Scuole pubbliche: rendiamole private

Il nostro sistema di istruzione primaria e secondaria dev’essere radicalmente cambiato. Tale necessità deriva soprattutto dai problemi che l’odierno sistema ha, ma è stata rafforzata dalle conseguenze delle rivoluzioni tecnologiche e politiche degli ultimi anni. Rivoluzioni che promettono un futuro migliore per il mondo ma anche un aumento dei conflitti sociali derivanti dall’allargamento della differenza stipendiale tra i più abili e i meno abili.

Una ricostruzione del sistema istruzione ha il potenziale di ridurre nettamente i conflitti sociali e, al contempo, rafforzare la crescita e il miglioramento della qualità di vita reso possibile dalle nuove tecnologie e dall’allargamento del mercato globale.

A mio parere tale cambiamento si può ottenere solo privatizzando larga parte del sistema educativo, ossia permettendo ad un’industria privata e for-profit di svilupparsi e di permetterle di offrire i propri servizi educativi in competizione con i servizi pubblici.

Sicuramente questa transizione non può avvenire dal giorno alla notte, dovrà essere graduale. Il migliore modo per permetterla è instaurare un sistema a voucher che permetta ai genitori di scegliere liberamente la scuola per i propri figli.

Vari tentativi sono stati fatti per introdurre dei voucher, ma nessuno di questi è arrivato ad un sistema voucher universale, soprattutto grazie al potere di lobbying dei sindacati dei docenti, tra i più potenti del Paese.

Il deterioramento dell’istruzione

La qualità dell’istruzione è in netto calo rispetto a qualche decennio fa. Non esiste ambito nel quale gli abitanti delle zone più povere siano svantaggiati quanto quella dell’istruzione. Tra le ragioni, oltre al declino di certi quartieri, il progressivo accentramento delle competenze sull’istruzione che ha permesso ai sindacati di aumentare il proprio potere.

Più è passato il tempo più il sistema è peggiorato accentrandosi. La competenza per le scuole è passata dagli enti locali allo Stato. Ad oggi più del 90% dei nostri ragazzi va in una cosiddetta “scuola pubblica”, che più che pubblica è un feudo privato di burocrati e sindacalisti. I risultati li conosciamo tutti: alcune scuole pubbliche di buona qualità nelle zone ricche, scuole scadenti nelle zone povere, con una crescita di violenza, studenti e docenti demoralizzati e performance in calo.

Questi cambiamenti nel sistema scolastico hanno reso più chiara la necessità di una riforma, ma hanno anche aumentato gli ostacoli verso di essa. I sindacati sono assolutamente contrati a qualunque misura che riduca i loro poteri e sono disposti a moblitare tutte le loro forze contro di esse.

La nuova Rivoluzione Industriale

La ricostruzione del sistema scolastico è resa più urgente dalle ultime due rivoluzioni avvenute nelle passate decadi, quella tecnologica – in particolare di metodi di trasmissione di dati molto più efficienti – e quella politica che ha aumentato la portata di quella tecnologica.

La caduta del Muro di Berlino è stato l’evento più simbolico di questi avvenimenti, ma non è stato il più importante. Per esempio in Cina il comunismo non è né morto né collassato ma dal 1976 il premier Deng Xiaoping avviò delle riforme di mercato che aprirono la Repubblica Popolare al mercato internazionale. Simili accadimenti hanno portato molte più persone nel Sud America a vivere in Paesi definibili come democrazie liberali e non come autocrazie militari. Democrazie che vogliono a tutti i costi entrare nei mercati internazionali.

La rivoluzione tecnologica permette ad una compagnia in una qualsiasi parte del mondo di usare risorse da tutt’altra parte, producendo in un’altra parte ancora e vendendo ancora da un’altra parte. Ormai è impossibile parlare di un’auto americana o di un’auto giapponese, ad esempio, e ciò vale per tantissimi prodotti.

La possibilità di lavoro e capitale di un posto di collaborare con lavoro e capitale di tutt’altro posto ha avuto un enorme effetto anche prima della rivoluzione politica. Ha significato una quantità enorme di capitale di Paesi ricchi disposta a collaborare col lavoro di Paesi più poveri, portando ad una collaborazione non solo economica ma di formazione, di condivisione di conoscenze e anche di tecniche.

Prima della rivoluzione politica il collegamento tra lavoro e capitale in tutto il mondo ha avviato una forte espansione del mercato internazionale, la nascita di nuove multinazionali e una crescita prima inimmaginabile nelle cosiddette Quattro Tigri dell’Asia, mentre in America il primo a beneficiarne fu il Cile, seguito rapidamente da altri paesi.

La rivoluzione politica, però, ha rafforzato quella tecnologica in vari modi. Per prima cosa ha allargato nettamente il lavoro a basso costo – non necessariamente di bassa qualità – che può collaborare con capitale e lavoro dei Paesi più avanzati. La caduta della Cortina di Ferro ha aggiunto a tale mercato mezzo miliardo di persone, la Cina un miliardo, tutte persone ora libere, almeno parzialmente, di intraprendere azioni capitaliste con altri individui in tutto il mondo.

Per seconda cosa questa rivoluzione politica ha squalificato l’idea di pianificazione centrale e ha aumentato la fiducia per i mercati, rafforzando scambi e collaborazione internazionale.

Queste due rivoluzioni hanno portato ad una “seconda rivoluzione industriale” paragonabile a quella avvenuta circa 200 anni fa, avvenuta anch’essa grazie all’avanzamento tecnologico e alla libertà di scambio. In questi 200 anni il mondo è cresciuto più dei precedenti duemila. E il record potrà essere battuto nei prossimi secoli se useremo al massimo le nuove opportunità.

Differenze di stipendi

Queste due rivoluzioni gemelle hanno portato a stipendi maggiori per tutte le classi sociali nei Paesi in via di sviluppo mentre i risultati sono più controversi nei Paesi ricchi. Infatti, per varie ragioni, gli stipendi dei più abili crescono mentre quelli dei meno abili tendono ad avere una pressione sugli stipendi verso il basso. E siamo dunque arrivati ad avere grandi differenze tra gli stipendi di chi guadagna di più e di chi guadagna di meno.

Se lasciamo procedere tutto ciò senza controllo rischiamo di avere gravi conseguenze sociali, con parti del Paese in condizioni da Terzo Mondo e altre in estrema ricchezza. In sostanza è la ricetta per un disastro sociale e le pressioni per impedirlo con mezzi protezionistici e simili saranno sempre più forti.

Istruzione

Ad oggi il nostro sistema scolastico è complice di tale possibile disastro sociale. Eppure è potenzialmente la più grande forza che abbiamo a disposizione per evitarlo.

Sia chiaro: la predisposizione individuale gioca un ruolo importantissimo nel definire le opportunità aperte per ogni individuo. Ma non è nemmeno l’unica cosa che conta, come dimostrano numerosi esempi. Sfortunatamente, però, il nostro sistema scolastico fa poco per permettere sia ad individui predisposti che non predisposti, favorendo dunque i primi per le loro abilità innate e contribuendo a una “stratificazione sociale”.

C’è grande spazio di manovra per migliorare il nostro sistema scolastico, che probabilmente è tra le attività più arretrate in questo Paese. Insegniamo ai ragazzi come lo facevamo 200 anni fa: un docente davanti a un mucchio di studenti in una stanza chiusa. L’arrivo dei computer ha migliorato la situazione, ma molto poco. Non sono praticamente mai usati in modi nuovi e visionari.

Credo che l’unico modo per avere un gran miglioramento del sistema sia quello di privatizzarlo finché una considerevole parte dei servizi di istruzione sia fornita agli individui da imprese private. Solo una mossa del genere indebolirebbe a sufficienza l’attuale establishment educativo in maniera da poter apportare i necessari cambi sostanziali. E nulla costringerebbe le scuole pubbliche a mettersi in ordine più del dover trattenere la propria clientela. Nessuno può predire la direzione che un vero libero mercato educativo prenderà.

Sappiamo però dall’esperienza quanto possa essere creativa la libera impresa, quanti nuovi servizi e prodotti possa introdurre e come abbia come supremo obiettivo la soddisfazione del cliente, ed è ciò che serve nell’istruzione. Ben conosciamo la rivoluzione che ha avuto l’industria telefonica aprendosi alla concorrenza oppure, tornando un po’ indietro nel tempo, come il fax abbia minato così tanto il monopolio della posta di prima classe portando poi alla nascita dei corrieri privati.

Le scuole private frequentate oggi dal 10% sono spesso scuole di élite molto costose che rappresentano una minima porzione della popolazione ma esistono anche molte scuole cattoliche che fanno concorrenza al governo con costi bassi, spesso grazie anche a personale volontario e donazioni di mecenati. Queste scuole danno un’istruzione migliore ad una certa parte della popolazione, ma non sono ancora in grado di portare a cambiamenti innovativi. Per quello serve un sistema privato molto più forte. Il problema è come arrivarci.

I voucher non sono di per sé un fine, sono un mezzo per favorire la transizione dallo Stato al Mercato. E la situazione descritta più volte nell’articolo ne rende l’applicazione urgente.

I voucher, però, possono promuovere una rapida privatizzazione solo se costituiscono un reale incentivo per gli imprenditori ad entrare nel settore. Ciò richiede che il sistema a voucher sia universale, ossia aperto a chiunque oggi abbia diritto a frequentare una scuola statale, e che il costo – seppur potenzialmente minore rispetto a ciò che lo Stato spende oggi – sia sufficiente a coprire le spese di una buona istruzione. Se il voucher è costituito in questo modo ci saranno anche numerose famiglie disposte ad aggiungere qualcosa per avere un’istruzione ancora migliore. Ma, come accade in tutte le industrie, presto l’innovazione del prodotto “premium” arriverà anche al prodotto base.

Perché ciò accada, però, è essenziale che la libertà di impresa non sia minata, che non vi siano limiti alla capacità delle scuole di sperimentare, esplorare e innovare. Se ciò accade tutti, eccetto una piccola percentuale di persone con privilegi acquisiti, vinceranno: studenti, genitori, insegnanti, contribuenti, specie coloro che vivono in grandi città dove l’istruzione privata avrebbe costi esorbitanti mentre quella pubblica è scadente.

La comunità del business ha grande interesse nell’allargare la platea di cittadini ben istruiti e mantenere una società libera con mercati aperti e in espansione in tutto il mondo. Entrambi gli obiettivi verrebbero favoriti da un sistema a voucher.

Per concludere, come in ogni ambito dove vi sia stata una massiccia privatizzazione, la privatizzazione della scuola produrrebbe una nuova impresa capace di tratte profitto e di essere molto attiva dando a molte persone talentuose una vera opportunità di entrare nel mondo dell’insegnamento, persone che oggi sono disincentivate dallo stato pietoso di molte delle nostre scuole.

Questa non dovrebbe essere una questione in mano allo Stato centrale. L’istruzione dovrebbe restare un affare primariamente locale. Il sostegno alla libertà di scelta crescerà e non potrà essere tenuta a bada per sempre dagli interessi dei sindacati e dei burocrati. Penso che prima o poi si arriverà, da qualche parte, a un punto di rottura che porterà ad un percorso generale di voucherizzazione per quanto si dimostrerà efficiente.

Per fare in modo che una maggioranza del pubblico sostenga tali misure dobbiamo strutture la proposta in questo modo:

  • Sia semplice da comprendere per un elettore
  • Garantisca che non aumenti la tassazione ma che, possibilmente, la riduca

Questo articolo è una traduzione di un saggio del 1995 di Milton Friedman a cura di Brian Sciretti. Se ti è sembrato relativo alla situazione italiana non c’è da sorprendersi. Il sistema descritto da Milton Friedman funzionerebbe altrettanto bene anche in Italia.

N.B. Per praticità i nomi delle autonomie americane sono stati tradotti in modo generico.

La perfetta scuola per comunisti, spiegata da un liberale

Vi stupirà sapere che un liberale classico come me, quando legge i post del Fronte della Gioventù Comunista, non resta amareggiato, almeno fino ai tre quarti del post.

Infatti il FGC ha varie volte fatto notare problemi palesi dell’istruzione italiana, l’ultimo in ordine temporale quello dei problemi dell’edilizia scolastica. Giusto per capirci: c’è un crollo nelle scuole pubbliche ogni tre giorni e, aprendo un giornale a caso della provincia lombarda, il dato è confermato empiricamente: A distanza di due giorni è crollato l’intonaco in una scuola di Caravaggio, appena costruita, e in un’altra di Treviglio. E sono due paesi confinanti.

Ma ciò che mi lascia sempre l’amaro in bocca è vedere questi giovani disposti a mettersi in gioco per cambiare le cose dare la colpa a chi non c’entra nulla: il liberismo.

La scuola pubblica italiana è quanto più lontano esista dal liberalismo economico. E’ gestita dallo Stato, in un regime di quasi-monopolio: essendo l’alternativa a pagamento, nonostante si sia già pagata la propria parte con la tassazione, la concorrenza è disincentivata. E in certe regioni del Sud, più disagiate economicamente, è un monopolio totale (in Calabria solo l’1% frequenta scuole non statali, infatti è la peggiore istruzione d’Italia), senza cura per alcuna logica di costi, tant’è che spende 3000€ in più ad alunno rispetto ad un largo e generoso sistema a voucher.

Ed è da ciò, dall’essere statale, che derivano questi problemi.

Pensateci: gli studenti, per la scuola statale, sono di fatto un peso. Non apportano alcun contributo tangibile, a parte accrescere le spese di gestione.

Ma, al contempo, queste spese non hanno bisogno di un vero controllo, non c’è un vero e proprio bilancio da rispettare. Risultato? Lo Stato ha trasformato l’istruzione pubblica in un gran poltronificio e, siccome i ragazzi non votano per praticamente tutto il proprio percorso scolastico, ai politici non interessano.

Loro puntano ai voti di chi aspetta il concorsone per entrare in ruolo.
Quando chiedete più soldi, di fatto, state facendo il loro gioco, perché così potranno assumere più persone per scopi clientelari. Non useranno mai quei soldi per voi, perché non votate.

Ma arriviamo al vostro istituto, una piccola periferia dello Stato. Questo sistema clientelare l’ha essenzialmente lasciato con pochi soldi, quindi non può fare cose come: rendere sicuro l’edificio, sistemare il riscaldamento, comperare la carta igienica o effettuare interventi ecologici. Cosa potete fare voi?

Oh, nulla, perché la scuola è pubblica e voi siete solo un numero in un database del MIUR. Non è come qualunque altro business dove, se non soddisfatti, avreste la possibilità di spostare altrove il vostro capitale.

Non siete in possesso di alcun peso contrattuale da poter usare contro una dirigenza negligente, una minaccia simile a “se non sistemi il riscaldamento vado dalla concorrenza” non avrebbe alcun effetto.

Anche perché, nascosti dietro una coltre di vittimismo, o dirigenti potranno fare poco: è Roma che ha deciso di assumere più gente del dovuto, lasciando voi e la vostra scuola in braghe di tela.

Provate a pensare ad una cosa: concorrenza nelle scuole. Scuole di enti locali, scuole sociali (potreste aprirne una anche voi!) e scuole private per profitto che competono per avervi come studenti. Lo Stato, invece di provare a fare il tuttologo fallendo miseramente paga l’istituto di vostra scelta per istruirvi e certifica, con degli esami, i vostri progressi. Questo è il sistema a voucher.

Ah, l’orribile logica del profitto! Ma chi ha un profitto dalla vostra istruzione sarebbe incentivato ad offrirvi un buon servizio, sapendo che potete cambiare istituto e che creare nuovi istituti non richiede un lungo processo. Anzi, potrebbe essere tranquillamente la società civile di un luogo ad aprire una scuola. In sostanza una riforma del genere toglierebbe allo Stato per dare a noi cittadini.

Gli istituti sarebbero incentivati non solo ad offrirvi una buona didattica, cosa che spesso l’attuale scuola statale non fa, ma anche ad offrire un ambiente positivo, sicuro, dignitoso e anche ecologico, dato che pagherebbero le bollette e una scuola coibentata spende meno di una con spifferi in ogni dove. In sostanza, un sistema che risponde a voi. Chi andrebbe mai in una scuola con risultati negativi e che cade a pezzi?

La gran parte di coloro che frequentano la scuola pubblica. Perché essa non lascia libertà di scelta e risponde ai politici. E, come già detto, a loro voi non interessate.

Quindi, ascoltate un liberale: volete un’istruzione dove siate persone e non numeri, dove non dovete aspettare mesi per un prof, dove non rischiate che vi crolli in testa mezza scuola, dove tutti, dal figlio dell’operaio a quello del dirigente di banca abbiano le medesime opportunità? Bene, la voglio anche io.

Ma lo Stato non ce la darà mai. Solo un sistema dove noi, non un burocrate, scegliamo può darcelo. Un cambiamento reale arriverà solo in questo modo.

Qualcuno vorrà credere nella favoletta che l’istruzione in Italia sia schiava del neoliberismo, dei tagli per colpa delle private e che sia necessario più Stato per cambiare le cose. Ebbene, costoro sono liberissimi di coltivare questa opinione; ma abbiano almeno la decenza di non scendere in piazza a chiedere proprio ciò che ha rovinato l’istruzione italiana, almeno per rispetto di chi ha vissuto sulla propria pelle i disagi di essere un numero in una scuola che non si cura degli interessi dei suoi studenti.

Professore, perché dovresti volere il voucher scuola

Il voucher scuola, ossia il modello che prevede scuole in competizione, pagate su base individuale con un buono statale, sembra come fumo negli occhi per i sindacati dei professori, che parlano di più scuola pubblica, più Stato e meno mercato e di no imperativi a qualsiasi ipotesi di regionalizzazione o privatizzazione dell’istruzione.

Eppure, da un punto di vista individuale, i professori avrebbero grandi benefici da un modello del genere. Probabilmente chi insegna, ormai abituato all’attuale sistema, nemmeno arriva a immaginare un’alternativa, e se la immagina crede che sia una totale distruzione della professione di docente.

Ma così non è, e in questo articolo mostreremo come il sistema a voucher sia benefico, oltre che per gli alunni, anche per gli insegnanti.

Più dignità

Sarebbe stato troppo semplice iniziare con discorsi economici individuali. Iniziamo parlando di dignità.

Parliamo un secondo di costi standard, in sostanza quanto costa istruire uno studente nel modo in cui lo si fa nella scuola italiana. In una scuola paritaria tale costo è solitamente di poco inferiore ai 5000€, mentre nelle scuole pubbliche è di poco più di 8000€.

Eppure la scuola pubblica, nonostante abbia di più in termini economici rispetto al privato deve contare non solo sui contributi volontari dei propri alunni ma, spesso, sulla carità di aziende private come i supermercati.

Tutto ciò non è dignitoso. Né per l’istituzione in sé né per chi vi insegna all’interno. La domanda è: come si arriva alle migliori pratiche nel settore in modo da spendere meno e usare meglio?

In fin dei conti la scuola privata può offrire un servizio identico a quello della pubblica spendendo meno. Come mai?

Perché, anche quando non profit, hanno un bilancio e devono ragionare come un’impresa. La scuola pubblica non lo fa e quando si inizia a non seguire la miglior pratica dal punto di vista economico spesso si tende a non farlo anche negli altri campi. Così, negli anni, siamo arrivati al paradosso di una scuola pubblica che deve puntare sui voucher dell’Esselunga per poter accedere a dotazioni tecnologiche.

In un sistema a voucher il costo standard stesso sarebbe il voucher. Le scuole avrebbero più responsabilità economica e dovrebbero iniziare ad adottare le migliori pratiche che andrebbero, alla fine, a favorire chi nella scuola insegna e chi la frequenta.

Basta incubo graduatorie

Le graduatorie scolastiche sono un incubo. Non scherzo, sono così complesse che ricordano una matrioshka: graduatorie nazionali che costituiscono in parte graduatorie d’istituto che servirebbero a coprire le supplenze, che però restano scoperte rendendo necessario l’istituto della messa a disposizione.

Le graduatorie, oltre a non funzionare, portano i docenti ad assurde manovre per salire di posto: la già citata messa a disposizione, che servirebbe per sopperire a qualche supplenza non programmata è divenuta un vero e proprio business, con siti e aziende che si occupano di spedire le richieste dei docenti alle scuole di tutta Italia, ovviamente dietro compenso.

Ancor peggio, alcune scuole paritarie con pochi scrupoli sottopagano i docenti, arrivando addirittura a pagare loro solamente i contributi pensionistici. Tutto ciò per permettere a questi docenti di ottenere posti in questa graduatoria.

Ma il meccanismo della graduatoria è profondamente ingiusto ed obbliga i docenti ad una vera e propria prostituzione professionale per salire in questa mitologica lista.

In un sistema a voucher tutto ciò non accadrebbe. Essendo ogni scuola libera nelle assunzioni non esisterebbe una lista dove si pesca chi insegna ma, come per ogni altro lavoro, ci sarebbero colloqui, prove e libertà di scelta anche per il docente, che potrebbe scegliere dove candidarsi e, poi, scegliere in quale scuola effettivamente insegnare, con una competizione anche su stipendi, orari e autonoma d’insegnamento.

Cattedra? Meglio il tempo indeterminato

La cattedra, alias il ruolo, obiettivo di ogni docente. In un sistema a voucher non sarebbe più un cammino fisso e determinato ma un cammino individuale, che riflette le qualità individuali del docente.

Una scuola, infatti, ha beneficio nell’avere un buon docente, sia in termini di fama diretta – un buon professore può presentare ad eventi e open days – sia indiretta, ossia nel miglioramento dei risultati.

Immaginate di essere a capo di una scuola e di trovarvi davanti un giovane docente molto talentuoso. Vi rendete conto che può fare carriera e che può portare beneficio averlo nella scuola.

Cosa fate? Beh, un contratto a tempo indeterminato! Non ha senso aspettare se c’è il concreto rischio che ti soffino il docente.

Nella scuola pubblica invece la rapidità di carriera dipende poco dalla competenza quanto da meri numeri ottenuti in un concorso. Una cosa che può andar bene nell’esercito, forse, ma non dovrebbe essere lo standard nell’istruzione.

Certificazione migliore

Avrete sentito, qualche volta, in TV proteste in materia di abilitazione. In sostanza lo Stato, per dare il ruolo, chiede delle abilitazioni, che tuttavia cambiano ogni tanto. Quindi, chi ha i vecchi criteri e accede a un nuovo concorso rischia di venirne escluso, da qui le proteste.

Se le scuole fossero libere le certificazioni conterebbero, ma fino a un certo punto. Chiaramente le scuole tenderebbero ad assumere persone con buone credenziali, ma non sarebbero le uniche cose a contare. Quindi un buon docente non dovrebbe preoccuparsi di un pezzo di carta che diviene improvvisamente carta straccia a causa di un aggiornamento di normativa, quanto di restare effettivamente aggiornato per restare appetibile per le scuole.

Nuovi orizzonti: Aprire una scuola

Un docente, oggi, non ha molte opzioni oltre al lavoro dipendente. Può dare ripetizioni, certo, ma c’è chi preferisce insegnare in classe. Ebbene, in un sistema a voucher nulla vieta di aprire una scuola.

Non è chiaramente una cosa a costo zero, ma esistono numerosi casi in cui aprire una scuola può essere un qualcosa di utile alla comunità e di redditizio.

Steve Jobs, ad esempio, sosteneva che in un sistema a voucher sarebbero sorte scuole come sorgono start-up: egli, infatti, dovette pagare centinaia di migliaia di dollari per dare una buona istruzione alla figlia e riteneva fortemente ingiusto che ciò fosse riservato solo ai figli dei ricchi.

Sarebbe possibile, quindi, per dei professori consorziati aprire il proprio istituto sostenendo i propri metodi didattici appresi dall’esperienza, oppure per dei giovani neolaureati, ancora freschi d’apprendimento, provare ad aprire una scuola basata su ciò che ritengono le migliori pratiche nel settore.

In ogni caso, un sistema a voucher porta ad un certo decentramento dell’istruzione. Se detta così può sembrare una cosa negativa, beh, non lo è affatto. Né per gli studenti, che possono beneficiare di un’istruzione mirata – si pensi a quei quartieri che hanno sia zone benestanti sia zone povere e piagate dall’abbandono scolastico – né per i docenti, che hanno più libertà di scegliere dove, e quindi come, insegnare.