Crisi identitarie, errori e scomuniche della sinistra occidentale

Da anni il populismo di destra, il cosiddetto sovranismo, ha preso le redini della scena politica mondiale: arrivato al potere in diverse realtà sociali (locali e nazionali), lo sciovinismo ultra-conservatore (ma ultra-statalista nel dirigismo economico e nel bastone per quanto riguarda sicurezza ed immigrazione) sembrerebbe molto più appealing di tutte le forme di progressismo riciclato. In altri termini, nella promessa pauperista del “più sicurezza”, “più Stato”, “più isolazionismo”, i partiti demagogici e populisti di destra hanno più successo dei loro cugini di sinistra. Come mai questi ultimi, nonostante posseggano l’ampio arsenale retorico di populismo, sembrano in perenne crisi? Perché dalla fine della Guerra Fredda i partiti di sinistra – sia nella loro versione populista che in quella moderata – si sono via via eclissati in Occidente?

Ilvo Diamanti e Marc Lazar (Popolocrazia) spiegano che «è prassi comune associare il populismo all’estrema destra. Nella maggior parte dei media, viene fatto probabilmente per semplificazione. Nel mondo della politica viene fatto soprattutto dalla sinistra, che lancia […] un anatema contro qualsiasi movimento o leader che si appella al popolo su basi che non le vanno a genio, e cerca così di riattivare a fini strategici la potente arma della mobilitazione antifascista per vincere le elezioni o per minimizzare l’ampiezza di una disfatta elettorale.» A parte lo stantio appello antifascista – che non fa altro che svilire il concetto – sono poche le idee che i movimenti di sinistra hanno portato nel dibattito pubblico degli ultimi anni; d’alta parte, l’atteggiamento di scomunica nei confronti dell’avversario politico ha sempre trovato riscontri a sinistra. Il tutto parte dal fatto che da tre quarti di secolo la sinistra, specialmente quella italiana, (si) è costretta a «campare di Antifascismo» per dirla con Giampaolo Pansa. Un Fascismo del tutto immaginario: un comodo feticcio.

A sinistra si crede sempre di disporre del “monopolio del bene”. Nel Novecento erano i proletari, i poveri, i cosiddetti ultimi, ma via via, come scrive Luca Ricolfi (Sinistra e popolo), «proprio perché aveva cessato di occuparsi seriamente degli ultimi, la sinistra è stata costretta a cambiare pelle, puntando buona parte delle sue carte su temi soft, o non strettamente economici: diritti dei gay, coppie di fatto, quote rosa, aborto, fecondazione assistita, ambiente, riscaldamento globale, pena di morte, indulto, amnistia, depenalizzazione dei reati minori, eutanasia, testamento biologico, linguaggio sessista, omofobia, alimentazione corretta, diritti degli animali […] Proprio perché non si occupava più di operai, braccianti e disoccupati nativi, alla sinistra non è parso vero di avere a disposizione degli “ultimi” di cui farsi paladina.» Da qui l’attenzione nei confronti dei migranti e la strumentalizzazione dei medesimi; questo, un fenomeno che dunque non appartiene solo alla destra populista.

Il monopolio e il fascino che i movimenti cosiddetti progressisti esercitavano nei confronti delle classi operaie – il più delle volte mai veramente aiutate da chi a parole diceva di difenderle – sembra essersi recentemente spezzato a favore di altri movimenti (verdi e populismo di destra, ad esempio). I movimenti della sinistra occidentale si sono progressivamente staccati dal loro elettorato di riferimento: non stupisce dunque che il mondo progressista si sia rivolto ad altri soggetti. Continua Ricolfi: «la sinistra ha bisogno, un assoluto bisogno, degli immigrati e delle politiche dell’accoglienza perché i migranti, in quanto deboli e ultimi per definizione, sono l’unico segno rimasto della sua vocazione a occuparsi di chi sta in basso. I migranti sono la sua patente di progressismo, la sua assicurazione contro il naufragio della propria identità.»

La sinistra di oggi scomunica i volgari, si autoproclama nobile minoranza eletta; proprio come le élite del passato che tanto criticavano. La sinistra di oggi risulta arrogante e scollata dalle esigenze dei più e questo viene percepito dall’elettorato. La sinistra di oggi riconosce di aver perso la presa sulla società, ma comunque si sente moralmente superiore rispetto alla plebe. La sinistra di oggi è assolutamente autoreferenziale, parla – tre quarti di secolo dopo – di totalitarismo di destra, giustificando il Comunismo “occidentale” all’acqua di rose. La sinistra di oggi è ossessionata dal Fascismo, facendo finta di non sapere che non c’è alcun Fascismo alle porte; il Fascismo è un atteggiamento di intolleranza, violenza e annichilimento della libertà, corroborato dal dirigismo statalista: proprio come lo è il suo genitore, il Socialismo. La sinistra di oggi offende la memoria della Resistenza (un patrimonio nazionale e politicamente eterogeneo, non l’arma della superiorità morale). La sinistra di oggi ammira Sergio Marchionne; quello che, seguendo una certa retorica di qualche anno fa, stava nel “salotto borghese”, frequentava gli ex presidenti americani e i big del tech.

Arrivata al potere negli anni Novanta (dopo un breve revival negli anni Settanta), la sinistra occidentale ha incassato i dividendi delle politiche neoliberiste, poi prolungate nel tempo e nello spazio per non scomparire politicamente. In altri termini, la sinistra della Terza via, la New Left, la Neue Mitte, ha cavalcato il potente equino neoliberale, salvo poi mandarlo al macello: perduta l’identità sotto le macerie del Muro di Berlino (che a sinistra tutti hanno tollerato e/o hanno fatto finta di non vedere per quasi tre decenni), la sinistra ha deciso che per rimanere a galla fosse necessario abbracciare il grande nemico: non solo copiare grossolanamente, ma anche dilatare deleteriamente le idee di Milton Friedman, salvo poi prenderne tatticamente le distanze e parlare di “neoliberismo”. A parte che una volta arrivata al potere in Occidente non ha (fortunatamente) stabilito il Socialismo che hanno predicato nei decenni passati, la sinistra post-comunista occidentale ha operato una virata culturale identitaria ed economica importante che è stata percepita dal suo elettorato come inaccettabile.

In quella che scienziati politici come Timothy Snyder e Ivan Krastev hanno definito la “politica dell’imitazione”, la sinistra ha continuato a praticare (a suo modo) politiche liberiste iniziate dai conservatori liberali e ha abusato della deregulation (che, se troppo estesa e smoderata, non ha fa che danneggiare le classi operaie). Perso dunque il proprio elettorato di riferimento, la sinistra di oggi racconta storielle e filastrocche sui migranti; non vede i disagi delle masse che si sentono tradite dalla gauche au caviar e oggi votano i movimenti della destra xenofoba. Molti leader a sinistra non solo hanno conti milionari in banca e sono sempre pronti per la photo-opportunity, ergendosi a guru e guide morali. Per dirla con Sergio Ricossa (Straborghese) a sinistra «amano il popolo come astrazione, lo detestano probabilmente come insieme di persone vive, e cioè rumorose, sudate, invadenti, volgari. Il popolo vivo sembra essere sopportabile solo se lo si guarda dall’alto di un palco ben isolato ed elevato.»

Il concetto di sicurezza a sinistra sembra non trovare ospitalità: il che, intendiamoci, non vuol dire che a sinistra si è per il Far West o l’incitamento alla violenza. Di nuovo un illuminante Ricolfi: «per offrire protezione, bisognerebbe riconoscere l’esistenza di un pericolo. E la sinistra questo passo non pare in grado di compierlo. Anzi, con i suoi politici, i suoi giornalisti, i suoi intellettuali […] la sinistra impegna le sue migliori energie comunicative per dissolvere i problemi che la gente normale percepisce come tali […] La gente pensa che gli immigrati siano un pericolo? La sinistra le spiega che […] gli immigrati sono una straordinaria occasione di arricchimento culturale. La gente pensa che la globalizzazione sia una minaccia? La sinistra le spiega che si tratta di una grande opportunità. La gente pensa che l’Unione Europea sia un problema? La sinistra le spiega che l’Europa […] è la soluzione. La gente pensa che il terrorismo islamico abbia dichiarato guerra all’Occidente? La sinistra le spiega che […]  l’Islam non c’entra nulla».

Distanza dal senso comune, indifferenza verso i fatti e gli “ultimi” che una volta diceva di proteggere, sentimento di superiorità morale, la convinzione di essere sempre “la parte migliore del paese”: il tutto portato avanti con lo strumento della scomunica morale dell’avversario. Dall’alto di un trono immaginario e sacerdotale, la sinistra non solo ha perso la sua “vocazione” operaista (se mai l’abbia avuta), ma si è spinta a nascondere a se stessa le proprie inadeguatezze e al contempo ha dipinto l’avversario politico (che le ha rubato il monopolio sullo scontento) come male irrimediabile. I partiti della sinistra occidentale si sono autodefiniti progressisti, ma non hanno capito le svolte storiche imposte dalla globalizzazione; si sono malamente riciclate; hanno abbracciato il grande nemico neoliberale; sono diventate elitarie. Hanno perso la loro identità.

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

Scuole pubbliche: rendiamole private

Il nostro sistema di istruzione primaria e secondaria dev’essere radicalmente cambiato. Tale necessità deriva soprattutto dai problemi che l’odierno sistema ha, ma è stata rafforzata dalle conseguenze delle rivoluzioni tecnologiche e politiche degli ultimi anni. Rivoluzioni che promettono un futuro migliore per il mondo ma anche un aumento dei conflitti sociali derivanti dall’allargamento della differenza stipendiale tra i più abili e i meno abili.

Una ricostruzione del sistema istruzione ha il potenziale di ridurre nettamente i conflitti sociali e, al contempo, rafforzare la crescita e il miglioramento della qualità di vita reso possibile dalle nuove tecnologie e dall’allargamento del mercato globale.

A mio parere tale cambiamento si può ottenere solo privatizzando larga parte del sistema educativo, ossia permettendo ad un’industria privata e for-profit di svilupparsi e di permetterle di offrire i propri servizi educativi in competizione con i servizi pubblici.

Sicuramente questa transizione non può avvenire dal giorno alla notte, dovrà essere graduale. Il migliore modo per permetterla è instaurare un sistema a voucher che permetta ai genitori di scegliere liberamente la scuola per i propri figli.

Vari tentativi sono stati fatti per introdurre dei voucher, ma nessuno di questi è arrivato ad un sistema voucher universale, soprattutto grazie al potere di lobbying dei sindacati dei docenti, tra i più potenti del Paese.

Il deterioramento dell’istruzione

La qualità dell’istruzione è in netto calo rispetto a qualche decennio fa. Non esiste ambito nel quale gli abitanti delle zone più povere siano svantaggiati quanto quella dell’istruzione. Tra le ragioni, oltre al declino di certi quartieri, il progressivo accentramento delle competenze sull’istruzione che ha permesso ai sindacati di aumentare il proprio potere.

Più è passato il tempo più il sistema è peggiorato accentrandosi. La competenza per le scuole è passata dagli enti locali allo Stato. Ad oggi più del 90% dei nostri ragazzi va in una cosiddetta “scuola pubblica”, che più che pubblica è un feudo privato di burocrati e sindacalisti. I risultati li conosciamo tutti: alcune scuole pubbliche di buona qualità nelle zone ricche, scuole scadenti nelle zone povere, con una crescita di violenza, studenti e docenti demoralizzati e performance in calo.

Questi cambiamenti nel sistema scolastico hanno reso più chiara la necessità di una riforma, ma hanno anche aumentato gli ostacoli verso di essa. I sindacati sono assolutamente contrati a qualunque misura che riduca i loro poteri e sono disposti a moblitare tutte le loro forze contro di esse.

La nuova Rivoluzione Industriale

La ricostruzione del sistema scolastico è resa più urgente dalle ultime due rivoluzioni avvenute nelle passate decadi, quella tecnologica – in particolare di metodi di trasmissione di dati molto più efficienti – e quella politica che ha aumentato la portata di quella tecnologica.

La caduta del Muro di Berlino è stato l’evento più simbolico di questi avvenimenti, ma non è stato il più importante. Per esempio in Cina il comunismo non è né morto né collassato ma dal 1976 il premier Deng Xiaoping avviò delle riforme di mercato che aprirono la Repubblica Popolare al mercato internazionale. Simili accadimenti hanno portato molte più persone nel Sud America a vivere in Paesi definibili come democrazie liberali e non come autocrazie militari. Democrazie che vogliono a tutti i costi entrare nei mercati internazionali.

La rivoluzione tecnologica permette ad una compagnia in una qualsiasi parte del mondo di usare risorse da tutt’altra parte, producendo in un’altra parte ancora e vendendo ancora da un’altra parte. Ormai è impossibile parlare di un’auto americana o di un’auto giapponese, ad esempio, e ciò vale per tantissimi prodotti.

La possibilità di lavoro e capitale di un posto di collaborare con lavoro e capitale di tutt’altro posto ha avuto un enorme effetto anche prima della rivoluzione politica. Ha significato una quantità enorme di capitale di Paesi ricchi disposta a collaborare col lavoro di Paesi più poveri, portando ad una collaborazione non solo economica ma di formazione, di condivisione di conoscenze e anche di tecniche.

Prima della rivoluzione politica il collegamento tra lavoro e capitale in tutto il mondo ha avviato una forte espansione del mercato internazionale, la nascita di nuove multinazionali e una crescita prima inimmaginabile nelle cosiddette Quattro Tigri dell’Asia, mentre in America il primo a beneficiarne fu il Cile, seguito rapidamente da altri paesi.

La rivoluzione politica, però, ha rafforzato quella tecnologica in vari modi. Per prima cosa ha allargato nettamente il lavoro a basso costo – non necessariamente di bassa qualità – che può collaborare con capitale e lavoro dei Paesi più avanzati. La caduta della Cortina di Ferro ha aggiunto a tale mercato mezzo miliardo di persone, la Cina un miliardo, tutte persone ora libere, almeno parzialmente, di intraprendere azioni capitaliste con altri individui in tutto il mondo.

Per seconda cosa questa rivoluzione politica ha squalificato l’idea di pianificazione centrale e ha aumentato la fiducia per i mercati, rafforzando scambi e collaborazione internazionale.

Queste due rivoluzioni hanno portato ad una “seconda rivoluzione industriale” paragonabile a quella avvenuta circa 200 anni fa, avvenuta anch’essa grazie all’avanzamento tecnologico e alla libertà di scambio. In questi 200 anni il mondo è cresciuto più dei precedenti duemila. E il record potrà essere battuto nei prossimi secoli se useremo al massimo le nuove opportunità.

Differenze di stipendi

Queste due rivoluzioni gemelle hanno portato a stipendi maggiori per tutte le classi sociali nei Paesi in via di sviluppo mentre i risultati sono più controversi nei Paesi ricchi. Infatti, per varie ragioni, gli stipendi dei più abili crescono mentre quelli dei meno abili tendono ad avere una pressione sugli stipendi verso il basso. E siamo dunque arrivati ad avere grandi differenze tra gli stipendi di chi guadagna di più e di chi guadagna di meno.

Se lasciamo procedere tutto ciò senza controllo rischiamo di avere gravi conseguenze sociali, con parti del Paese in condizioni da Terzo Mondo e altre in estrema ricchezza. In sostanza è la ricetta per un disastro sociale e le pressioni per impedirlo con mezzi protezionistici e simili saranno sempre più forti.

Istruzione

Ad oggi il nostro sistema scolastico è complice di tale possibile disastro sociale. Eppure è potenzialmente la più grande forza che abbiamo a disposizione per evitarlo.

Sia chiaro: la predisposizione individuale gioca un ruolo importantissimo nel definire le opportunità aperte per ogni individuo. Ma non è nemmeno l’unica cosa che conta, come dimostrano numerosi esempi. Sfortunatamente, però, il nostro sistema scolastico fa poco per permettere sia ad individui predisposti che non predisposti, favorendo dunque i primi per le loro abilità innate e contribuendo a una “stratificazione sociale”.

C’è grande spazio di manovra per migliorare il nostro sistema scolastico, che probabilmente è tra le attività più arretrate in questo Paese. Insegniamo ai ragazzi come lo facevamo 200 anni fa: un docente davanti a un mucchio di studenti in una stanza chiusa. L’arrivo dei computer ha migliorato la situazione, ma molto poco. Non sono praticamente mai usati in modi nuovi e visionari.

Credo che l’unico modo per avere un gran miglioramento del sistema sia quello di privatizzarlo finché una considerevole parte dei servizi di istruzione sia fornita agli individui da imprese private. Solo una mossa del genere indebolirebbe a sufficienza l’attuale establishment educativo in maniera da poter apportare i necessari cambi sostanziali. E nulla costringerebbe le scuole pubbliche a mettersi in ordine più del dover trattenere la propria clientela. Nessuno può predire la direzione che un vero libero mercato educativo prenderà.

Sappiamo però dall’esperienza quanto possa essere creativa la libera impresa, quanti nuovi servizi e prodotti possa introdurre e come abbia come supremo obiettivo la soddisfazione del cliente, ed è ciò che serve nell’istruzione. Ben conosciamo la rivoluzione che ha avuto l’industria telefonica aprendosi alla concorrenza oppure, tornando un po’ indietro nel tempo, come il fax abbia minato così tanto il monopolio della posta di prima classe portando poi alla nascita dei corrieri privati.

Le scuole private frequentate oggi dal 10% sono spesso scuole di élite molto costose che rappresentano una minima porzione della popolazione ma esistono anche molte scuole cattoliche che fanno concorrenza al governo con costi bassi, spesso grazie anche a personale volontario e donazioni di mecenati. Queste scuole danno un’istruzione migliore ad una certa parte della popolazione, ma non sono ancora in grado di portare a cambiamenti innovativi. Per quello serve un sistema privato molto più forte. Il problema è come arrivarci.

I voucher non sono di per sé un fine, sono un mezzo per favorire la transizione dallo Stato al Mercato. E la situazione descritta più volte nell’articolo ne rende l’applicazione urgente.

I voucher, però, possono promuovere una rapida privatizzazione solo se costituiscono un reale incentivo per gli imprenditori ad entrare nel settore. Ciò richiede che il sistema a voucher sia universale, ossia aperto a chiunque oggi abbia diritto a frequentare una scuola statale, e che il costo – seppur potenzialmente minore rispetto a ciò che lo Stato spende oggi – sia sufficiente a coprire le spese di una buona istruzione. Se il voucher è costituito in questo modo ci saranno anche numerose famiglie disposte ad aggiungere qualcosa per avere un’istruzione ancora migliore. Ma, come accade in tutte le industrie, presto l’innovazione del prodotto “premium” arriverà anche al prodotto base.

Perché ciò accada, però, è essenziale che la libertà di impresa non sia minata, che non vi siano limiti alla capacità delle scuole di sperimentare, esplorare e innovare. Se ciò accade tutti, eccetto una piccola percentuale di persone con privilegi acquisiti, vinceranno: studenti, genitori, insegnanti, contribuenti, specie coloro che vivono in grandi città dove l’istruzione privata avrebbe costi esorbitanti mentre quella pubblica è scadente.

La comunità del business ha grande interesse nell’allargare la platea di cittadini ben istruiti e mantenere una società libera con mercati aperti e in espansione in tutto il mondo. Entrambi gli obiettivi verrebbero favoriti da un sistema a voucher.

Per concludere, come in ogni ambito dove vi sia stata una massiccia privatizzazione, la privatizzazione della scuola produrrebbe una nuova impresa capace di tratte profitto e di essere molto attiva dando a molte persone talentuose una vera opportunità di entrare nel mondo dell’insegnamento, persone che oggi sono disincentivate dallo stato pietoso di molte delle nostre scuole.

Questa non dovrebbe essere una questione in mano allo Stato centrale. L’istruzione dovrebbe restare un affare primariamente locale. Il sostegno alla libertà di scelta crescerà e non potrà essere tenuta a bada per sempre dagli interessi dei sindacati e dei burocrati. Penso che prima o poi si arriverà, da qualche parte, a un punto di rottura che porterà ad un percorso generale di voucherizzazione per quanto si dimostrerà efficiente.

Per fare in modo che una maggioranza del pubblico sostenga tali misure dobbiamo strutture la proposta in questo modo:

  • Sia semplice da comprendere per un elettore
  • Garantisca che non aumenti la tassazione ma che, possibilmente, la riduca

Questo articolo è una traduzione di un saggio del 1995 di Milton Friedman a cura di Brian Sciretti. Se ti è sembrato relativo alla situazione italiana non c’è da sorprendersi. Il sistema descritto da Milton Friedman funzionerebbe altrettanto bene anche in Italia.

N.B. Per praticità i nomi delle autonomie americane sono stati tradotti in modo generico.

Milton Friedman e la (sua) Flat Tax

Era il 1956 quando la mente brillante di Milton Friedman (1912-2006) elaborò l’idea della Flat Tax. Sono passati 63 anni ed oggi la sua proposta politica è diventata oggetto di numerose discussioni in tutte le economie mondiali, seppur con qualche imprecisione. Imprecisioni sia da parte di chi la sostiene, specie in Italia, che da parte di chi non la sostiene.

Questo è un indizio di come già in quell’epoca Friedman prevedeva le pecche, i difetti, i limiti del sistema statalista. In quel tempo, l’Europa era nel pieno del boom economico e l’interventismo statale era considerato un bene, ma lo stesso economista statunitense rilevava quei problemi che oggi sono ormai evidenti, in Italia e nella stessa Europa.

Come tutti sanno, la proposta della Flat Tax è uno dei cavalli di battaglia del partito Lega Nord. Lo stesso Matteo Salvini, oggi viceministro del consiglio, ha inserito la proposta di Friedman come il pilastro portante per assicurare una Pace Fiscale ai cittadini.

A tal proposito, nella proposta leghista si riscontrano alcune piccole ma significative differenze rispetto all’idea originaria. Pertanto, ritengo opportuno parlare della Flat Tax, raccontando semplicemente come lo stesso Friedman se lo immaginava.

Come punto di partenza, non possiamo non parlare della moneta e del suo rapporto con la persona. Per l’economista statunitense, la moneta è un “bene di lusso”. Pertanto, la considerazione di essa cambia a seconda del reddito della persona. Se la persona possiede un basso reddito, la moneta è molto veloce, dinamica. Basti pensare al fatto che il basso stipendio di una persona finisce molto rapidamente tra spese primarie o secondarie. Quando il reddito tende a salire, la moneta inizia ad avere una polifunzione. Non solo sarà utilizzata con lo scopo di soddisfare le spese primarie e secondarie, ma permette anche di fare investimenti oppure di organizzare la moneta in risparmi.

Ebbene, la Flat Tax ha lo scopo primario di permettere alle persone di costruirsi i propri risparmi e investimenti. Non solo, ma se la riforma fiscale venisse fatta con i sani criteri previsti dall’economista, sarebbe una vera e propria svolta per la società italiana. Oggi, la moneta vive un momento non felice. Se prima abbiamo sostenuto che la moneta, per una persona con basso reddito, è veloce e dinamica, nel caso di chi ha un reddito più alto, la situazione diventa preoccupante. Oggi abbiamo un fisco invadente che contribuisce a mortificare le persone da qualsiasi tentativo di risparmio o di investimento. Lo stesso regime progressivo lo dimostra, in quanto chi possiede un reddito maggiore deve pagare un’aliquota più alta, quasi come se fosse un reato guadagnare di più.

Come già accennato in precedenza, la Lega Nord è favorevole alla Flat Tax e già dalla campagna elettorale per le elezioni del 4 marzo proponeva un’aliquota fissa per le imposte sui redditi delle persone fisiche e delle imprese compresa tra il 15% e il 23%. Ma le intenzioni o gli obiettivi non sono gli stessi. Infatti, non prevale l’intenzione di far respirare le tasche dei cittadini, bensì quella di semplificare il rapporto cittadino-fisco e di diminuire l’evasione fiscale. Della serie “dietro una proposta liberista, si nasconde la stessa logica socialstatalista”.

La Flat Tax non deve essere un diversivo per arricchire diversamente le casse dello Stato. Altrimenti qui rischiamo di andare verso il principio “pagare tutti le tasse per pagare meno”. La Flat Tax deve avere come unico scopo quello di alleggerire gli italiani. Alleggerire per permettere loro dei consumi migliori, dei risparmi certi e degli investimenti stimolanti.

Sul semplificare possiamo, invece, andare tutti d’accordo. Oggi il sistema fiscale in italiano è sempre più garbugliato, confusionario, ma ha la straordinaria dote di costringere l’imprenditore o il libero professionista a chiudere la partita IVA o a trasferirsi altrove. Il lavoratore sente meno questo problema, perché oggi abbiamo la figura del sostituto d’imposta, ossia è il datore di lavoro ad occuparsi delle tasse del suo dipendente. Il Sostituto d’Imposta è la più grande genialità mai realizzata dai socialisti, poiché il lavoratore dipendente non avrà la piena consapevolezza di quanti soldi versa allo Stato ogni mese.

Secondo l’idea di Friedman, l’unica forma di progressività attraverso la creazione di una Flat Tax è attraverso una no tax area e con conseguente eliminazione della politica degli sgravi fiscali. In parallelo, lo stesso economista statunitense ha parlato di Tassazione Negativa di Reddito, specie per coloro che possiedono un reddito al di sotto di una certa soglia.
Altro dettaglio fondamentale, oggi trascurato da chi sostiene la Flat Tax, è che questa riforma può funzionare solo in un regime di bassa spesa pubblica. Da non trascurare se consideriamo che la spesa pubblica in Italia è giunta ad un livello molto più che preoccupante.

Prima di concludere ecco alcune significative affermazioni di Milton Friedman sul tema della Flat Tax

“[…] ciò costituirebbe una difesa contro l’aumento dell’aliquota. Adesso ogni volta che c’è un aumento di aliquota lo si giustifica dicendo che va a colpire qualcun altro. Non si tassa mai sé stessi ma il proprio vicino. In questo modo si nasconde il fatto che alla fine vengono tassati tutti. Con l’aliquota unica, con un’unica percentuale, pagata da tutti ad esclusione di quelli che hanno un reddito inferiore al minimo, sarà molto più difficile ottenere il sostegno popolare per un aumento di aliquota”

“Flat Tax non sostituisce le altre imposte? Certo, non ho mai sostenuto che l’imposta ad aliquota unica potrà, ad esempio negli Stati Uniti, sostituire altre tasse quali l’imposta sulla proprietà. Dubito che vi sarà il sostegno politico alla proposta di sostituire l’imposta sugli alcolici, sul tabacco, sulla benzina. Queste imposte sono di natura diversa fra loro. La tassa sulla benzina, per esempio, è una forma di finanziamento da parte degli utenti per la manutenzione delle autostrade.
Si tratta, se così si può dire, di una tassa per un servizio più che di una comune imposta.”

Sussidi di disoccupazione? Opponiamoci con l’Imposta Negativa sul Reddito

Purtroppo per noi, purtroppo per l’Italia, il Reddito di Cittadinanza (RdC) è sempre più realtà. Ormai siamo ai ritocchi, siamo arrivati al livello di chi e come dovrà essere gestito.

Non nascondo che tutto ciò mi fa molta paura, anzi più di una paura. Paura per oggi perché il RdC tenderà ad aumentare la già eccessiva spesa pubblica italiana.

Già, la spesa pubblica, quella voce terribilmente conosciuta, sia dai cittadini e sia da alcuni addetti ai lavori. Una spesa pubblica, oggi con livelli davvero altissimi, che sta penalizzando l’italia e gli italiani. Paura del domani perché questo tipo di misure dovranno essere drasticamente gestite in futuro.

La spesa pubblica, quella spesa pubblica nata per esaltare il principio di giustizia sociale. Un principio, a dir poco assurdo, che pretende di combattere la povertà e le disuguaglianze, penalizzando chi ha un reddito al di sopra di una certa soglia.

Un principio che pretende di governare la ricchezza, con il pretesto che esso si distribuisca male se lasciato alla libera scelta. Il reddito di cittadinanza viene considerato il tentativo più grande mai compiuto – di un governo – di redistribuzione della ricchezza e dei redditi. Sin dagli anni sessanta, tutti i governi hanno cercato di provare a governare la ricchezza, con pessimi risultati.

Quando l’Italia andava verso la recessione, gli addetti al lavoro socialisti, piuttosto che prendersela con le proprie politiche, erano dell’opinione che le manovre di distribuzione erano troppo deboli. In poche parole, la ricchezza doveva essere governata sempre di più.

Ecco, perché penso che il reddito di cittadinanza sia l’ultimo grande tentativo dei socialisti.

Noi individualisti siamo fieri di essere contrari al RdC perché siamo convinti che fare assistenzialismo con i soldi degli altri, non sia corretto. Siamo fieri di essere contrari al RdC perché siamo convinti che questo tipo di misure, con il passare del tempo, tenderà a impoverirci tutti.

Pertanto, l’assistenzialismo deve essere sostituito con l’investimento sociale. Se lo Stato deve spendere per una persona, deve essere allo scopo di stimolarlo a far meglio.

Invece, l’impressione è che si voglia usare il Rdc come antidoto alla disoccupazione. Ecco, lo slogan esatto per opporci al RdC è “l’assistenzialismo non è un posto di lavoro”.

Per questo motivo, la vera risposta al RdC è l’Imposta Negativa sul Reddito (INR), proposta da Milton Friedman. Il principio è quello di “aggiustare il reddito” del contribuente che percepisce al di sotto di una certa soglia. Quella soglia è il simbolo del minimo reddito che dovrebbe percepire una persona o una famiglia per garantirsi il minimo indispensabile.

Ma come funzionerebbe l’INR?
Funzionerebbe come le aliquote fiscali che prevede l’IRPEF, con la differenza sostanziale che qui parliamo di quanto dovrebbe dare lo Stato al cittadino, e non viceversa.

Ecco qualche esempio:
CASO A
Soglia minima 1000€
Reddito contribuente 500€
Differenza tra soglia minima e Reddito contribuente 500€
Aliquota 50%
Sussidio 250€

CASO B
Soglia minima 1000€
Reddito contribuente 100€
Differenza tra soglia minima e Reddito contribuente 900€
Aliquota 50%
Sussidio 450€

L’INR è l’unica forma di assistenzialismo perfettamente in linea con la proposta dei liberali di un sistema con tasse minime. Con questa misura, il cittadino è giusto che venga risarcito, piuttosto che tassato. Le tasse non possono e non devono indebolire il cittadino; per questo motivo, l’INR riduce le tasse ad un livello basso, da consentire un reddito sufficiente per soddisfare le proprie esigenze.

Ovvio che per noi liberali non è mai positivo attuare qualsiasi tipo di assistenzialismo. Ma se vogliamo essere per lo Stato Minimo, quindi per uno Stato che garantisca infrastrutture, giustizia, sicurezza, è giusto che si occupi anche di tutelare i poverissimi.

Ebbene, l’INR permetterebbe di assistere i poverissimi, ma senza viziarli come il RdC. L’INR permetterebbe di assistere i poverissimi, ma senza incorrere in spese troppo eccessive. L’INR permetterebbe di assistere i poverissimi, evitando inutili caos burocratici, come invece previsti dall’INPS.

Se il Reddito di Cittadinanza equivale a considerare l’assistenzialismo come un posto di lavoro, con l’Imposta Negativa sul Reddito mettiamo in condizione il cittadino di mettersi ad un livello minimo che gli permetta di vivere meglio la propria vita e che gli permetta di costruire meglio un risparmio per sè e per la propria famiglia.

Capire il Libero Mercato: 10 aforismi di personaggi famosi

Immagina di essere con i tuoi amici e, ad un certo punto, come sempre, inizia il dibattito politico. Nessuno sa cosa sia il libero mercato, ma lo criticano tutti. Per te loro sono tutti socialisti, tu per loro sei uno strano egoista turbocapitalista che vuole la disumanizzazione totale.

Ecco 10 piccoli passi per capire e far capire il Libero Mercato ai profani:

  1. Condannare il libero mercato a causa di ciò che accade oggi non ha senso. Non ci sono prove che il libero mercato esista oggi. Siamo profondamente coinvolti in un’economia pianificata dall’interventismo, che consente ai partiti di ottenere importanti benefici dal punto di vista elettorale. Si può condannare la frode e il sistema attuale, ma devono essere chiamati con i loro nomi propri: inflazione keynesiana, interventismo e corporativismo. [Ron Paul]
  2. La generazione di oggi è cresciuta in un mondo in cui, sia tramite la scuola che nella stampa, l’imprenditorialità è stata rappresentata come attività disonesta e cercare il profitto è stato definito un atto immorale, e dare un lavoro a centinaia di persone è considerato sfruttamento, ma è considerato onorevole far dare ordini allo Stato ad altrettante persone. [Friedrich Von Hayek]
  3. La nostra libertà di scelta in una società competitiva si basa sul fatto che, se una persona rifiuta di soddisfare i nostri desideri, possiamo rivolgerci a qualcun altro. E non può avvenire con un monopolio statale. [Friedrich Von Hayek]
  4. La grande virtù di un sistema di libero mercato è che non importa di che colore siano le persone; non importa quale sia la loro religione; importa solo se possono produrre qualcosa che vuoi comprare. È il sistema più efficace che abbiamo scoperto per consentire alle persone che si odiano l’un l’altra di confrontarsi e aiutarsi a vicenda. [Milton Friedman]
  5. Tutti i sistemi sono capitalisti. È solo una questione di chi possiede e controlla il capitale – che sia un re, un dittatore o un privato. Dovremmo concentrarci sul contrasto tra un sistema di libero mercato, in cui gli individui hanno il diritto di vivere come re se hanno la possibilità di guadagnare quel diritto, e un sistema in cui l’economia è controllata dallo Stato, come nelle nazioni socialiste. [Ronald Reagan]
  6. Ci son 4 modi per spendere i soldi. Puoi spendere i tuoi soldi per te stesso: in tal caso, sarai davvero attento a cosa starai facendo e cercherai di avere la massima resa per la tua spesa. Oppure, puoi spendere i tuoi soldi per qualcun altro: per esempio, io ho comprato un regalo di compleanno per una persona; in realtà non ho grande interesse per il contenuto del dono, ma sono stato molto attento al costo. Altra possibilità, tu puoi spendere i soldi di qualcun altro per te: e allora se puoi spendere i soldi di qualcun altro per te stai sicuro che ci scapperà una bella mangiata al ristorante! Infine, io posso spendere i soldi di qualcuno per un’altra persona ancora; e se io dovrò spendere i soldi di uno per un altro, non sarò preoccupato a quanto ammontino, né sarò preoccupato su come li spendo. E questo è quel che fa lo Stato. [Milton Friedman]
  7. Il libero mercato è una rete di scambi volontari e gratuiti in cui i produttori lavorano, producono e scambiano i loro prodotti per i prodotti degli altri attraverso prezzi volontariamente raggiunti. [Murray Rothbard]
  8. Il benessere degli Stati Uniti non fu creato dai sacrifici pubblici per il bene comune, ma dal genio produttivo degli uomini liberi che perseguivano i propri interessi personali e la realizzazione del proprio destino. [Ayn Rand]
  9. Il fatto centrale più importante su un mercato libero è che nessuno scambio avvenga a meno che entrambe le parti non ne traggano vantaggio. [Milton Friedman]
  10. Più lo stato pianifica, più l’individuo si trova in difficoltà nell’organizzare la propria vita. [Friedrich Von Hayek]