Il governo negli affari (3); M.N Rothbard, (For a new Liberty, analisi 2^ parte)

In questa sezione, Rothbard vuole mettere in evidenza l’ingombrante ed asfissiante presenza dello Stato nel settore dei servizi e del mercato, cercando di mostrare le inefficienze dello stesso nell’erogare i servizi e nel voler “raddrizzare” il mercato.

Inizialmente, egli fa notare come lo Stato nel corso del tempo si sia a tal punto identificato con i servizi che eroga che attaccare e criticare lo Stato nel suo operato appare come una critica al servizio stesso. Ad esempio, se si afferma che lo Stato non si dovrebbe occupare di fornire servizi giudiziari, spesso la gente considera ciò una negazione dell’importanza, in questo caso, dei servizi giudiziari. Inoltre, molti potrebbero domandarsi: chi fornirà questi servizi? La risposta di un libertario è ovvia: saranno delle imprese private calate in un contesto di libero mercato a fornire al consumatore tutto ciò di cui ha bisogno.

Rothbard deve però mettere le mani avanti: è impossibile delineare a priori un progetto costruttivo di un qualsiasi settore. Ma, come afferma: «l’essenza e la gloria del libero mercato consistono proprio nel fatto che le ditte e le imprese individuali che competono sul mercato offrono una gamma in costante trasformazione di beni e servizi efficienti». Le aziende hanno grande interesse nel fornire nel miglior modo possibile i servizi e i prodotti di cui gli individui hanno bisogno , altrimenti si troverebbero in breve tempo senza clienti e in bancarotta.
Infatti, nel libero mercato il cittadino è re, è “corteggiato” dalle varie imprese che devono fare del loro meglio, di necessità, per cercare di estendere la loro clientela. Ciò incentiva le imprese a cercare di essere efficienti e a diversificare e trasformare continuamente la loro offerta.

Questa situazione è l’opposto di quella in cui si trova il cittadino nei confronti dello Stato: il cittadino è quasi una “noia”, uno che sta “consumando” le già scarse risorse dello Stato. Lo Stato non è incentivato a diversificare e trasformare la sua offerta e, seppure volesse, non potrebbe farlo in tempi abbastanza rapidi da intercettare nel miglior modo la domanda di servizi. Inoltre, cosa molto importante, in ogni azione dello Stato vi è un fatale divario tra la fornitura di un servizio e il pagamento per riceverlo. A differenza delle imprese private, le quali ottengono i loro fondi attraverso le vendite, lo Stato si finanzia con le tasse forzosamente estorte ai cittadini.

Molti ritengono che lo Stato possa funzionare meglio se fosse amministrato come una azienda. Per Rothbard non c’è nulla di più falso. In primo luogo, come detto sopra, lo Stato si finanzia in maniera totalmente diversa dalle imprese private; in secondo luogo fornisce servizi in regime di monopolio legale, eliminando la concorrenza attraverso la legge; in terzo luogo, grazie ai prezzi che fornisce il libero mercato, le aziende hanno la possibilità di calcolare in maniere efficiente i loro costi per non subire perdite e distribuire servizi e beni in maniere intelligente, cosa di cui lo Stato non può usufruire in maniera genuina rendendo la pianificazione centrale molto faticosa, laboriosa ed estremamente fallibile. Inoltre, poiché in molti casi il servizio statale è erogato in regime di monopolio o semi-monopolio, quindi in una situazione in cui non vi è concorrenza, e poiché lo Stato non può andare in bancarotta o subire perdite, esso deve semplicemente tagliare i servizi o aumentare i prezzi. Nulla di più lontano da come funzionano le imprese.

La soluzione, è solo una: abolizione del settore pubblico. But who will build the roads?

 

Il liberale che salvò Torino dal collasso economico

È il 20 Settembre 1864, da pochi giorni è trapelata la notizia che la capitale d’Italia non sarà più Torino. Scoppia una manifestazione che dura tre giorni, muoiono 62 cittadini e 138 rimangono feriti.

Credete che i torinesi dell’epoca ci tenessero così tanto allo status di capitale? No: stavano per perdere il posto di lavoro. E, non essendoci molto altro a Torino sennonché l’amministrazione, ben 32’000 abitanti dei 224’000 complessivi abbandonarono la città nel primo anno.

Il Sindaco Emanuele Luserna di Rorà, apprezzatissimo dagli elettori (entrò in Parlamento con 643 preferenze su 657 votanti), ma anche noto per il suo ingegno, aveva passato i primi due anni dell’amministrazione cittadina migliorandone le condizioni igieniche e riqualificando i servizi essenziali della città. Al compiersi della crisi, Quintino Sella gli propose un indennizzo per finanziare i progetti di riconversione, ma il Sindaco rifiutò asserendo che «Torino non è in vendita!»  e preparò un piano, tutt’oggi riproponibile, per realizzare il suo nuovo obiettivo: «Torino dovrà divenire la Manchester d’Italia».

Ecco i punti fondamentali:

  • Logistica e infrastrutture per rendere più appetibile agli imprenditori la zona;
  • Turismo (loisir) basato sulla “coltura” della bellezza e dell’ospitalità;
  • Detassazione per le industrie estere e non che decidessero di investire (con grande pubblicità su tutti i giornali europei);
  • Trarre frutto dal territorio, costruendo canali per impianti energetici e industriali.

Il Marchese di Rorà voleva, dunque, che Torino divenisse la capitale italiana dell’industria, dopo aver smesso di essere la capitale amministrativa. Avviò un processo d’industrializzazione che divenne un imperativo categorico per ogni singolo funzionario torinese. Nel 1865 Rorà lasciò l’incarico al suo successore, il quale si impegnò nel proseguire il progetto, e venne lanciato l’Appello in più lingue diretto verso ogni industriale italiano ed europeo, informando che a Torino avrebbe trovato agevolazioni fiscali e pronte infrastrutture.

L’impianto di approvvigionamento raggiunse in poco tempo i 2000 cavalli vapore, per mezzo dei numerosi canali provenienti dal torrente Ceronda e -soprattutto- grazie all’apporto scientifico dell’ingegner Galileo Ferraris, a cui oggi è dedicata una delle più importanti e lunghe vie della città di Torino.

È innegabile che queste menti illustri e brillanti abbiano evitato il collasso della città di Torino, ma ciò che è più importante è che siano stati dei liberali a farlo, senza intromettersi nel mercato ma unicamente fornendo all’industria tutte le possibilità di svilupparsi, migliorando al contempo il benessere cittadino e le condizioni di vita. Ecco un breve estratto del discorso del Sindaco Rorà tenuto il 22 Aprile 1862 (prima dei fatti succitati):

Or qui mi affretto a dichiarare che malgrado queste mie non modeste idee di tante forze motrici d’ogni genere io non intendo punto debbasi inaugurare un nuovo sistema di grandiosissimi lavori e di enormi spese.
Questo urterebbe coi principii che professo, e secondo i quali l’amministrazione pubblica può bensì soccorrere, ma non surrogarsi alla privata industria sotto pena di diventare essa stessa speculatrice o creare a quella una vita fittizia e mal sicura.

Il suo spirito non mutò durante il discorso del 23 Maggio 1865 (dopo aver iniziato il piano d’industrializzazione):

Noi vorremmo al certo rendere all’operaio men caro il vivere, ma anzitutto dobbiamo pensare a far sì che non possa mancargli lavoro.
La Commissione partendo da due principii vi proporrà di ridurre il dazio di tutto quanto parve possibile: cioè affrancare l’industria da quelle tasse che maggiormente l’inceppano, e sgravare dal dazio i generi che servono specialmente al vitto della classe meno agiata e che danno luogo a maggiori reclami nella riscossione.

Ed ecco che il discorso volge parafrasando Adam Smith, che il buon Sindaco dimostra d’aver letto, indicando come la voglia e la necessità dell’Individuo di avere di più in concorrenza possano conciliarsi con la cooperazione:

Spero riusciremo, perché confido nel carattere dei nostri concittadini, nel loro coraggio, nella loro fede nell’avvenire e nella loro operosità che, se poco può fare da sé adoperata parzialmente, può tutto qualora sia riunita in associazione.

Spero di avervi convinto maggiormente delle tesi liberali, avendo come testimone la Storia, e per farvi rendere conto del circolo virtuoso innescato da Rorà, basti pensare che Torino fu per i cent’anni successivi uno dei tre poli del triangolo industriale. Ti chiederai se sono sicuro della causalità? Certamente, altre cause non ce ne sono: la manifattura avrebbe potuto fiorire in Veneto, in Toscana, in Emilia; e invece no, fu proprio Torino -mossa dal propulsore liberale- a divenire fulcro del Triangolo Industriale.