence of Violence, Government Effectiveness, Regulatory Quality, Rule of Lawe Control of Corruption. Queste dimensioni sono tutte fortemente correlate tra loro e tra le due che più ci interessano, Control of Corruption e Regulatory Quality, l’indice di correlazione è molto elevato, essendo pari a 0,83;
– La dimensione Regulatory Quality aggrega vari indicatori, tra cui quello sul peso della regolamentazione governativa (Burden of Government Regulation) elaborato dal World Economic Forum; anche questo indice più specifico presenta una correlazione statistica positiva, seppure minore (0,34), con la dimensione Control of Corruption.
I dati concreti, insomma, non confermano affatto la tesi che servano maggiori regole, anzi sembrano suggerire la tesi opposta. Come spiegarlo? Vi sono fondamentalmente due ordini di cause: i maggiori incentivi alla corruzione e la maggiore difficoltà nell’individuare le responsabilità individuali.
La lunghezza e la complessità delle procedure burocratiche rappresentano infatti un costo ed un rischio per le imprese, che spesso sono costrette a operare “al buio” senza sapere se e quando il proprio progetto imprenditoriale avrà successo o meno; in questa situazione di incertezza sui tempi e sugli esiti, aumenta inevitabilmente la propensione a cercare di ottenere certezza sul ritorno dal proprio investimento tramite scorciatoie illegali. Questo per i corruttori. Per quanto riguarda i potenziali corrotti, la ragione è ancora più semplice: aumentando il numero di burocrati con poteri di controllo, aumenta la probabilità che qualcuno tra questi sfrutti il proprio ruolo per negoziare vantaggi privati con l’impresa o il cittadino coinvolti; ancor più se si è inseriti in un sistema che ricompensa poco il merito come l’amministrazione pubblica italiana.
Un numero eccessivo di regole e controlli rende inoltre più difficile individuare chi abbia preso una decisione. Il burocrate disonesto riesce a nascondersi alla vista molto più facilmente in mezzo a una folla di altri decisori e se poi riesce a far sanzionare una pratica illegittima da altri funzionari sarà al riparo da azioni giudiziarie.
L’Italia soffre ancora di un livello di corruzione inaccettabile per un Paese sviluppato e le solite ricette di repressione e regolamentazione non possono ottenere che risultati parziali, quando non sono controproducenti. Come si può affrontare invece il problema in un’ottica liberale? Riconoscendo che la corruzione non è una questione morale, ma bensì di costi/benefici; che più regole e restrizioni si mettono, più i cittadini e le imprese cercheranno di evaderle; e che la responsabilità individuale è fondamentale e deve essere chiaramente identificabile in ogni decisione pubblica.
Solo cambiando il nostro modo di vedere il fenomeno della corruzione, riusciremo a comprenderlo e combatterlo efficacemente.