La globalizzazione non è per tutti

I movimenti socialisti e nazionalsocialisti hanno avuto sempre una certa avversione nei confronti di quel fenomeno chiamato Globalizzazione. La globalizzazione, nel corso dei decenni, ha dimostrato di non avere mezzi termini, ma questi movimenti hanno spesso preferito la linea della lamentela e della critica. Ma loro sono così, preferiscono lamentarsi parlando di sfruttamento, concorrenza sleale, scarsa qualità, delocalizzazione, stipendi al ribasso, Made in Italy in crisi, eccetera eccetera. Ma anziché analizzare quali siano i fattori che rendono il marchio italiano così vulnerabile al libero mercato della concorrenza, si finisce con fare delle proposte come il protezionismo, proibire la delocalizzazione e sussidi.

Ma per queste persone chi sarebbero i colpevoli? Facile, il libero mercato. Quando tutto va male, la colpa è sempre del libero mercato e del liberalismo, poiché complice delle grandi aziende.
Libero mercato vuol dire Libera concorrenza, quindi per rimanere nel mercato devi essere competitivo, altrimenti crolli. Quindi Libero Mercato vuol dire avere dei vincitori e dei vinti e coloro che vengono sconfitti provano rabbia e invidia. In particolare in Italia siamo stati abituati a vivere di sussidi alle imprese, che trascurando l’aspetto cruciale della Ricerca & Innovazione, alla prova dei fatti hanno scoperto di non essere competitivi per la globalizzazione. Chi decide di investire avviando un’impresa deve essere consapevole che per sopravvivere devi vincere la concorrenza e vivere di profitti, perché è l’unico modo sano e trasparente per rimanere nel mercato.

Ci sarebbero anche altri aspetti che contribuiscono a rendere l’Italia poco competitiva nel libero mercato in Italia. Come tutti sappiamo, l’Italia è anche un paese Sindacalista, soprattutto in materia di tutele di lavoratori: quest’ultimi sono stati convinti che sia soprattutto per tutelare il loro posto di lavoro o salario, ma in realtà sono state proprio le regole degli anni settanta-ottanta che hanno reso l’Italia sempre più fragile rispetto al mercato mondiale.
Penso sinceramente che la globalizzazione sia una grande opportunità perché permette alle nazioni, non vaste geograficamente, di poter ambire a grandi profitti che possono soddisfare i commercianti e gli imprenditori italiani. Anche i lavoratori potrebbero godere di questa situazione, se non ricevessero costantemente il lavaggio del cervello dei sindacati. Perché lamentarsi se un datore di lavoro decide di delocalizzare altrove e non protestare contro le tasse che penalizzano la produzione? Perché lamentarsi se il datore di lavoro decide di trasferirsi in Paesi dove i salari sono più bassi e non protestare perché in Italia le tasse sul salario sono così alte?
Questo succede perché siamo abituati a vivere di protezioni e sussidi, perciò alla prima mancanza, chiediamo insistentemente che qualcuno imponga misure per chiudere il mercato.

Ecco perché è necessario uscire da queste logiche sindacaliste per iniziare a diffondere una cultura liberale di piena competizione. È vero, il mondo non è perfetto. Ma non dobbiamo smettere di fare economia aperta solo perché – giusto per fare qualche esempio – la Cina impone salari bassissimi. La globalizzazione è una sfida che si può vincere senza timori se un Governo tiene le tasse basse e permette ai datori di lavoro di investire meglio.

Non credere negli idoli ma ammira i grandi personaggi della storia

Io non sono cristiano, anzi, non sono per niente credente.
E non ho nemmeno commesso l’errore tipico dei socialisti: dare allo Stato il ruolo di Dio.

Partendo da queste due premesse, voglio citare il Primo Comandamento secondo la tradizione cattolica (o il Secondo per la tradizione ebraica): “Non avrai altro Dio fuori di me.

E continua: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque e sotto terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai “. (Esodo/Deuteronomio)

Parafrasando Prager, molte persone quando pensano a questo comandamento, ipotizzano che proibisca unicamente la venerazione degli idoli e degli altri déi; come gli antichi déi pagani della pioggia, della fertilità, della natura in generale, soprattutto le figure di Zeus e Giove. Da quando nessuno crede più in questi déi o venera le loro statue di pietra, quasi tutti ritengono irrilevante questo comandamento.

Sbagliano di grosso. Sbagliano se sono atei/agnostici, perché sostituiscono a Dio un’altra presenza divina. Sbagliano se sono credenti per lo stesso motivo, ma per loro è anche “più grave”, perché il loro Dio dovrebbe essere unico.

Per la questione credente/ateo: Immanuel Kant sosteneva che la conoscenza è solo fenomenica e non noumenica, così come la divinità è vincolata al pensiero essa non è un affare terreno, potrà influire sulla morale per volontà degli uomini che accetteranno questa “religione rivelata“. Credere o non credere alla “chiesa invisibile” è una scelta strettamente personale.

Al giorno d’oggi abbiamo numerosi falsi déi, idoli, celebrità da venerare, squadre di calcio per cui dare la vita; abbiamo il busto di un dittatore con la testa pelata o la fotografia di quello coi baffoni. Concediamo un’aura divina alla razza. Crediamo che il denaro sia una divinità che ci permette di modificare le leggi universali, cerchiamo il potere e l’autorità sopra ogni cosa. Crediamo che un titolo di studi equivalga alla saggezza. Crediamo che il nostro destino sia nelle mani dello Stato, o della Natura, o degli alieni, o… chissà quante altre idiozie vengono gettate nel calderone ogni giorno, pur di non accettare l’azione umana!

Una società senza idoli in Terra, è una Società pronta a diventare aperta e libera.

Ed i grandi personaggi della storia? Anzitutto, non vanno idolatrati, venerati o monumentalizzati. Hanno una funzione molto più utile rispetto all’essere guardati con nostalgia: sono ispiratori. Hanno conquistato le alte vette, cambiato il corso della storia, fatto rivoluzioni, dato vita a meravigliosi pensieri; il modo migliore per rendere loro grazie è studiarli e capirli per mettersi a propria volta in gioco.

Al di là di chi ha avuto fortuna, da cui possiamo imparare ben poco, abbiamo innumerevoli esempi nella storia dell’umanità di individui che con coraggio, passione, impegno e tanto duro lavoro hanno ottenuto ciò che desideravano. Non è un caso che in molti abbiano colto la propria strada dopo aver letto  le Vite Parallele di Plutarco (si pensi ai numerosi letterati italiani che ne impazzivano, o a John S. Mill), Vite dei Filosofi di Diogene Laerzio, l’Anabasi di Senofonte, Declino e caduta dell’impero romano di Gibbon, o persino dopo aver letto le storie di eroi mitici o inventati come Don Quijote di Cervantes, Robinson Crusoe di Defoe, la Teogonia di Esiodo, l’Edda di Snorri.

Se lo scopo dell’Individuo è raggiungere la felicità o l’equilibrio personale tramite l’autorealizzazione, bisogna concedersi qualche attimo di umiltà e imparare da chi è riuscito nell’impresa e/o può essere d’ispirazione, per migliorare, per migliorarsi.

Ti sembra tanto difficile credere in te stesso, anziché in qualcun altro o qualcos’altro? È giunta l’ora della sveglia, la lunga notte del sonno dogmatico dovrà terminare.