L’ascesa del Nazismo ci fu per colpa dei socialisti [Riflessioni su Hayek]

Friedrich Von Hayek, nel suo celeberrimo saggio La via della schiavitù evidenzia l’importantissima connessione tra gli intellettuali socialisti e quelli nazisti, profilando una manciata di importanti sostenitori marxisti tedeschi le cui convinzioni filosofiche si sarebbero radicalizzate durante la prima guerra mondiale.

Mentre le loro carriere accademiche erano incentrate sulla diffusione della filosofia socialista, molti in seguito giunsero alla conclusione che niente a parte il nazismo avrebbe aiutato a realizzare il necessario cambiamento rivoluzionario che ciascuno di loro desiderava, ovvero l’unione di tutte le forze anti-liberali nel socialismo.

Contrariamente al pensiero comune, Hayek sottolinea che il nazismo non è semplicemente nato in un pub della Baviera senza alcuna correlazione con la cultura tedesca, oltre al fatto che non abbia infettato come una malattia le pie anime dei tedeschi sotto il Kaiser. Le radici a cui fa riferimento crescevano negli ambiti accademici, riformulandosi nella tipica filosofia sintetizzabile nei seguenti precetti: la superiorità del popolo germanico (si può ben notare come fosse radicata da più di due secoli leggendo persino gli illuministi tedeschi pre-unitari), la rinuncia dell’Individuo e la distruzione della sua figura in favore della collettività (Hegel docet), la guerra ultima.

Il dodicesimo capitolo del saggio, intitolato “Le radici socialiste del nazismo“, inizia così:

È un errore comune considerare il nazionalsocialismo come una semplice rivolta contro la ragione, un movimento irrazionale privo di background intellettuale. Se così fosse, il movimento sarebbe molto meno pericoloso di quello che è. Ma nulla potrebbe essere più lontano dalla verità o più fuorviante.

Poche righe più avanti, disquisendo sui leader intellettuali del socialismo che in seguito aiutarono a gettare le basi intellettuali per l’ascesa del Terzo Reich, Hayek afferma:

Non si può negare che gli uomini che hanno prodotto le nuove dottrine fossero potenti scrittori che hanno lasciato l’impronta delle loro idee sull’intero pensiero europeo. Il loro sistema è stato sviluppato con una spietata coerenza. Una volta accettate le premesse da cui inizia, non c’è via di fuga dalla sua logica.

Continua poi:

Dal 1914 in poi nacque dalle fila del socialismo marxista un insegnante dopo l’altro che guidò, non i conservatori e i reazionari, ma il lavoratore laborioso e la gioventù idealista nella piega nazionalsocialista. Fu solo in seguito che l’ondata di socialismo nazionalista raggiunse un’importanza maggiore e crebbe rapidamente nella dottrina hitleriana.

Ora, l’analisi passa ai leader del pensiero socialista. Il primo della lista è Werner Sombart (1863-1941),  marxista devotissimo che in seguito abbracciò  calorosamente il nazionalsocialismo e la dittatura:

Sombart aveva iniziato come socialista marxista e, nel 1909, poteva affermare con orgoglio di aver dedicato la maggior parte della sua vita alla lotta per le idee di Karl Marx. Aveva fatto tutto il possibile per diffondere idee socialiste e risentimento anti-capitalista di varie sfumature in tutta la Germania; e se il pensiero tedesco era così intriso di elementi marxiani in un modo da non essere comparabile a nessun altro paese fino alla rivoluzione russa, questo era in gran parte dovuto a Sombart.

Quest’uomo era anche un forte sostenitore della guerra e del ruolo del soldato alla prussiana per ogni tedesco maschio e adulto. Aveva la forsennata convinzione che una guerra tra la società capitalista inglese di “venditori ambulanti” e la società guerriera tedesca di “eroi” fosse inevitabile e vitale per il progresso del mondo.

Successivamente Hayek si dedica al professor Johann Plenge (1874-1963), citando qualche brano di quest’ultimo:

È giunto il momento di riconoscere il fatto che il socialismo deve essere una politica di potere, perché deve essere un’organizzazione. Il socialismo deve conquistare il potere: non deve mai distruggere ciecamente il potere. E la questione più importante e cruciale per il socialismo nel tempo della guerra dei popoli è necessariamente questa: quale popolo è preminentemente chiamato al potere, perché è il leader esemplare nell’organizzazione dei popoli?

Anche questo, un altro fanatico pazzo. Eppure, fuori da queste righe, rispecchiava alla perfezione il pensiero socialista.

Hayek cita anche Oswald Spengler (1880-1936), il quale incanala il socialismo direttamente nel nazismo, come possiamo vedere da questo suo paragrafo:

La questione decisiva non solo per la Germania, ma per il mondo, che deve essere risolta dalla Germania per il mondo è: nel futuro sarà il commercio a governare lo stato, o lo stato a governare il commercio? Di fronte a questa domanda il prussianesimo e il socialismo hanno la stessa risposta. Prussianesimo e socialismo combattono l’Inghilterra che sta nel mezzo.

Direttamente nel nucleo socialista, e come specificato da questi pensatori tedeschi, il liberalismo era (ed è ancora oggi) l’arcinemico della pianificazione e dell’organizzazione. E a meno che non venisse adottato il nazionalsocialismo a tutti gli effetti, il concetto di individuo non sarebbe stato sufficientemente distrutto nella mente di tutte le persone da permettere il dominio autoritario.

Questo odio e timore nei confronti dell’individuo è la visione del mondo abbracciata da questi pensatori e continua con coloro che affermano di essere socialisti oggi. A meno che il concetto di individualismo non venga completamente sradicato dalla mente di ogni persona, lo Stato come Spirito Assoluto non può venire alla luce.

Ecco perché l’individualismo è estremamente importante: per evitare un nuovo dittatorialismo autoritario, dal quale saremmo destinati a non uscire più. È l’individuo, più di ogni altra arma, insieme alla visione filosofica che difende i suoi diritti, che presenta il più grande ostacolo al totalitarismo.

Legge Severino: tra Incostituzionalità e Strumentalizzazione

La legge Severino stabilisce l’incandidabilità per i condannati in via definitiva per una serie di reati, ma anche la sospensione temporanea dall’incarico per governatori, sindaci, e amministratori locali che abbiano anche una sola condanna, in primo o secondo grado.

Le argomentazioni riguardo la Severino sono tornate in auge in questi giorni perché, come ricorderete, ha sancito la decadenza di Silvio Berlusconi dal Senato e la sua incandidabilità, verdetto sul quale il patron di Mediaset ha fatto ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e il 22 novembre scorso si è tenuta la prima udienza.

Le domande che ci si pone sono: questa legge è giusta? E’ in linea con la costituzione? E’ coerente con uno stato di diritto in regime di democrazia?

La Costituzione cita così: “art. 65 La legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore“, “art. 66 Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”.

Ad un occhio non particolarmente attento potrebbe sembrare chiusa la questione, ma non è così. Le cause d’incandidabilità configurano uno status di inidoneità funzionale all’assunzione di cariche elettive, le cause di ineleggibilità, servono invece a garantire la libera ed eguale espressione del voto del corpo elettorale. Dunque se le cause di ineleggibilità e incandidabilità non coincidono, è tutto da dimostrare che il legislatore possa definire incandidabile un cittadino alle elezioni per il Parlamento. Questo per quanto concerne l’art. 65 cost..

Per il successivo invece che stabilisce che «spetta alla Camera di appartenenza giudicare sui titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità», ci si addentra nelle questioni di incandidabilità sopravvenuta, in sostanza si parla di retroattività. Cioè l’organo giudiziario (potere giudiziario appunto) con una sentenza, può modificare la composizione politica del parlamento (potere legislativo) potendo portare alla decadenza del parlamentare che è stato precedentemente votato democraticamente.

A mio avviso ci sono gli estremi per andare contro anche ad un altro articolo della Costituzione, il terzo: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Vien da chiedersi in fine, come una sentenza di primo (o secondo) grado, possa esser tenuta così tanto in considerazione, quando potrebbe essere sconfessata nei gradi successivi.

In conclusione, il mio parare sulla questione è che se un candidato non merita di sedere in Parlamento, questo deve essere sancito dall’elettore che democraticamente sceglierà di non votarlo conoscendo il suo pregresso giudiziario (o magari sì). Mai e poi mai, un potere diverso da quello legislativo deve poter influire sulle scelte democratiche dell’elettorato.

La libertà concessa per legge non è libertà

Una donna cinese disse del blocco del governo su Google:  “Il governo dovrebbe dare alle persone il diritto di vedere ciò che vogliono online“. Un classico esempio di mentalità statalista, sia da una parte sia dall’altra: il governo deve dirti in cosa sei libero, quanto sei libero, in che modo devi esercitare la tua libertà?

La signorina considera i diritti delle gentili concessioni da parte del governo, che possono essere date e tolte e, quindi, controllate e regolate.

Consideriamo la situazione economica in Cina. Gli affari vanno a gonfie vele. La prosperità è alle stelle. Il tenore di vita è al massimo storico. Molte persone stanno arricchendosi esponenzialmente (anche se molti di loro sono funzionari del Partito). Qual è la ragione di tutta questa vivacità economica?

Semplice. Sei in un sito liberale, di cosa starò per parlare? Il governo ha ridotto la quantità di controlli precedentemente esercitati sull’attività economica. Meno regolamenti. Meno tasse. Meno burocrazia. Ridotte le restrizioni all’importazione e all’esportazione. Più proprietà privata. E, pensa un po’, con queste piccole accortezze hanno stravolto il mercato globale.

Stai forse insinuando che i cinesi ora sono liberi, nel senso economico del termine?”  No, no, non esageriamo. Ciò che il governo cinese dà, il governo cinese può togliere. La questione è: il governo cinese sta permettendo alle aziende ed ai privati di avere una maggiore “libertà” economica. La parola chiave in tutto ciò è “permettere”. Quando qualcuno sta permettendo a qualcun altro di avere “libertà”, allora la persona non è libera affatto.

Il concetto che manca alla signorina cinese – anzi, ai socialisti in generale – è che i diritti sono fondamentali e innati. Come tali, vengono prima del governo. Pertanto, l’idea che il governo possa legittimamente dare e togliere e controllare e regolamentare i diritti delle persone è ridicola.

Qui però si parla, ma di quali diritti stiamo parlando? Esiste un unico diritto fondamentale, valido per tutte le persone, indipendentemente dall’etnia, dal colore, dal credo, dalla nazionalità, o qualsiasi altra cosa: è il diritto di vivere la propria vita con qualsiasi scelta si voglia, purché la condotta non infici nella libertà altrui o in quella collettiva.

Ahimè, è qui che casca l’asino. Gli statalisti nostrani considerano la libertà economica come un “diritto” che il governo dà alle persone. Dunque, non vedono nulla di sbagliato se sono i funzionari governativi a decidere chi può accedere a professioni e occupazioni, a controllare e regolare l’attività economica, a decidere in quale misura le persone saranno autorizzate a mantenere il proprio reddito ed a determinare come verranno spesi i soldi dei contribuenti.

A volte ci sono politici più gentili che consentono, una volta giunti al potere, ai privati di impegnarsi in attività economiche con meno controllo e tasse più basse. Ma non chiamiamoli liberali. La vera libertà implica vivere la propria vita come si vuole (purché bla bla bla) mentre il governo esercita il potere di fare nient’altro che proteggere l’esercizio di tale libertà.

Perché un omosessuale non dovrebbe essere socialista ma liberale

Socialismo e Omosessualità

Al giorno d’oggi è molto diffusa l’idea che a portare avanti le battaglie riguardanti i diritti omosessuali siano stati, nell’epoca moderna, sempre i socialisti.
Facendo questa assunzione si commette un gravissimo errore, poiché -andando indietro di un paio di secoli-i primi accenni ai diritti omosessuali derivano dall’Illuminismo. Chiaramente il concetto moderno di socialismo non era ancora nato, ma quando nacque la situazione non migliorò: pare che Marx ed Engels non fossero tanto disposti a ben accettare l’omosessualità, siccome non rientrava -a parer loro- fra le necessità della società.

Analizzando dunque la genealogia del pensiero, quali sono i motivi per cui i primi ad accettare l’omosessualità furono gli individualisti mentre a dichiararla fuori gioco furono proprio socialisti?

E’ anche vero fossero altri tempi, per cui il contesto sociale non permetteva una vera e propria accettazione di un pensiero così vicino a quello moderno, tuttavia il Socialismo si propone di perseguire l’evoluzione della società tramite la lotta di classe ambendo all’uguaglianza sostanziale.

Per poter arrivare all’uguaglianza sostanziale bisogna anzitutto trovare un modello perfetto che rappresenti ciò a cui tutti membri della società dovrebbero tendere; ma il problema risiede esattamente in questo loro precetto: fissati i parametri di uguaglianza sostanziale chiunque ne sia fuori dovrà raggiungerli.

Non è un caso che la destra socialista, fissati i parametri di rispetto nei confronti dei dogmi fra cui i classici Dio Patria Famiglia, affermi l’esclusione degli omosessuali dal bacino della normalità.

Questa destra è recalcitrante nell’accettare i diritti individuali: gli stessi che idolatrano lo Stato Sociale vedono come nemico colui che chiede di potersi esprimere, anche solo nel privato, in maniera diversa. La genesi di questo odio, in realtà, si ritrova nel conservatorismo in forma di limitazione mentale che non permette di accettare qualcosa di diverso dalla maggioranza, seguendo come gli animali l’istinto della conservazione e dunque volti a perpetrare -senza metterlo in discussione- ciò che ha concesso alla specie di andare avanti fino a quel momento.

Per compensare l’aver parlato di questa destra socialista, ora citerò Engels in una delle sue lettere a Marx:

«I pederasti [ndr: vezzeggiativo per “omosessuali”] iniziano a contarsi e scoprono di formare una potenza all’interno dello Stato. Mancava solo un’organizzazione, ma secondo questo libro sembra che esista già in segreto. E poiché contano uomini tanto importanti nei vecchi partiti ed anche nei nuovi, da Rösing a Schweitzer, la loro vittoria è inevitabile. D’ora in poi sarà: “Guerre aux cons, paix aux trous de cul!”» (Guerra alla gnocca, pace ai buchi di culo!)

L’enfasi sull’individualità nell’Illuminismo, la natura individualista del libero scambio e della libera associazione e la domanda di diritti individuali hanno indotto naturalmente a pensare più attentamente alla natura dell’individuo e a riconoscere gradualmente che la dignità dei diritti individuali deve essere estesa a tutte le persone.

Attualmente, molti omosessuali commettono l’errore di identificarsi in un gruppo di appartenenza, anziché identificarsi nella loro lotta per la conquista dei diritti individuali. In questa maniera non fanno altro che utilizzare lo stesso metodo dei loro avversari: creare un pensiero comune e autocefalo per contrastare un pensiero comune e autocefalo. (Benché di cefalico non ci sia molto, nella negazione dei diritti omosessuali)

I diritti individuali sono gli stessi per qualsiasi altra persona, è molto più equo  lottare maggiormente per i diritti individuali di libertà di scelta che per specifici diritti per gruppi, poiché ciò crea distinzioni e/o privilegi per i gruppi stessi.

Sessualità e Stato Autoritario

L’espressione sessuale umana può articolarsi in molteplici forme basate sulla scelta volontaria. La cultura occidentale ha la tendenza a limitare, inscatolare ed enumerare le possibilità delle persone; tutto ciò talvolta avviene tramite leggi, le quali non hanno più funzione limitativa bensì di catalogazione: ci dicono tutto ciò che possiamo fare, anziché ciò che non possiamo fare.

Per cui, gli individui non vengono più lasciati agire nella libertà, ma nel campo ristretto creato dalle leggi, non possono più effettuare scelte singolari riguardanti le questioni più intime, come religione e sessualità, venendo obbligati dalla società a dichiararsi cattolici, islamici, atei, oppure eterosessuali o omosessuali. Ciò che dovrebbe essere intimo, spesso diventa una bandiera alla vista di tutti.

Fino al 1750 circa gli uomini, in tutto il mondo occidentale, catturati in atti omosessuali furono bruciati al palo. Perché fino al 1750? Da allora una filosofia si stava diffondendo nel mondo occidentale, le cui dottrine individualistiche e umane dovevano alterare gli atteggiamenti pubblici e i codici legali. Questo era il liberalismo classico o, come direbbero ora, il libertarianismo, che insisteva nel limitare il potere dello Stato ad un minimo assoluto.

Così Jeremy Bentham, filosofo classico liberale e teorico legale, ha concluso che gli atti omosessuali volontari non dovrebbero essere vietati dalla legge, in quanto “crimini fittizi”, al massimo che danneggiano nessuno ma i partecipanti liberi. E John Stuart Mill, nel 1859, nel suo classico libertario On Liberty, ha presentato il seguente principio che, più di ogni altra formulazione, ha contribuito a liberare le persone gay dall’oppressione legale nel mondo inglese:

L’oggetto di questo saggio è quello di affermare un principio molto semplice come il diritto di governare i rapporti della società con l’individuo tramite compulsione e controllo […] Il principio è che il solo fine per cui l’umanità è tenuta, individualmente o collettivamente, ad interferire con la libertà d’azione di qualunque numero di essi è l’autoprotezione […] Il suo bene, fisico o morale, non è un mandato sufficiente […] Su di sé, sopra il proprio corpo e la propria mente, l’individuo è sovrano.

A causa del clima di opinione del loro tempo, la maggior parte dei liberali classici erano troppo prudenti per trarre le implicazioni logiche della loro filosofia specificamente per l’omosessualità; con il tempo è diventato sempre più evidente che la sovranità dell’individuo su sé necessariamente includeva le scelte sessuali.

 

Il punto di vista Individualista

Gli individualisti, i liberali ed i libertari non hanno mai dovuto sollevare la propria coscienza sul tema della “liberazione omosessuale” né costringerla a concedere anche agli omosessuali di essere cittadini di serie A, siccome lo erano già in partenza: un individualista promuove la piena libertà di sviluppo individuale per ogni persona, dunque crede implicitamente ai diritti gay.

Sul lungo termine, le persone omosessuali non avranno bisogno dell’aiuto dello Stato, non appena il progresso dei loro diritti e la relativa accettazione da parte della società saranno bisogni completamente espletati. Inoltre, è lo Stato stesso che ha per secoli demonizzato la figura degli omosessuali, condannandoli a morte o a rinnegare la propria sessualità, dunque come nessun individuo dovrebbe usare lo Stato e l’Autorità per imporre le proprie idee, nessuno dovrebbe imporre l’accettazione dell’omosessualità, benché sia un giusto principio individuale: ciò che lo Stato può imporre è il rispetto delle altrui Libertà, ma non deve opprimere chi la pensa diversamente.

Un accenno alle unioni civili: la vera questione che dovrebbe essere affrontata è il motivo per cui qualsiasi relazione richiede che la sanzione del governo sia valida. Non esiste alcuna funzione intrinseca che il governo esegue in un rapporto omosessuale o eterosessuale. Le licenze di matrimonio sono un buon flusso di entrate per lo Stato, ma non sono necessarie per un rapporto funzionale e soddisfacente. La classica risposta liberale al problema del matrimonio gay è quella di sostenere l’abolizione di tutte le licenze di matrimonio. Rimarranno quelle previste dalla religione, poiché il matrimonio è effettivamente un rito religioso.  Se ci sono certi diritti di eredità e determinazioni mediche, questi dovrebbero essere eseguiti contrattualmente indipendentemente da qualsiasi relazione matrimoniale o romantica. Allo stesso modo, se voglio designare un amico con cui non condivido una relazione romantica per questi stessi diritti, tale accordo dovrebbe essere consentito e supportato. Le licenze matrimoniali correnti dovrebbero essere eliminate e sostituite da una “licenza di reciproca dipendenza” o equivalente che consente agli individui di stabilire i diritti tradizionalmente associati al matrimonio, indipendentemente dalla natura della loro relazione o dal sesso di ciascun partner.

Su tutti questi aspetti – e su tanti altri – gli individualisti ed i liberali hanno adottato posizioni destinate a spostarci verso una società sostanzialmente più libera di quella che abbiamo ora. E nel nostro impegno verso un mondo dove gli omosessuali avranno la stessa opportunità di significato e dignità nella vita di tutti gli altri esseri umani, nessun altro ideale politico e filosofico potrà attaccarci.

Meccanismo di Trasmissione della Politica Monetaria (Prospettive Keynesiane e Monetariste)

Il meccanismo di trasmissione della politica monetaria descrive i cambiamenti indotti da politiche delle banche centrali, in particolare l’impatto dei tassi di interesse nominali a breve termine su variabili reali come l’output aggregato e l’occupazione. Infatti, le banche centrali hanno un potere di cambio solo per i tassi a breve e brevissimo termine.

Con questo strumento dei tassi a breve anche conosciuti “Money Market Interest Rates,” le banche centrali cercano di influenzare le aspettative sui tassi a più lungo termine relativi ai vari punti temporali della curva dei tassi. La curva dei tassi d’interesse rappresenta un indice sulla quale vengono calcolati sia le emissioni obbligazionarie che l’erogazioni di prestiti di un determinato paese, quindi ha un impatto molto immediato sull’economia.

A secondo della efficacia del lavoro di una banca centrale, l’intera curva d’interesse si sposterà il più vicino possibile alle aspettative iniziale della banca centrale stessa. Inoltre, va considerato l’obiettivo primario delle banche centrali. Ci sono banche centrali che hanno come obiettivo primario il controllo su prezzi e inflazione (Price Stability), altre banche centrali hanno come obiettivo primario la massimizzazione dell’occupazione e del PIL (Output).  

I canali del meccanismo di trasmissione monetaria influenzano l’economia reale, in linea generale, attraverso i tassi di interesse, i tassi di cambio, i titoli azionari e dei prezzi immobiliari e i prestiti bancari.

Linee di Pensiero sulla politica monetaria 

Keynesiani

L’economia keynesiana si basa su due idee principali: (1) la domanda aggregata è più soggetta che l’offerta aggregata a possibili shock, e di conseguenza la domanda aggregata e’ la causa principale di una recessione; (2) salari e prezzi possono essere rigidi, quindi in una recessione economica, può portare ad effetti come la disoccupazione e in casi peggiori di stagnazione. I Keynesiani ritengono che i prezzi, e in particolare i salari, rispondano lentamente ai cambiamenti nella domanda e nell’offerta.

I Keynesiani non credono nel legame diretto tra l’offerta di moneta e il livello dei prezzi che emerge dalla classica teoria della quantità di moneta. Rifiutano la nozione che l’economia sia sempre vicina al livello naturale di disoccupazione.

Inoltre, i Keynesiani ritengono che la domanda di investimenti sia inelastica, soprattutto quando c’è una recessione. Quindi politiche espansionistiche monetarie potrebbero essere inefficienti. Anche i cambiamenti significativi nei tassi di interesse non modificano molto l’investimento. Ad esempio, gli investimenti fissi in impianti e macchinari non sono molto sensibili agli interessi.

Secondo i Keynesiani la politica monetaria è probabile che sia efficace solo se le persone/mercato hanno fiducia in queste politiche. L’effetto psicologico può essere molto potente. Richiede tuttavia una grande capacità nel manovrarla, e quindi da parte delle banche centrali nel creare aspettative dal mercato per far si che le politiche monetarie creano effetti positivi.

Monetaristi

I monetaristi sostengono che la domanda di denaro è stabile e non è molto sensibile ai cambiamenti del tasso d’interesse. Di conseguenza, le politiche monetarie espansive servono solo a creare un surplus di denaro che le famiglie potranno spendere rapidamente, aumentando così la domanda aggregata. Ma queste politiche monetarie hanno un effetto limitato nel breve periodo ed invece non hanno effetti di crescita di reddito nel lungo.

I monetaristi sono particolarmente contrari all’abuso di tali politiche monetarie, e le vedono come un fattore di destabilizzazione del livello dei prezzi. I monetaristi credono che persistenti inflazioni (o deflazioni) siano solo fenomeni monetari provocati da persistenti politiche monetarie espansionistiche (o restrittive).

Come mezzo per combattere periodi di inflazione o deflazione persistenti, i monetaristi sostengono a favore di una regola fissa dell’offerta di moneta. Credono che la Banche Centrali dovrebbero condurre una politica monetaria tale da mantenere il tasso di crescita dell’offerta di moneta fissa, con un aumento di offerta monetaria che è pari al tasso di crescita reale dell’economia nel tempo. Pertanto, i monetaristi ritengono che la politica monetaria dovrebbe servire a compensare gli aumenti del PIL reale senza causare né l’inflazione né la deflazione.

La differenza tra Egoismo, Individualismo e Altruismo

Per definizione da dizionario, un egoista è colui che pensa e vuole pensare unicamente al proprio interesse, vediamo alcuni esempi:

  •  chi vota un partito (o una certa persona) perché gli ha reso favori;
  •  chi approfitta della società per i propri fini;
  •  chi viola o fa sopruso di altrui diritti, libertà e proprietà;
  •  chi obbliga altri ad esaudire i propri desideri;
  •  chi approfitta della propria posizione per ricevere favori.

Un egoista è un autoritario, vuole subordinare le volontà altrui alla propria e porre i riflettori unicamente sui propri valori. Non riconosci in questo atteggiamento un certo tipo di politica? Va bene, va bene, questo è un pezzo su ben altro,  non divago. Avere atteggiamenti egoistici può essere giusto o sbagliato a seconda del contesto, una persona che si caratterizza per il solo egoismo vizioso e prevaricatore è indubbiamente nel torto.

Sovente si associa all’individualismo una componente intrinseca di egoismo e noncuranza nei confronti degli altri, quando effettualmente l’individualista è tanto portato a rispettare profondamente la figura dell’Individuo, da non voler nuocere ad altri o minare alle loro libertà.

Pensando individualisticamente non si guarda solo al proprio bene, bensì alla difesa del bene di ogni Individuo, andando a toccare i punti più generali e dunque che siano applicabili a ogni altra persone che componga la società in cui si vive. Il diritto conquistato da un Individuo è un diritto conquistato da tutti gli altri. Sempre secondo gli individualisti, nessuno deve imporre all’Individuo il modo in cui perseguire il proprio bene, autorealizzarsi o anche solo diventare felice: proprio per questo non impone a nessuno la propria visione di bene, autorealizzazione o felicità, bensì cerca di perseguirne la strada a proprio modo, senza in alcun caso nuocere ad altri.

Parliamo dell’altruista. L’altruista non è per forza il collettivista (vuolsi dire socialista, comunista e derivati), anzi, vorrei evidenziare come spesso e volentieri la lotta fra classi e ceti sociali venga intrapresa unicamente per ottenere ricavi personali, al di là del fatto che possa arrecare danno a qualcuno, ancor meglio è se si ricavano benefici ai danni della classe o del ceto avverso.

Molti altruisti hanno il difetto di negare la propria individualità per il bene collettivo, molti altri sentono il forte bisogno di approvazione compiendo azioni socialmente ritenute buone, altri ancora credono che l’essenza della vita sia togliere diritti a taluni per darne altri a chi loro credono sia giusto dare appellandosi alla solidarietà.

L’altruista segue un comportamento che, se non estremizzato, consiste nell’aiutare i propri simili a conseguire un maggior benessere, sia in maniera disinteressata (ritenuta la forma più pura di altruismo) sia -perché no?- per una leale e smaliziata convenienza. Data questa visione, non è forse anche altruista la richiesta individualistica del lasciare che ogni Individuo sia artefice del proprio destino, del  bene, della religione, dell’intimità e delle decisioni che lo riguardano in quanto tale?

E non è forse egoista colui che lotta per avere anch’egli privilegi, anziché far sì che nessuno ne abbia?
Non è egoista chi impone le proprie volontà tramite l’autorità della Legge?
Non è egoista qualcuno che decida cosa fare dei soldi altrui solo perché gli gioverebbe?

Mi scuso nuovamente, sono ricaduto nell’agone politico!

Torniamo a noi, dopo tutto questo dire sembrerà che io voglia far intendere quanto sia altruista e di buon cuore l’individualista e quanto poco lo siano i collettivisti, ma ovviamente ho colto degli esempi che non rappresentano per forza né l’una né l’altra idea. A parte che noi Individualisti Feroci siamo brave persone per davvero, non siamo mica qui a pubblicare articoli, saggi, aforismi e immagini divertenti per una qualche convenienza, noi lo facciamo per l’idea in cui crediamo profondamente e speriamo sia la stessa idea in cui credi tu, caro lettore.

Prima di terminare, voglio precisare che ho trattato l’accezione negativa dell’egoismo e non mi sono soffermato sull’egoismo etico di Ayn Rand o quello superomistico di Nietzsche, perché lo farò in futuro.

Il mio intento era sfatare il falso mito secondo il quale gli individualisti sono egoisti viziosi, prevaricatori e sopraffattori (altrimenti dove sarebbe il rispetto per l’altrui Libertà?), approfittatori (sfruttare i bambini bengalesi non è liberale). E, tirando le somme, posso affermare serenamente che questo luogo comune è falso e che egoismo e altruismo siano caratteristiche dell’Individuo stesso e vadano oltre l’individualismo.

 

Cosa è e cosa NON è il Liberalismo

Da quando sono entrato ne “L’Individualista Feroce”, ho letto con estremo interesse i numerosi commenti scritti sotto i nostri post. Tralasciando i commenti caustici e odiosi di certi utenti, che avevano il solo scopo di denigrare non solo le nostre idee, ma anche noi stessi, non ho potuto fare a meno di notare una certa confusione, per non dire ignoranza, su cosa sia effettivamente il liberalismo. Sia chiaro, il termine ignoranza è inteso nel senso letterale del termine, il semplice non-sapere, dunque scevro da qualsiasi accezione dispregiativa.

Tale ignoranza non deve sorprendere, poiché sono anni che dal dibattito pubblico italiano sono scomparsi rappresentanti del liberalismo classico. Parlando per esperienza personale, quando ti definisci liberale la gente tende a fraintendere il tuo pensiero, semplicemente perché non sa cosa significhi effettivamente.

Ebbene questo articolo ha l’ambizione (forse la presunzione) di voler dare una definizione chiara di questa idea che è il liberalismo, ricordando sempre che esso non è un dogma, ma una serie di principi guida.

Prima di tutto ritengo opportuno fare una distinzione semantica di concetti fra loro correlati, ma differenti, che troppo spesso vengono usati come sinonimi.

  • Liberalismo: Atteggiamento etico-politico dell’età moderna e contemporanea, tendente a concretarsi in dottrine e prassi opposte all’assolutismo, fondate essenzialmente sul principio che il potere dello Stato debba essere limitato per favorire la libertà d’azione del singolo individuo. Dal rischio assolutistico e totalitaristico di uno Stato, deriva l’opposizione liberale allo Statalismo. Uno dei principali teorici del Liberalismo fu Ludwig Von Mises.
  • Liberismo: Il liberismo è una teoria economica che sostiene e promuove la libera iniziativa e il libero mercato come unica forza motrice del sistema economico, con l’intervento dello Stato limitato al più alla realizzazione di infrastrutture di base (ponti, strade, ferrovie, autostrade, gallerie, edifici pubblici etc.) a sostegno della società e del mercato stesso. La sottolineatura è stata inserita per evidenziare un concetto poco noto ai detrattori del liberismo. Noi consideriamo lo Stato un attore fondamentale per il coordinamento dell’attività economica di un Paese. Lo Stato fa da supporto all’economia, non ne è il motore.
    Per la verità, il termine Liberismo fu coniato da Benedetto Croce per indicare la teoria economica afferente al Liberalismo, ma per questo fu criticato da diversi esponenti del liberalismo classico fra cui Von Hayek, Einaudi e Antonio Martino, i quali sostenevano che i concetti sopra esposti fossero parte integrante e non scindibile del concetto di Liberalismo.
  • Libertarismo: Libertarismo, dal francese libertaire, è un termine che indica un ideale e una filosofia-politica che considera la libertà come valore fondamentale, anteponendo la difesa della stessa ad ogni autorità o legge. Il libertarismo mira, cioè, ad una forte limitazione o ad una eliminazione del potere dello Stato e di tutti quegli enti che limitano o avversano la giustizia sociale e la libertà individuale e politica.
  • Capitalismo: è un concetto molto vago sul quale nessuno è mai riuscito a dare una definizione che fosse in grado di mettere d’accordo tutti. Impropriamente usato come sinonimo di liberismo, il termine capitalismo nasce con un’accezione dispregiativa per indicare un’economia in cui è prevista la proprietà privata dei mezzi di produzione da parte di individui o società e che compra e vende beni capitali e fattori di produzione, senza alcun tipo di controllo statale.
  • Neoliberismo: si indica un orientamento di politica economica favorevole ad un mercato privo di regolamentazione e di autorità pubblica ovvero in balia delle sole forze di mercato. Si differenzia dal liberalismo classico per la quasi totale esclusione dello Stato, in qualità di attore economico.
  • Liberal: Termine anglo-sassone, adottato negli USA negli anni ’50-’60 da coloro che rivendicavano e promuovevano posizioni socialiste. Come ovvio, i Liberal americani e i Liberali Classici sono su posizioni completamente opposte, nonostante i nomi simili. I Socialisti americani adottarono il termine molto più morbido di liberal, a causa della repressione su chiunque si dichiarasse apertamente socialista o ancor peggio comunista in quel periodo, e in special modo durante la campagna “terroristica” del Senatore McCarthy.

Noi de “L’Individualista Feroce” ci definiamo Liberali classici (e dunque anche Liberisti, secondo l’accezione di Einaudi e Hayek). Crediamo nel libero mercato, nella concorrenza leale, nella difesa e protezione dei diritti dei consumatori e affidiamo all’autorità pubblica, e alla legge che da essa scaturisce, il compito di difendere le libertà individuali, anche quelle economiche. In termini più semplici, il pensiero liberale si può riassumere in: “La mia libertà finisce dove comincia quella degli altri. La libertà degli altri finisce dove comincia la mia”.

Ora vorrei spiegare cosa non è il liberalismo, passando per una serie di esempi o luoghi comuni che puntualmente vengono attribuiti a esso:

  • “Voi Liberali volete distruggere il Welfare e lasciare la gente ad arrancare nel Far West”: No, non siamo contrari al Welfare, nel modo più assoluto. Noi siamo critici verso un sistema di Welfare pubblico che, a parole, dice di essere per tutti, ma che in realtà, molto spesso, offre un servizio infimo e costoso, tanto che molte persone sono costrette a usufruire del welfare privato, per avere quel servizio per il quale già pagano il sistema pubblico. Noi liberali vorremmo semplicemente poter intavolare una discussione su un riassetto del sistema, anche considerando la possibilità di demandare al privato l’erogazione di alcuni servizi, smettendo di considerare l’argomento un tabù. L’obiettivo di questa discussione sarebbe trovare il sistema più efficace ed efficiente possibile per il consumatore finale. P.S. Onestamente non ho ancora capito questa storia del Far West, che più volte viene ripresa.
  • “La politica neoliberista ha mandato in rovina il paese”:  Non è vero, ciò che ha rovinato questo paese sono state le politiche dissennate del “tassa e spendi” degli anni ’70 e ’80, e continuate poi successivamente senza discontinuità, basate su un’errata interpretazione, o meglio portando come giustificazione, le teorie economiche keynasiane. È vero che Keynes sostenesse l’intervento dello Stato nei momenti più critici per l’economia (crisi del ’29, dopoguerra ecc.), ma è anche vero che persino lui invitava ad un progressivo abbandono dell’intervento statale, nel momento in cui si fosse innescata la ripresa economica. In Italia invece, nonostante il boom economico già in atto, si è continuato a spendere esponenzialmente senza alcun riguardo per la tenuta dei conti pubblici e senza alcuna parsimonia da “buon padre di famiglia”. Soprattutto non era spesa per investimenti pubblici che nel lungo periodo avrebbero portato grande utilità al paese, ma era solo spesa ingente di breve periodo, con poco o nullo impatto sullo sviluppo economico. L’aumento di debito pubblico in fase di espansione economica ha fatto sì che, quando si è arrivati alla recessione del 2009-2010, i margini di spesa che si potevano sfruttare fossero strettissimi, proprio nel momento in cui ne avremmo avuto più bisogno. La Germania nel 2003 aveva una situazione di conti pubblici molto peggiore a quella che noi abbiamo attualmente, ma con una politica economica rigorosa (effettivamente “lacrime e sangue”) è riuscita a sistemarla, diventando la potenza economica che è adesso. La medicina fu amara, ma il paziente ne aveva bisogno. Affrontando adesso il discorso Austerity, vorrei fare alcune precisazioni: le politiche cosiddette di austerità, hanno il solo scopo di ridurre il deficit e rendere il debito pubblico sostenibile nel tempo. Questo si può fare in due modi, distinguendo così fra quelle che io chiamo Austerity buona e Austerity cattiva: il primo modo prevede la riduzione, riformulazione ed efficientamento della spesa pubblica, che nel lungo periodo può e deve portare alla riduzione delle tasse. Il secondo modo, invece, prevede l’aumento delle tasse e il successivo aumento della spesa pubblica. Entrambi i metodi passano in primis per una politica fiscale restrittiva e poi per una politica fiscale espansiva, successivamente. La differenza è che nel secondo caso i margini di manovra sono molto più stretti, poiché non si possono aumentare troppo le tasse, a meno di non causare sconquassi a livello economico e sociale, e dunque non si può neanche aumentare troppo la spesa, specialmente quando è già molto alta come quella italiana. Inutile ricordare cosa scelse di fare il “mitico” Governo Monti, che non solo scelse il metodo meno efficace, ma riuscì a farlo anche male. Riassumendo, le politiche “tassa e spendi”, portate ancora avanti dal governo attuale, hanno sconquassato i conti pubblici senza avere una proporzionata crescita di PIL, e successivamente, poiché ridimensionare la spesa pubblica in questo paese è un tabù assoluto (basti vedere che fine hanno fatto i commissari alla Spending Review e le loro relazioni), si è optato per delle politiche fiscali folli, in continuità con il passato. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
  • “La Riforma Fornero è una politica liberista che ha creato un sacco di danni”: Dato che so già che arriverà un commento di questo tenore, faccio che rispondere subito. Si stima che circa 2/3 della spesa pubblica italiana sia destinata al sistema pensionistico. Questo è di fatto un problema di non semplice soluzione. La Riforma Fornero fu un tentativo di rimodulare il sistema previdenziale che, come tutti sanno, è uno dei grandi problemi di questo paese. Sebbene tale riforma potesse essere lodevole nell’intento, gli effetti sul lungo periodo sono stati disastrosi e soprattutto fu incapace di scalfire minimamente il problema del sistema previdenziale. Fu una riforma raffazzonata, pasticciata e fatta di fretta. La riforma del sistema previdenziale è un passaggio obbligato per il risanamento dei conti pubblici e per il rilancio dell’economia, ma non riteniamo che questo sia il metodo. Mi permetto anche di aggiungere che, oltre che prendersela con la Fornero, bisognerebbe anche prendersela anche con coloro che hanno creato il problema in primis, e cioè coloro che per anni hanno sostenuto un sistema previdenziale retributivo.
  • “Voi liberali vi curate solo degli interessi delle multinazionali”:  Questo è uno dei punti preferiti dei detrattori del liberalismo. Questa frase è palesemente falsa. I liberali si curano degli interessi di TUTTE le imprese, piccole o grandi che siano, poiché riteniamo che siano il vero motore della prosperità economica e sociale di un paese, e allo stesso tempo difendiamo a spada tratta i diritti dei consumatori. Su quest’ultimo punto non transigiamo. Fra queste imprese, difendiamo anche gli interessi delle multinazionali o big corporation, nazionali e non, e riteniamo stupido scagliarsi contro queste aziende, e ora intendo spiegare perché. Qualche dato giusto per orientarsi (fonte ISTAT, periodo di riferimento 2014): In Italia sono attive circa 13569 imprese a controllo estero, contro le 22388 controllate italiane all’estero. Le multinazionali estere contribuiscono per il 27,4% dell’export italiano, un fatturato di circa 524 mld €, valore aggiunto per 97 mld e un contributo all’ R&D del 23,9% e danno lavoro a circa 1,2 mln di persone. A discapito della vulgata comune, in media, i dipendenti delle multinazionali sono trattati molto meglio e hanno stipendi e condizioni di lavoro migliori rispetto ai loro omologhi di imprese nazionali. Per quanto riguarda, invece, quelle multinazionali che si trasferiscono all’estero, in paesi dove la considerazione per i diritti dei lavoratori, civili e umani è scarsa, riteniamo che sfruttare queste condizioni da parte di queste imprese sia un errore, se non un atto criminale. Ogni qual dove si violino i diritti delle persone, tale violazione va perseguita giudiziariamente se possibile, o attraverso azioni di protesta. La violazione dei più elementari diritti umani e civili non può essere tollerata in alcun caso.
  • “Le multinazionali si trasferiscono all’estero per pagare meno tasse”. Verissimo, dato che in Italia abbiamo un Total Tax Rate di circa il 62%, non si capisce perché dovrebbero volontariamente restare in Italia, quando possono legalmente trasferirsi altrove e pagare di meno. Se invece di sbraitare ci rendessimo conto di questo e decidessimo di ridurre e semplificare le tasse sulle imprese, non solo avremmo un effetto benefico per le imprese nazionali e per l’economia tutta, ma diventeremmo anche un paese attrattivo per queste multinazionali che a quel punto si trasferirebbero molto volentieri in Italia.
  • “I liberisti sfruttano e schiavizzano i dipendenti”: Ho in parte già risposto poco sopra, ma intendo approfondire. A tal proposito mi viene in mente un pezzo di cronaca letto tempo fa: la vicenda girava intorno un grande negozio di elettronica di consumo e riguardava una dipendente che, durante il turno di lavoro, chiese al titolare di potersi assentare per poter andare in bagno. Il titolare rispose di no, nonostante le ripetute richieste della dipendente, la quale alla fine non riuscì più a trattenersi e finì per farsela addosso, con sua grande vergogna, davanti ai clienti. Sotto la notizia lessi parecchi commenti dello stesso tenore: “maledetti neo liberisti, capitalisti, sfruttatori dei lavoratori ecc.”. La vicenda è vergognosa e sfortunatamente ricalca numerose situazioni lavorative, ma dare la colpa ai liberali e alle nostre idee è sbagliato. Il titolare, e chiunque si comporti così verso i propri dipendenti, non è un liberale, è semplicemente un coglione. Andando più nello specifico, questo comportamento non attiene al liberalismo poiché il violare i diritti dell’individuo è assolutamente contrario alle nostre idee. Noi aborriamo comportamenti di questo tipo, che sia il titolare del piccolo negozio, l’imprenditore, l’amministratore delegato ecc. ad adottarli. Non solo, un comportamento del genere è classificabile come mobbing e DEVE essere denunciato. Noi siamo a favore delle imprese, degli imprenditori E dei dipendenti, i quali devono essere trattati in modo giusto, equo e rispettoso.
  • “Voi liberisti state dalla parte delle Banche” Altro punto che piace molto ai nostri detrattori. Non è vero, noi riteniamo importantissimo il ruolo delle banche e di tutti gli intermediari finanziari all’interno del quadro legislativo, ma lo interpretiamo come supporto all’economia. Bisogna fare finanza per l’economia e non finanza per la finanza. La finanza deve essere l’olio lubrificante e non il motore dell’economia. Noi liberali rifiutiamo il concetto di “Too Big to Fail”, anche se riconosciamo che a volte, per il bene del paese, costi meno salvare la banca, ma allo stesso tempo pretendiamo che i manager che hanno portato al dissesto della banca vengano processati penalmente, e che vengano tolti loro tutti i requisiti di onorabilità necessari per sedere nuovamente in consigli di amministrazione di banche o imprese. Le banche sono a tutti gli effetti imprese non dissimili dalle altre e, se gestite malamente/criminalmente, fatti salvi i depositi e i conti correnti, bisogna avere il coraggio di far chiudere loro i battenti.

Il disastro del reddito di cittadinanza in Inghilterra

Nel 1601 la Regina Elisabetta sancì il diritto del cittadino britannico caduto in povertà, ad essere mantenuto dallo Stato.

Nel 1834 si abolirono questi soccorsi, siccome erano distribuiti con così larga ampiezza che erano divenuti un’integrazione al salario, il quale non necessitava più d’essere sufficiente al mantenimento della famiglia, siccome al resto ci pensava lo Stato.

Cerchiamo di contestualizzare storicamente quanto sopra: prima dell’atto di Elisabetta, assolvevano l’assistenza ai poveri i conventi e le fondazioni religiose; tuttavia suo padre, Enrico VIII, aveva fatto confisca di numerose proprietà ecclesiastiche, sancendo per implicito che da quel punto in avanti sarebbe stato un diritto dei poveri il porsi a carico dello Stato.

Tali soccorsi elemosinieri venivano distribuiti a domicilio a tutti i proletari, divenendo a poco a poco un grave per le casse del Regno.

Con l’abolizione dei soccorsi, vennero immediatamente cancellate le imposte locali a carico dell’industria, la quale non più doverosa nei confronti dello Stato reagì con una osservabile crescita, che sarebbe sfociata successivamente in concomitanza alla Seconda Rivoluzione Industriale.

Gli operai, che per la maggiore ritenevano indegno cadere a carico delle work-house (ricordate quei luoghi tanto tipici nella storia di Oliver Twist?), iniziarono feroci proteste richiedendo salari sufficienti a mantenere la famiglia.

 

Con l’ingresso dei socialisti in politica ed il loro sopravvento sul liberalismo classico (parliamo degli anni situati fra il 1897 e il 1909, con protagonisti Lord Passfield e la moglie Beatrice Webb, socialisti fabiani) vennero portate avanti nuove riforme sull’aiuto ai poveri, riportando in auge le work-house e le relative figure dei guardiani dei poveri.

A poco a poco, crearono leggi sparse, sovrapposte, non coordinate che decretarono la nascita di un regime burocratico dissoltosi solamente quattro decenni dopo, con il Rapporto Beveridge e la nascita del Welfare State.

Alcuni esempi della contorta burocrazia: per richiedere il sussidio assicurativo di disoccupazione bisognava rivolgersi a taluni funzionari del ministero del lavoro, una volta scaduto bisognava fare richieste del sussidio assistenziale semplice agli uffici locali di pubblica assistenza, mentre per malattia e invalidità ci si poteva rivolgere alle associazioni sottostanti al ministero della pubblica sanità, per la cecità alle contee, per richiedere la pensione dopo gli anni di lavoro dovuti bisognava nuovamente rivolgersi al ministero della pubblica sanità, per il supplemento di pensione la richiesta andava posta ai funzionari locali.

 

Ritorniamo ai soccorsi elemosinieri per gli operai: i coniugi Webb e Beveridge sostenevano che un reddito minimo garantito rappresenti la sicurezza del vivere e dunque l’incitamento a lavorare per migliorare la propria posizione.

Sorge spontanea la domanda: se già si ha un reddito minimo garantito, dunque si è provveduti del necessario per vivere nell’ozio, cosa si può chiedere di più dalla vita?

La domanda è retorica, perché la risposta è: niente.

Ammetto che se mi pagassero per non lavorare, indubbiamente non lavorerei più. Come me, molti. Questo gli inglesi lo hanno capito con un immenso ritardo; lo hanno compreso dopo aver perso le colonie più prospere a causa delle elevate tassazioni, dopo aver fatto crollare il proprio Impero per l’esorbitante costo degli ammortizzatori sociali, della burocrazia e dell’esercito.

L’Impero Britannico si reggeva sul monopolio commerciale in mezzo globo, potendosi così permettere il mantenimento dei poveri in patria. Man mano che l’Inghilterra perdeva colonie e potere commerciale ed al contempo dilagavano sempre più nuove riforme assistenziali, le casse dello Stato iniziavano a ridursi, raggiungendo una obbligata revisione (Beveridge, Churchill, Welfare State) che ha placato temporaneamente la discesa verso il baratro, per poi accentuarla.

 

La salvezza inglese è stata l’applicazione di una dottrina unilaterale di cui non farò il nome, ma ne esporrò l’esponente: Margaret Thatcher.

Sì, siamo ben lontani da una visione più moderna dello Stato Minimo, ma è stato un incipit. Una revisione organica e semplicizzata della società: impresa, iniziativa privata, Individuo, deregulation, privatizzazione, rilancio dell’economia di mercato, concorrenza, diffusione dell’azionariato delle ex aziende pubbliche, riduzione del potere sindacale. Dopo dieci anni di lungo lavoro, sono arrivati i risultati: l’inversione di rotta.

Lei stessa disse: “La storia mi darà ragione“.

E noi posteri, manzonianamente, possiamo sentenziare finalmente che avesse avuto ragione.

Effetti Di Politica Monetaria : BCE e Draghi

Le risposte delle politiche della Federal Reserve (FED) e della Banca Centrale Europea (BCE) alle recenti catastrofiche crisi finanziarie offrono due racconti di effetti indesiderati. In questo articolo, si suggerisce che la politica di stabilizzazione della BCE potrebbe non riuscire a raggiungere i suoi obiettivi. Infatti, una politica monetaria espansiva potrebbe anche ostacolare gli aggiustamenti strutturali dell’economia europea con effetti che vanno a prolungare la crisi dell’economia reale del vecchio continente.

Quando la crisi è iniziata –

Come la Fed, la BCE ha ridotto i tassi di interesse politico a livelli storicamente bassi quando la crisi finanziaria ha fortemente colpito l’Europa ed in particolare le sue economie periferiche. Queste politiche erano state attuate con l’obiettivo primo di soddisfare le esigenze di finanziamento delle banche in quanto la BCE aveva evidenziato un malfunzionamento a livello regionale del meccanismo di trasmissione della politica monetarie. Per calmare i mercati, l’Euro sistema ha fornito liquidità alle istituzioni finanziarie più in difficoltà tramite il suo programma Emergency Liquidity Assistance (ELA). Dal 2011 al 2012, le politiche di finanziamento di lungo periodo (LTRO) avevano l’obiettivo di provvedere liquidità ai partecipanti del mercato creditizio (Banche Commerciali) le quali, a loro volta, dovevano stimolare il credito a famiglie ed imprese. La BCE ha fornito liquidità senza avere garanzie reali tangibili a queste istituzioni, cosa che andava contro anche il suo statuto, e per questo ha dovuto modificarlo. Né la Fed né la BCE hanno seguito i principi di pensiero liberisti della scuola di Chicago ed hanno attuato una politica espansionistica monetaria senza precedenti in Europa con l’uso di tutti gli strumenti di politica monetaria possibili.

 

– Quando le idee politiche si scontrano con la realtà –

I programmi della BCE dovevano stabilizzare i mercati, stimolare i prestiti bancari ed infine aumentare la crescita economica in maniera omogenea a livello europeo. Il vero risultato e’ che questi programmi non hanno aumentato sufficientemente i prestiti bancari e di conseguenza la crescita in molti paesi non ha avuto i risvolti sperati. Le politiche della BCE dal 2008 hanno rallentato l’aggiustamento strutturale nell’area dell’euro (obiettivo del pagamento primario del debito di ciascun paese membro) e hanno incoraggiato un processo di diminuzione del credito verso quelle aree depresse per cui queste politiche erano state destinate, creando ulteriori squilibri all’interno dell’Area Euro. Le banche fortemente indebitate continuano a porgere un pericolo per la stabilità finanziaria. Gli interventi della BCE nel mercato delle obbligazioni hanno permesso ai governi di prendere in prestito a tassi inferiori rispetto a quelli di mercato, grazie al fatto che le banche destinatarie dei fondi della BCE compravano bond dei propri paesi e di conseguenza vi e` stato un immediato abbassamento dei tassi dei paesi in difficoltà. Tuttavia, contrariamente ai nobili presupposti dei banchieri centrali, i governi non hanno utilizzato il margine di manovra per attuare le riforme necessarie alla crescita come promesso. Come conseguenza delle crisi politiche dei grandi partiti europei, il processo delle riforme strutturali si è rallentato notevolmente.

Acquisti Obbligazionari –

Quando la pressione sui governi dell’area periferica dell’euro è aumentata, la BCE ha iniziato ad acquistare obbligazioni sovrane direttamente sui mercati secondari per ridurre i rendimenti obbligazionari. La BCE ha acquistato, ad esempio, titoli di Stato attraverso un suo programma Security Market Program (SMP) fino al 2012. La paura sui mercati e le varie speculazioni finanziarie hanno depresso i valori di mercato obbligazionari destinatari di questo programma (delineato per i paesi della periferia dell’euro area), creando ulteriore instabilità nel sistema monetario e finanziario. Di conseguenza la BCE ha annunciato il famoso programma di acquisto obbligazionario pubblico illimitato (il famoso Bazuca), il programma Outright Monetary Transactions (OMT), nel luglio 2012. Nel 2015, la BCE ha iniziato il suo “programma di acquisto di asset esteso” (APP) o piu` conosciuto come Quantitative Easing (QE), per aumentare le aspettative dell’inflazione e stimolare l’economia. La BCE continuerà ad acquistare obbligazioni di tutti i tipi (Anche Corporate Bond con Ratings sotto l’Investment Grade) almeno fino alla fine del 2017.

– Alterazioni dei Valori dell’Economia Reale –

Tutte queste politiche monetarie sicuramente hanno alterato in maniera forzosa i valori di mercato sia del costo del denaro che i valori mobiliari ed immobiliari, aprendo possibili scenari di bolle speculative in determinati mercati. Sicuramente la politica monetaria ha efficacemente ridotto i costi di finanziamento governativi, mitigando la crisi del debito dei paesi in difficoltà. Questo e’ stato il grande successo di Draghi del famoso programma “Whatever takes” per salvare l’area dell’euro nel 2012. Ma ciò non esula il sistema finanziario europeo da possibili shock di medio lungo periodo che potrebbero realizzarsi qualora ci fosse un prolungamento esteso del Quantitative Easing, e soprattutto di future crisi fiscali dei paesi ad alto debito, se tali paesi non aumentassero in maniera sostanziale i loro tassi di crescita reale. Se questo scenario accadesse, la BCE sarebbe inerme avendo esaurito tutte le politiche monetarie contro la crisi, con una possibile implosione dell’Euro – tra i scenari più negativi.

 

– Accesso Al Credito –

I programmi della BCE hanno avuti risultati largamente al di sotto delle aspettative per lo stimolo dei prestiti bancari. Diverse ricerche sui prestiti bancari della BCE ( ECB bank lending surveys) indicano che l’impatto della caduta dei tassi di interesse del QE è stato limitato riguardo al tasso di crescita dei prestiti nel 2016. Anche se la politica dei tassi d’interesse della BCE ha diminuito il tasso di prestito bancario, ha anche compresso la differenza bancaria (tasso di interesse meno tasso di deposito), avendo un impatto negativo sui bilanci di alcune traballanti banche europee. Inoltre i risultati del Quantitave Easing sul fronte stabilità delle banche non sono più rosei. Sebbene l’annuncio di un programma OMT migliorasse i bilanci delle banche in quanto i prezzi delle obbligazioni ritornavano ai valori ante crisi, l’annuncio di queste politiche ha avuto effetti indesiderati. Contrariamente alle intenzioni della BCE, le banche dell’area dell’euro (sottocapitalizzate) non hanno utilizzato il maggior capitale a basso costo per estendere i prestiti alle imprese sane. Le banche hanno iniziato a ricomprendere prestiti per prevenire perdite e limitare le svalutazioni delle proprie azioni, come spiegato in questo articolo del fondo monetario (unintended real effects.)

In parole povere, invece di promuovere prestiti bancari e stimolare la domanda aggregata, come il meccanismo di trasmissione implicherebbe, nell’attuale sistema, la politica monetaria ha rallentato l’accesso al credito o molte volte allocandolo in maniera inefficiente, creando l’effetto opposto. Come in Giappone (a partire dagli anni ’90), la stagnazione potrebbe diventare un ostacolo alla crescita in Europa e complicare l’uscita dalle politiche a basso tasso di interesse.

– Riforme Strutturali –

Molti economisti sostengono, esplicitamente, che la politica monetaria da sola non crea alcuna crescita reale, ma ha solo effetti monetari di breve periodo. In pratica, esortano le riforme nei paesi dell’area dell’euro a promuovere l’imprenditorialità, gli investimenti e la crescita. Mario Draghi è uno di loro. Secondo Draghi, la politica accomodante potrebbe aiutare a stabilizzare i mercati e fornire ai governi un certo raggio d’azione per attuare le riforme individuate come necessarie per un decollo sostenibile delle proprie economie. A seguito di questa logica, Draghi e la BCE devono aver assunto che i governi utilizzino l’”opportunità” aperta dalla politica monetaria per attuare le riforme. Riforme che in paesi come la Francia e Italia tardano ad arrivare. Il vero problema che a seguito di una grande crisi finanziaria, l’Europa ha una grande crisi politica all’interno. Infatti, l’attuale scenario post Brexit e le varie divisioni dovute al malcontento generale delle politiche europea, pongono una significativa sfida a questo pensiero di fondo di tali grandi economisti.

Bisogna dare atto che il Presidente della BCE Mario Draghi ha sempre ripetuto necessario che i governi nazionali si impegnino per ulteriori riforme. Ha sottolineato nei discorsi che la BCE stava facendo il proprio lavoro, ma i governi non stavano facendo il loro. Ma questa situazione di stallo potrebbe diventare un vicolo cieco. Gli acquisti obbligazionari della BCE hanno attenuato la pressione di aggiustamento del debito per i vari governi dell’area dell’euro. Dal 2012, i rendimenti obbligazionari di governo non rispecchiano coerentemente i fondamentali del mercato perché la BCE è pronta ad acquistare obbligazioni e ridurre i rendimenti, se necessario, alterando di fatto il mercato. In tale assenza di pressione del mercato, gli economisti, tra i quali Draghi, sembrano parlare con un muro. Contrariamente alle ipotesi di Draghi, la politica monetaria ha scoraggiato i governi (di fronte ad un elettorato) di attuare riforme di grande portata. La politica di Draghi sembra essere stata controbilanciata.

 

– Draghi rischia la sua fortuna? –

Nonostante le numerose conseguenze non predette, Draghi continua ad applicare le stesse politiche. Alcuni critici, soprattutto nell’asse tedesco olandese, dicono che questa è la prova che il vero obiettivo di Draghi è quello di consentire ai governi ad alto debito di ottenere finanziamenti a costi molto bassi. La mia ipotesi è che se non c’è una agenda ben determinata di uscita da queste politiche monetarie espansive in un breve periodo, Draghi potrebbe rischiare grosso alla prossima crisi finanziaria.

La falsificazione del Marxismo secondo Popper

Un giovane Popper rimase affascinato da Freud e Marx, poiché entrambi millantavano di aver creato teorie scientifiche.

Fu in gioventù militante del partito comunista austriaco, distaccatosene ben presto quando vide i funzionari acuire la lotta di classe attraverso il sacrificio di vite umane. Allora iniziò a sospettare di queste sedicenti teorie scientifiche, soprattutto del Marxismo, poiché cadeva sempre in piedi, se la cavava sempre nonostante più e più volte se ne dimostrasse la fallacia.

Karl Popper è difatti famoso per aver inventato un metodo basato sulla falsificabilità: l’errore ha un ruolo fondamentale nella scienza, poiché è proprio grazie agli errori che si affinano le strade verso una migliore approssimazione della verità.

La falsificabilità era tipica delle teorie di Galileo, Newton, Maxwell, ma non Freud e Marx. Per entrambi si riesce a trovare una scappatoia quando i conti non tornano.

Un enunciato universale che vuol porsi come una legge scientifica può essere messo in discussione e falsificato con un solo controesempio. Per ottenere ciò bisogna porre delle condizioni di partenza, delle ipotesi, dalle quali costruire il sistema che si va ad analizzare e vietare certi avvenimenti. (In matematica si parla molto di dimostrazioni per assurdo, se l’assurdo fosse applicato la teoria verrebbe smontata)

L’esempio lampante per tutti è proprio l’apologia al marxismo: presentatosi inizialmente come teoria scientifica, ha  completamente mancato le predizioni e ci sono stati numerosi controesempi della sua funzionabilità. I marxisti, anziché correggere il tiro e migliorare la teoria (cosa che avrebbero tranquillamente potuto fare con un passo indietro, rivisitando le proprie categorie interpretative), sono sempre riusciti a trovare l’eccezione (che NON conferma la regola, perché nessuna eccezione conferma una teoria scientifica) e dunque la spiegazione per l’anomalia incombente, terminando col dire che il loro schema iniziale non prevedeva tale avvenimento/serie di avvenimenti.

Allora, chiunque sia dotato di una forte logica, riconoscerebbe in tutto ciò non uno, bensì due errori: o la natura del linguaggio con cui è stata formulata la teoria è posta in modo tale da non ammettere falsificabilità, o è proprio tipico dei sostenitori del marxismo una chiusura entro le proprie idee pur di non prendere atto delle confutazioni.

Un’ulteriore critica fu quella a Hegel e Marx insieme, considerati fautori di sistemi politici che avrebbero portato ad una società meno aperta (così come nel suo volume “Platone totalitario” accusava il filosofo greco di aver tradito il Socrate illuminista e teorizzato una società tribale): Hegel e Marx sono falsi profeti adulati e adorati dal popolo, illuso al punto da credere ad una società perfetta utopica ma da tacciare come non corretti tutti i suoi tentativi di realizzazione attuatisi fin’ora.

Vorrei concludere con l’errore più grande, quello originario, quello che ha generato la nascita del socialismo: la credenza che la storia abbia una direzione.

Credere che il movimento triadico della dialettica possa applicarsi ai fenomeni storici -rendendoli schematici e dissociandoli dagli Individui-, consegnando al Fato il divenire perfetto della Storia, vuol significare credere in un determinismo meccanicistico che segua uno schema preconfigurato e dunque negare la possibilità degli individui di cambiare la direzione della storia e, dunque, del loro destino.

L’Individuo è artefice del proprio destino, ripetevano come una preghiera dogmatica gli illuminati rinascimentali, così come è vero che l’insieme degli Individui non ha un comportamento prestabilito, bensì segue ciò che i suoi componenti ritengono necessario per la realizzazione di una società aperta che tenda al benessere, alla pace e alla realizzazione di ognuno.