Il mito Scandinavo: il successo economico dell’estremo Nord dell’Europa

Per anni i partiti di ispirazione socialista ci hanno portato a modello il sistema economico di Norvegia, Svezia, Finlandia e Danimarca, sbandierati come emblema del successo del socialismo in Europa, in particolare ponendo l’accento sull’eccellenza del welfare state di questi paesi. Posto che l’efficienza di quest’ultimo non sia messo in dubbio, i dati lo confermano, ho ritenuto necessario andare ad indagare quali siano le ragioni che hanno reso questi paesi così economicamente avanzati.

Analizzando la questione superficialmente si potrebbe pensare che l’equazione “Scandinavia=socialdemocrazia” sia corretta, ma approfondendo maggiormente la questione, la verità risulta immediata e lampante: il successo economico dei paesi scandinavi è semplicemente sinonimo di libertà d’impresa, riforme pro-mercato e mentalità capitalista.

Dato che, a differenza di altri, noi non parliamo per slogan o ideologie ma per fatti, riporto alcuni dati emblematici, cercando anche di spiegarli per i non addetti ai lavori:

  • Index of Economic Freedom: è un indice che misura il grado di libertà economica di un paese, estrapolato analizzando dodici categorie di libertà economica fra cui: diritto di proprietà e sua difesa, incidenza fiscale, facilità e libertà di fare impresa e apertura al libero scambio.Nella graduatoria per il 2017, Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia sono rispettivamente al 18°, 19°, 24° e 25° posto. Gli Stati Uniti sono a 17°, il Regno Unito al 12°. La Germania, che è considerato il Benchmark economico di riferimento per l’Europa, è al 26°, l’Italia al 79° posto. Dal 1996 (primo anno di rilevazione) a oggi, Svezia e Finlandia hanno visto un miglioramento delle condizioni di libertà economica del 13,5 % e del 10,3%. L’Italia solo dell’1,6%. (fonte: http://www.heritage.org/index/ranking ).
  • Total Tax Rate: è l’aliquota fiscale totale sui profitti commerciali, più semplicemente misura il grado di imposizione fiscale sui profitti delle imprese. Per il 2016, in Danimarca si è registrato un TTR del 25%, in Finlandia del 38,1%, in Norvegia del 39,5%, in Svezia del 49,1%. Per fare un paragone, e rendere più comprensibili i dati, negli Stati Uniti si è registrato un TTR del 44%, nel Regno Unito del 30,9%, in Germania del 48,9%, nell’ultimamente tanto vituperata Irlanda del 26%, in Italia del 62%. (fonte: https://data.worldbank.org/indicator/IC.TAX.TOTL.CP.ZS ).
  • Individual Real Tax Rate: è un indicatore che misura in percentuale il livello di tassazione reale applicato ad ogni singola persona (ovvero i contributi per la previdenza sociale + le tasse sul reddito + l’IVA, diviso il salario lordo reale di una singola persona). Per il 2016, in Danimarca è pari al 41,49%, in Finlandia è pari al 47,33%, in Svezia è del 47,13%. In Germania è pari al 52,36%, in Irlanda del 32,61%, nel Regno Unito è pari al 35,29%, in Italia è pari al 50,13%. (NdA. I dati per la Norvegia non sono disponibili poiché lo studio che si è preso come riferimento riguarda solo i 28 paesi appartenenti all’UE). (fonte: http://www.institutmolinari.org/IMG/pdf/tax-burden-eu-2016.pdf ).
  • Ease of Doing Business: classifica redatta dalla Banca Mondiale, analizzando la facilità di un imprenditore medio nell’aprire una propria attività commerciale, a livello globale. Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia sono rispettivamente al 3°, 6°, 9° e 13° posto. Gli Stati Uniti sono all’8°, il Regno Unito al 7°, la Germania al 17°, l’Italia al 50° posto. (fonte: http://www.doingbusiness.org/rankings ).

 

Questi fantastici risultati in termini economici sono frutto di riforme economiche strutturali di puro stampo liberista, volte alla globalizzazione ed estremamente connesse al commercio internazionale. Grazie a queste riforme, questi paesi hanno avuto le risorse per mettere in piedi quel sistema di welfare tanto agognato.

In altre parole, il cosiddetto mito del socialismo-democratico Scandinavo è in realtà, ironicamente, finanziato da uno dei più grandi progetti capitalisti al mondo.

Dunque la conclusione è chiara e semplice: il successo economico di un paese dipende dal grado di libertà economica vigente in esso, sia in termini fiscali che burocratici. La libertà d’impresa e, di conseguenza, la maggior capacità di creare ricchezza e una bassa imposizione fiscale sono la chiave della prosperità sociale ed economica di un paese.

Le tette della Ratajkowski non offendono nessuno

Sono passati 16 mesi da quando Sadiq Khan, il sindaco di Londra, ha messo al bando le pubblicità immorali, da allora la situazione nella capitale inglese non è affatto migliorata, ne è la prova il mancato rinnovo alla licenza di Uber.

Tralasciando il fatto che due anni fa sostenesse di essere un Uber user e la sua incoerenza, possiamo tornare liberamente a parlare di bikini. Cosa che, invece, non si può fare a Londra.
Le tette di Emily Ratajkowski non fanno male a nessuno, eppure sono su Instagram, Facebook, Twitter, nei meandri del web e forse forse arrivano persino nel deep web. Come lei, migliaia di fitness model, modelle in bikini, attrici e ragazze di bella presenza pubblicano con una buona frequenza fotografie da calendario sexy.

E, diciamocelo chiaramente, anche le ragazze non resistono ad un bel manzo che dimostri di avere anche un cervello. Cosa c’è di male nell’apprezzare certe caratteristiche estetiche? Che siano dettate da canoni sociali o da gusti personali.

La moralità presuppone che qualcosa sia un bene e qualcos’altro un male: è una questione privata, come la religione, a cui dovrà pensare l’Individuo. Oggi si asserisce sia sbagliato mostrare il corpo femminile con la scusante di non offendere chi non rientra in determinati parametri o di non indurre alla depressione chi è più sensibile all’argomento, un po’ come se gli Individui non fossero capaci di discernere cosa sia giusto per loro; un domani la censura potrebbe spettare ai giornali, alle televisioni, ai siti web.

Questa idea di celare la comunità dietro ad una teca di vetro rende la comunità stessa estremamente instabile, poiché sempre più assuefatta dalla protezione dello Stato dai “pericoli morali”. Chiameranno sempre più spesso a gran voce l’intervento della censura, a proteggere fasce di popolazione che potrebbero sentirsi offese o umiliate al confronto.

Il futuro che loro vogliono è un futuro senza le tette della Ratajkowski; è questo il futuro che vogliamo anche noi Liberali?

Introduzione al Rule of Law, la pietra miliare del capitalismo

Sentiamo spesso parlare di capitalismo e di economia di mercato, ma non ci rendiamo conto che per ottenere quest’ultimi è necessario un sistema legale che permetta agli scambi di realizzarsi. Il Rule of Law (N.d.A. traduzione inglese di Governo della Legge), è il meccanismo che permette di limitare il potere dello stato e di assicurare un buon funzionamento del sistema legale1.

Il Governo della Legge è declinazione di uguaglianza di fronte alla legge (N.d.A. equality before the law) ovvero, una volta che le leggi sono state promulgate, la loro applicazione è di per sé universale. All’uguaglianza di fronte alla legge si contrappone la Legislazione cioè la legge che non si pone in maniera equanime nel valutare la bontà dei comportamenti dei cittadini, ma quella che si presta a interessi particolari.

La Legislazione, infatti, è ciò che impedisce la realizzazione del Rule of Law. Essa è la radice di quelle decisioni che spingono il potere esecutivo, non a generare norme generali e astratte, ma a comportarsi in modo dispotico e arbitrario.

L’uguaglianza davanti alla legge è anche detta Isonomia2, dal greco isos che significa “uguale” e nomos che significa “legge” oppure “norma”. Essere liberali vuol dire, in primis, rispettare questo principio cardine ovvero opporsi all’arbitrarietà del potere per esaltare l’universalità della legge.

I possibili esempi possono essere molteplici e, in questo caso, non si coniugano soltanto nell’attuazione della libertà economica, ma anche nella protezione dagli abusi di quella personale. Se, per esempio, un burocrate (o il potere esecutivo) di stato agisse in modo arbitrario nei confronti di un cittadino senza attenersi alle norme vigenti, si configurerebbe una violazione de Governo della Legge. Se il suddetto burocrate si comportasse in modo corretto, il Rule of Law sarebbe rispettato. La situazione migliorerebbe ulteriormente se anche le norme fossero scritte in modo da non sostenere interessi particolari o, addirittura, se le norme stesse non fossero il frutto dell’inventiva del legislatore, ma fossero semplicemente una sintesi di norme sociali in vigore come consuetudini.

Le implicazioni economiche sono certamente notevoli. Infatti, i paesi che beneficiano di un sistema legale più avanzato, soprattutto per quanto riguarda la protezione contro l’espropriazione, sono quelli che solitamente sperimentano i migliori standard di vita. Di sotto si riporta un esempio di come la protezione dei diritti di proprietà può portare a standard di vita più alti per i propri cittadini3, 4.

Esistono anche delle classifiche che ogni anno misurano la qualità del sistema legale. Due importanti esempi possono rifarsi alle classifiche sulla libertà economica di Heritage.org5e del canadese Fraser Institute6. Risulta molto interessante anche la classifica alternativa creata dal World Justice Project7, forse più omnicomprensiva delle ultime due perché meno focalizzata sull’aspetto economico.

Come evitare, quindi, che il potere arbitrario dello stato scavalchi le libertà personali dell’individuo? Oppure che i diritti di proprietà vengano violati, per esempio attraverso l’abuso del potere di esproprio (N.d.A. il concetto di esproprio per pubblica utilità si traduce in inglese con eminent domain) da parte dell’autorità pubblica? Nel caso l’esproprio risulti assolutamente necessario per la tutela del bene pubblico (e per alcuni casi non potrebbe mai esserlo!) come verrebbero verrebbe decretato il valore di esproprio? A quanto ammonterebbero eventuali ulteriori compensazioni? Quanto tempo verrebbe concesso all’espropriato per lasciare la sua proprietà? Sono tutte domande (e ve ne sono ulteriori) a cui è molto complicato rispondere e necessitano, quindi, di un approfondimento adeguato presente nella letteratura economica. Queste politiche, inoltre, sono di difficile attuazione in alcuni paesi, principalmente a causa di governi autoritari che attuandole perderebbero il potere che esercitano sui loro cittadini oppure di una manifesta incompetenza negli assetti istituzionali.

E la situazione in Italia? I diritti di proprietà vengono discretamente rispettati, ma problemi come la corruzione e il lentissimo sistema giudiziario minano l’affidabilità in questo meccanismo, relegando il nostro paese in un limbo tra gli avanzati paesi occidentali ed il resto del mondo.

[1] https://www.oxfordreference.com/view/10.1093/oi/authority.20110803100433129

[2] https://oxfordre.com/classics/view/10.1093/acrefore/9780199381135.001.0001/acrefore-9780199381135-e-3347#acrefore-9780199381135-e-3347

[3] https://data.oecd.org/emp/employment-rate.htm

[4] https://www.heritage.org/index/explore

[5] https://www.heritage.org/index/about

[6] https://www.fraserinstitute.org/studies/economic-freedom-of-the-world-2018-annual-report

[7] https://worldjusticeproject.org/our-work/publications/rule-law-index-reports/wjp-rule-law-index-2019

Livigno, esempio meraviglioso di Meno Tasse

Sapevate che esiste un comune che dal 1910 gode dello status di Luogo Extradoganale? Ebbene, esiste un comune in Italia che da oltre un secolo non paga alcun euro di IVA allo Stato italiano. Questo comune si chiama Livigno, nella provincia di Sondrio, in Lombardia. Parliamo di un comune di circa seimila abitanti.

Livigno si trova nell’Alta Valtellina a 1800 mt di quota. Un comune, territorialmente parlando, che si è sempre trovato in una situazione palesemente penalizzante, considerando che era abbastanza disconnesso e lontano rispetto ai centri urbani principali, come potrebbe essere in questo caso il capoluogo Sondrio.

Parliamo di un comune che nel 1910 era privo di collegamenti stradali e di attività commerciali, sicché l’economia era prevalentemente rurale. Pertanto, la Monarchia decise di mettere in condizione Livigno di non avere il carico fiscale sulle spalle, allo scopo di poter gestire al meglio il disagio provocato dalla posizione geografica.

A Livigno non viene pagata l’IVA, non ci sono alcune accise sul carburante o sui tabacchi, idem sugli alcolici. Ebbene, parliamo di uno straordinario caso di Meno Tasse.

Pertanto, siamo molto felici nell’annunciare che Livigno sia oggi uno dei comuni più ricchi in Italia. Livigno è la perfetta dimostrazione che la non presenza fiscale dello Stato permette agli stessi abitanti di poter investire meglio, di potersi arricchire meglio, di poter vivere meglio, senza dover ricorrere ad una montagnosa pressione fiscale, o a forme di assistenzialismo come il Reddito di Cittadinanza.

In primis, se nel 1910 Livigno era un comune rurale privo di infrastrutture degne di nota, con il passare degli anni sono stati fatti dei grossi passi in avanti su questo aspetto. Giusto per fare un breve elenco:

  • Passo del Foscagno, costruito nel 1914;
  • Strada Statale 301 del Foscagno, costruita nel 1914;
  • Passo della Forcola, che collega Livigno con la Svizzera, è aperto dal 2012.

Ma la vera incisività di Livigno, quasi da imbarazzare un politico italiano qualsiasi, è dal punto di vista economico e turistico. Oggi Livigno è una delle mete più ambite nelle stagioni invernali, con una serie innumerevole di servizi per le persone, tra bar, ristoranti, gioiellerie e negozi di vario genere.

Parliamo di un comune che offre una serie di servizi adattabile a qualsiasi esigenza, dalle famiglie ai single, dalle persone più anziane ai più giovani. Un territorio estremamente capitalista in grado di offrire servizi dal relax, locali notturno per il divertimento, giochi per i bambini, all’ebbrezza di divertirsi con le motoslitte.

Chiedo scusa se sembro qualcuno che vuole pubblicizzare una meta turistica o ricoprire di meriti qualcuno in particolare, ma non posso non essere entusiasta di questa meravigliosa realtà italiana di meno Stato e più Capitalismo. Livigno è la dimostrazione che il capitalismo vero, spontaneo e volontario e privo di interferenze statali è in grado di sopperire a tutto. Siamo passati da un territorio particolarmente penalizzato, isolato e rurale, ad un territorio estremamente servito, ricco e competitivo.

Per non parlare del passo in avanti dal punto di vista del costo delle case. Nel 1910 Livigno era banalmente un territorio di contadini con case rurali. Oggi lo stesso comune ha dei meravigliosi chalet di 80-85mq che costano circa 500.000€. Alla faccia di chi attacca i paradisi fiscali, quasi fosse un peccato mortale. Ben vengano i paradisi fiscali, se i risultati sono come Livigno.

Antifascismo e fascismo sono la stessa cosa?

Spesso, parlando di politica, si dice che “fascisti e antifascisti sono la stessa cosa”. Tra chi abbraccia questo pensiero come fosse verità rivelata e chi lo rifugge è, in realtà, una tesi interessante, ma che alla prova dei fatti dimostra che entrambi gli schieramenti hanno torto.

In teoria sembra una scemata

Ovviamente, verrebbe da dire, se si chiama “antifascismo” è ovvio che sia opposto al fascismo. Ma questo ragionamento aveva valore durante il regime, quando il fascismo era il male al governo e bisognava, uniti, sconfiggerlo.

Oggi le cose sono più complesse. Il fascismo è diviso in varie correnti e vi sono anche numerosi movimenti borderline, non chiaramente attribuibili ad esso.

Da ciò deriva una certa difficoltà a definire obiettivamente cosa sia il fascismo: Ci sono fascismi che hanno accettato di buon grado la democrazia, fascismi dichiaratamente antirazzisti e pro-Islam e addirittura fascismi autonomisti! Ovviamente sussistono alcuni elementi comuni quali la tendenza a volere un’economia socializzata, una proprietà privata che rispetti la funzione sociale e un certo nazionalismo.

Ma alla prova pratica è diverso…

Piccolo problema: L’economia socializzata e la proprietà privata socializzata mica la vogliono solo i fascisti, ma anche gran parte della sinistra. Quello del rossobrunismo, ossia superare le differenze tra rossi e neri per lottare assieme contro capitalismo e simili, non è di certo un fenomeno nuovo: Togliatti nel 1936 lodò la Rivoluzione Fascista e parlò di Mussolini come un traditore di tali ideali, Bombacci, un comunistone che creò la propria edizione della Pravda dedicata a Mussolini, venne fucilato addirittura assieme a lui.

In sostanza definire un fascismo a cui opporsi è spesso difficile. Il modo migliore di farlo è sostenere un’ideologia che si opponga ai fondamenti del fascismo. Se si ritiene il fascismo fondamentalmente antidemocratico – quindi un metodo – è sufficiente sostenere qualsiasi ideologia democratica, mentre se si ritiene possibile un fascismo esistente in democrazia la cosa diviene più complessa.

Confusione tra antifascismo e antifa

Fin qui abbiamo, al massimo, mostrato come sia difficile essere antifascisti oggi, ma qualcosa deve aver originato l’equivoco di cui parliamo nel titolo. E questo qualcosa è il movimento antifa.

Trattasi di un movimento spontaneo composto principalmente da estremisti di sinistra, e questo movimento spesso adotta metodi e idee fasciste. Violenza – spesso associata a quella dei black bloc -, antisemitismo, rifiuto del capitalismo e della globalizzazione, minacce, distruzione di proprietà e anche peggio.

È chiaro che una persona normale e non troppo informata quando sente per la decima volta in TV che gli antifa hanno fatto squadrismo per distruggere qualche negozio random per diffondere la loro idea pensi “sì ma cavolo, fascisti e antifascisti sono la stessa cosa”.

Ma, come abbiamo mostrato nel capitolo precedente, l’antifascismo non è un’ideologia a sé ma l’adesione ad un’ideologia incompatibile col fascismo.

Per concludere

È chiaro come l’opposizione al fascismo non sia rappresentata solo da qualche esagitato che si sarebbe trovato molto bene con le squadracce sansepolcriste. Affermare come l’antifascismo sia equivalente al fascismo, senza specificazione alcuna, è quantomeno ingenuo, se non addirittura in malafede.

Viene tuttavia da chiedersi, a più di settant’anni dalla fine del ventennio, se sia così importante la semplice etichetta di antifascismo. Onestamente credo che ormai sia più importante fare opponendosi con la propria idea ai residuati del fascismo che opporsi a un regime ormai morto e sepolto.

Perché sono tutti buoni a dire di voler togliere qualche fascio littorio in giro, ma quanti rinuncerebbero – o quantomeno modificherebbero radicalmente – alle cose fasciste ancora in vigore? Giusto per citarne alcune:

  • Il TULPS, sviluppato per far funzionare l’apparato di polizia fascista e in larga parte ancora in vigore
  • I vari reati di vilipendio
  • La regolamentazione della professione giornalistica
  • Varie altre leggi, decreti, ordini, enti.e simili che servono solo a limitare la libertà economica e personale