Socialisti contro ricchi: la fobia del benessere

Le imprevedibili virtù dell’ignoranza

Le fila dei socialisti democratici statunitensi (liberal*, democratic socialists, social justice warriors, etc.) traboccano di personaggi tanto interessanti quanto ridicoli: Bernie Sanders, il multimilionario buon samaritano che predica l’uguaglianza e la redistribuzione dalla sua terza casa di proprietà da $600,000 [1]. La senatrice Elizabeth Warren, che per ottenere qualcosa dalla vita ha dovuto fingere di essere una nativa americana per poi essere pubblicamente svergognata dal recente test del DNA [2], e infine l’astro nascente dei guerrieri della giustizia sociale: Alexandria Ocasio-Cortez!

Questa giovane donna rappresenta la versione americana dei mali che da tempo affliggono il nostro paese: l’analfabetismo economico, l’idea “uno vale uno”, la totale assenza di vergogna o pudore nell’affermare incorrettezze, la fascinazione dell’ignoranza.

Ma come ha fatto una cameriera del Bronx – che nonostante una laurea in Relazioni internazionali accusa Israele di occupare militarmente la Palestina – non in grado di distinguere le tre funzioni dello Stato, a diventare la figura di riferimento della Sinistra radical-liberal* statunitense?

La ricetta economico-politica della Ocasio-Cortez è estremamente semplice quanto pericolosa: [3]

  • Assistenza sanitaria gratuita per tutti
  • Educazione gratuita per tutti
  • Reintroduzione del Glass-Steagal Act
  • Diritti delle donne e delle minoranze
  • Salario minimo di 15 $/h aggiustato al tasso di inflazione
  • Lotta al cambiamento climatico (il ridicolo Green New Deal)
  • Lotta alle armi
  • Abolizione dell’ICE (Immigration and Customs Enforcement)
  • Ritiro delle truppe dal Medio Oriente

Come al solito un bel programma, pieno di proposte che vanno al cuore degli elettori, al punto che sorprende non trovare l’abolizione della fame nel mondo, la fine di tutte le guerre, e unicorni-arcobaleno per tutti.

Tuttavia, nonostante la varietà di ideali, questo progetto rimane drammaticamente povero in contenuti, povero in dati, e dal costo economico spropositato. La domanda è semplice: chi pagherà i 33 TRILIONI di dollari che Medicare For All – da solo – potrebbe costare solo nei primi dieci anni? [4]

Ovviamente i più ricchi, il Top 1%, che negli ultimi trent’anni avrebbe mangiato in testa al povero lavoratore americano. La proposta della Ocasio-Cortez è quindi naturale: introdurre una nuova aliquota fiscale marginale del 70% sulla parte di reddito eccedente i 10 milioni di dollari, che metterà finalmente fine ai tempi d’oro in cui l’1% più ricco pagava molto meno del restante 99%.

O forse no.

No. Perché tutti i dati economici mostrano in realtà esattamente l’opposto.

 

Cosa dicono i dati?

I dati dell’IRS (Internal Revenue System, l’Agenzia delle Entrate statunitense) mostrano come nel 2014 i 400 maggiori contribuenti americani per reddito (i Top 400) abbiano versato quasi 30 miliardi di dollari in tasse, il 2.13% del totale delle tasse federali per il 2014, con una media di 75 milioni di dollari a testa, coprendo di fatto DA SOLI il budget annuale della NASA e dell’EPA (Ente Protezione Ambientale). [5][6]

Osservando il grafico inoltre, si può notare come questa percentuale sia più che raddoppiata negli anni, passando dall’1.04% del 1992, al 2.13% del 2014, aumentando nonostante il taglio delle tasse sui redditi più alti, operato da George W. Bush nel 2003; in quegli stessi anni (2003-2007) il contributo dei Top 400 crebbe considerevolmente piuttosto che diminuire.

Un altro dato estremamente interessante è quello secondo il quale, sempre secondo l’IRS, negli ultimi anni, nonostante il livello di tassazione sui redditi più alti sia progressivamente diminuito dal 1945 ad oggi, il contributo totale del Top 1% sia vertiginosamente aumentato fino a superare definitivamente quello del Bottom 90%. In poche parole, l’1% della popolazione americana paga più tasse del 90% dell’intera popolazione messa insieme. E si noti sempre come il tax-cut di Bush nel 2003 non abbia minimamente fatto diminuire il contributo dell’1% più ricco, ma al contrario l’abbia incrementato. [7]

Al giorno d’oggi l’1% più ricco paga il 40% del totale delle tasse sul reddito. Ma il dato diventa ancora più significativo se consideriamo quello che in America viene definito il Top 5%, il secondo gruppo dei più “privilegiati”: la classe media-alta. Questi due gruppi combinati, il Top 1% e il Top 5%, contribuiscono da soli per il 60% del totale delle tasse versate allo Stato americano. [8]

E sempre i dati dell’IRS ci mostrano come i redditi più alti non solo contribuiscono in modo straordinario alle entrate, ma pagano anche molto di più in percentuale rispetto ai redditi più bassi. Al punto che il 50% dei contribuenti versa il 97.3% delle tasse. [8]

La progressività del sistema fiscale americano è rimasta invariata negli ultimi 30 anni (quando non è addirittura aumentata) nonostante la progressiva diminuzione delle aliquote sui redditi più alti, e anzi, come abbiamo visto, il contributo del Top 1% è aumentato significativamente fino ad arrivare al 40% del totale delle tasse versate in un anno. E solo nel 2006 le politiche fiscali statunitensi hanno redistribuito circa 1.4 trilioni di dollari dal 40% più ricco al 60% più povero, mentre le diseguaglianze nella distribuzione del reddito si sono stabilizzate. [8] [9]

Inoltre, per comprendere la completa follia della proposta della Ocasio-Cortez di un’aliquota marginale al 70% sulla parte di reddito eccedente i 10 milioni di dollari l’anno basta analizzare le prospettive di gettito fiscale aggiuntivo che questa potrebbe generare.

Secondo un recente studio della Tax Foundation, un’aliquota marginale del 70% applicata ai redditi oltre i 10 milioni di dollari l’anno porterebbe infatti nelle casse dello Stato americano 291 miliardi di dollari nel periodo 2019-2028 a fronte di una spesa di 32.6 trilioni nello stesso periodo solo per la prima delle promesse elettorali, Medicare For All, l’assistenza sanitaria gratuita e universale. [10]

A peggiorare questa abissale disproporzione tra gettito aggiuntivo e nuova spesa, si consideri che i risultati di questa politica fiscale potrebbero essere decisamente inferiori, dal momento che un simile aumento esponenziale dell’aliquota massima potrebbe scoraggiare i contribuenti a dichiarare o realizzare livelli di reddito superiori ai 10 milioni di dollari l’anno.

 

La parola ai fatti, non alle buone intenzioni

In conclusione, nessun sistema fiscale è perfetto, ma la storia degli ultimi decenni di quello statunitense è la storia di una semplice ricetta economica che ha funzionato: più bassa è la pressione fiscale, più tasse vengono pagate (dai più ricchi in primis), più l’economia cresce. Infatti, una pressione fiscale accettabile non solo non scoraggia il contribuente, costringendolo a limitare le sue prospettive di crescita per evitare il passaggio all’aliquota successiva, ma permette una maggiore immissione di liquidità nell’economia reale sotto forma di spesa e investimenti, gli unici due fattori in grado di supportare un crescita solida nel lungo periodo.

Le politiche e le proposte della sinistra liberal americana sono dettate da una precisa agenda fondata sull’invidia sociale, l’odio di classe, e la finta giustizia sociale, condite dalla più assoluta ignoranza economica e dal rifiuto dei dati empirici.

Questa agenda mira alla distruzione della più florida economia mondiale e dell’unica nazione fondata su una promessa di Libertà: è infatti evidente che la dittatura economica a cui mirano i Democratic Socialists sia solo l’anticamera della dittatura morale dello Stato etico e del politicamente corretto, a cui segue necessariamente la morte del diritto di parola e della libertà espressione.

 

 

 

 

 

*con il termine statunitense liberal si indica una corrente politica che in Europa verrebbe definita “socialista”. Il termine liberal non ha alcuna affinità con il Liberismo economico, il Liberalismo classico, o il Libertarismo americano.

FONTI:

[1] https://www.washingtonexaminer.com/bernie-sanders-slams-billionaires-gets-reminded-he-owns-3-houses

[2] https://www.foxnews.com/politics/warren-expressing-concern-about-releasing-dna-analysis-on-native-american-heritage-report-says

[3] https://ocasio2018.com/issues

[4] https://www.bloomberg.com/news/articles/2018-07-30/study-medicare-for-all-bill-estimated-at-32-6-trillion

[5] https://www.cato.org/blog/taxes-tippy-tippy-top?fbclid=IwAR1SWwcNuR-7aHT_kIb8FcHV7RzUUmYOsN99l_Cnvo-zFgI7dXI82vzWFTI

[6] https://www.irs.gov/statistics/soi-tax-stats-top-400-individual-income-tax-returns-with-the-largest-adjusted-gross-incomes

[7] https://taxfoundation.org/top-1-percent-pays-more-taxes-bottom-90-percent/

[8] https://taxfoundation.org/summary-latest-federal-income-tax-data-2016-update/

[9] https://taxfoundation.org/official-statistics-inequality-top-1-and-redistribution/

[10] https://taxfoundation.org/70-percent-tax-analysis/

 

N.B. tutti i dati della Tax Foundation sono dati ricavati dal sito dell’IRS, consultabili attraverso i link riportati in fondo agli articoli in citazione.

Perché essere liberali

È dura essere liberali in Italia. Tanto per cominciare, di solito nessuno sa neanche cosa sia o a cosa creda un liberale. I pochi che lo sanno ti collegano subito a qualche personaggio o partito politico ed è difficile spiegargli che il liberalismo non è esattamente quella cosa lì. Va pure peggio se ti dichiari liberista. Lì sì che capiscono… e ti chiedono subito perché odi i poveri o se godi a sfruttare i bambini (questo è all’incirca il pensiero medio); se poi va proprio male li senti pontificare sulla necessità dello Stato e l’importanza degli stimoli alla domanda (“non sai che Keynes ha risolto la crisi del ’29??[1]”). A quel punto la reazione tipica è tirare un sospiro e provare a spiegare con calma che liberismo non significa né Far West né sfruttamento. Il liberalismo è molto di più: è un’ideologia politica ancor prima che economica.

Non starò qui a raccontare cosa è il liberalismo, tante persone l’hanno già fatto prima e meglio di me. Voglio spiegare invece cosa significa per me essere liberale. Io questa ideologia sono arrivato per caso, ero liberale prima ancora di sapere cosa volesse dire. Ci sono arrivato partendo da una cultura di sinistra (e tuttora continuo a considerarmi di sinistra)e votare tendenzialmente di là), per gradi, a partire da riflessioni personali. Ho scoperto solo in seguito che ciò che sentivo e pensavo era già esposto in brillanti opere scritte molto prima che io nascessi.

Sono diventato liberale perché non mi piacevano le risposte semplici (“noi siamo bravi e intelligenti e potremmo sistemare il mondo, purtroppo il popolo è stupido e non ci capisce”), perché ho un forte senso di giustizia (con che diritto si può obbligare un individuo a essere “solidale” con un altro, ad esempio?), perché non sopporto il group thinking, perché mi fanno ridere coloro che credono di avere tutte le risposte e di poter decidere cosa è meglio per gli altri – anche nella mia vita privata sono così: non amo dare giudizi sulle vite altrui e do consigli solo quando esplicitamente richiesti.

Ma soprattutto sono liberale perché detesto l’idea che qualcuno abbia il diritto di controllarmi e dirmi cosa posso o non posso fare. Voglio poter vivere la vita a modo mio, senza essere obbligato a seguire regole decise da chissà chi. E l’unica ideologia politica che ti propone ciò è il liberalismo. Socialisti, fascisti, fanatici di varie religioni, tutti loro pretendono di insegnarti qual è il giusto modo di vivere, cosa puoi o non puoi leggere e ascoltare, chi devi ammirare e chi odiare, chi puoi e non puoi amare. Al liberalismo tutto ciò non interessa perché sa che ognuno di noi è un individuo unico, diverso da ogni altro: non esistono regole di vita valide per tutti. Siamo delle eccezioni, ognuno di noi. E dobbiamo liberamente cercare la nostra strada.

Il liberalismo è ottimista, ha fiducia nel genere umano e nelle sue capacità. Ritiene gli uomini generalmente buoni e intelligenti, capaci di aiutarsi a vicenda e di inventare continuamente modi per migliorare la condizione della nostra specie. Per questo non ama le regole (se non quelle di base necessarie per una convivenza pacifica): servono solo a controllare e tenere a freno gli esseri umani e la loro naturale bontà e intraprendenza. Lasciati liberi, gli uomini riescono a ottenere risultati straordinari, e la storia degli ultimi 250 anni è lì per dimostrarlo. Non bisogna avere paura della libertà.

Il liberalismo mi ha conquistato perché mi comunica leggerezza e serenità, ottimismo e fiducia. Okay, può essere un po’ naive nel suo credere alla bontà e intelligenza degli uomini. Ma non è meglio un’ideologia che ci insegna a stimare e confidare negli altri esseri umani, piuttosto di quelle che ci vogliono divisi in gruppi e categorie e destinati a odiarci l’un l’altro? Per me la scelta è facile, ed è la scelta della libertà.

[1] Leggersi Rothbard, Friedman et alia per capire perché non è affatto vero

L’assistenzialismo sta uccidendo l’Italia

Il Fascismo e gli anni sessanta. Cosa accomuna il Fascismo con gli anni sessanta? L’intervento statale. Durante il Fascismo, vi era la convinzione che lo Stato dovesse mettere in cammino il paese, attraverso le politiche keynesiane. Uno dei principi fondanti del keynesismo è che lo Stato debba creare debito, emettendo moneta nella società che si impegnerà per rimetterla in circolo attraverso lo scambio di beni e servizi.

L’Italia, ai tempi del fascismo, era un paese povero e, per certi aspetti, in macerie, soprattutto per colpa della Prima Grande guerra. Non era l’Italia degli anni sessanta, sicuramente. L’Italia era un paese, economicamente parlando, in grande salute. Veniva dal suo primo boom economico, con un benessere che cresceva in quasi tutto il territorio nazionale, ma se ai tempi del fascismo, c’era la convinzione che dovesse esserci una mano statale che fosse in grado di alzare economicamente l’Italia e gli italiani, negli anni sessanta c’era la convinzione che dovesse esserci una mano statale che fosse in grado di governare, di coordinare, di distribuire la ricchezza.

Se ai tempi del fascismo, la ricchezza era inesistente, negli anni sessanta la ricchezza era tanta, ma secondo i favorevoli all’intervento statale quella ricchezza era maldistribuita.

Tra il fascismo e gli anni sessanta, manca una parte fondamentale. Il periodo 1947-1962 fu un periodo straordinario di crescita economica per l’Italia e gli italiani: mai il nostro Paese fu in grado di raggiungere un livello tale di crescita economica.

Ma che cosa conta sottolineare di questa fase della storia? Conta sottolineare che l’Italia, soprattutto grazie alle politiche adottate da Luigi Einaudi, primo presidente della Repubblica italiana, nel suo unico anno come Ministro delle Finanze nel 1947, riuscì a salvare la Lira e a favorire i risparmi e gli investimenti.

Come disse lo stesso Sergio Ricossa, il Boom Economico italiano fu un processo spontaneo favorito da politiche di non interventismo statale, quelle stesse politiche che favoriscono la libera iniziativa degli individui che, senza alcun ostacolo o retrizione, sono messi nella condizione di avere un capitale e di sfruttarlo per i propri sogni, progetti, ambizioni.

Era l’Italia degli anni cinquanta, l’Italia che sognava di diventare grande liberamente. Era l’Italia che diventava capitalista spontaneamente. Ma questo non era di gradimento per tutti. Se l’Italia diventava capitalista, con molta probabilità, se qualcuno si arricchiva per le proprie intuizioni, per il proprio spirito imprenditoriale, per i propri sacrifici e per i propri meriti, c’erano anche persone che non vivevano tutto questo boom economico. C’erano persone che vivevano la povertà più assoluta.

Ma anziché dare fiducia al capitalismo e al mercato, anziché convincersi che il benessere di pochi avrebbe creato un benessere diffuso spontaneo, si erano convinti che solo la mano della Stato avrebbe aggiustato ed equilibrato le differenze di reddito.

Pertanto, si cominciò incaricando lo Stato nel garantire una Sanità che fosse accessibile gratuitamente per tutti, per evitare che chi disponeva di meno risorse economiche non potesse curarsi; desideravano uno Stato che sapesse garantire una Scuola per tutti, per evitare che chi disponeva di meno risorse economiche non potesse avere un’istruzione; desideravano uno Stato che sapesse fare l’imprenditore, che potesse subito impiegare i disoccupati, senza dover perdere tempo a cercare un lavoro.

Ma per esaudire tutti questi desideri, occorreva uno Stato con molte risorse economiche. Fra le tante cose, la principale fonte da “strozzare” economicamente erano i redditi medio-alti. Loro hanno le risorse per permettersi quasi tutto, pertanto è giusto che una parte della loro ricchezza venga destinata ai più bisognosi. Ma quel “strozzare” non bastava per soddisfare i desideri degli amanti della mano pubblica.

Se da una parte, i redditi medio-alti si ritrovavano impoveriti rispetto a prima, gli amanti della mano pubblica sostenevano che il problema non fosse lo Stato, ma che il prelievo precedentemente fu insufficiente. Occorreva un prelievo maggiore dei redditi medio alti. E prelievo maggiore fu. Ma non servì a nulla.

Per farla breve, sono passati cinque decenni dagli anni sessanta. L’Italia ha una sanità pubblica che fa acqua da tutte le parti già dalla sua nascita (fine anni settanta). L’Italia ha una scuola pubblica che fa acqua da tutte le parti già dalla sua nascita. Per colpa di quelle politiche, oggi l’Italia è costretta a mantenere economicamente dei baby pensionati, ex dipendenti pubblici, ex dipendenti di aziende statali, attuali dipendenti pubblici.

Non solo, poi ci sono quelli che avevano un reddito medio-alto. Chi aveva un reddito medio, molto probabilmente, ha disperso la propria ricchezza nelle casse statali. Chi aveva un reddito alto, è riuscito con bravuta a mantenere intatta la propria ricchezza.

Ma nel complesso, seguendo il sogno di alcuni socialisti di usare lo Stato per garantire una sanità, una scuola e una protezione economica per i più bisognosi, l’Italia dagli anni sessanta ad oggi è cresciuta economicamente, ma con il freno a mano tirato, almeno fino agli anni novanta. Ma nel duemila è cambiata la musica e nemmeno con la crescita ai minimi storici, l’Italia riesce a salire.

Ora siamo in recessione, ma ancge se l’Italia va sempre più verso la povertà totale, continuano a dominare gli amanti della mano statale.

Vogliono rincarare la dose; vogliono il reddito di cittadinanza; vogliono le assicurazioni auto decise dallo Stato; vogliono aumentare le case popolari. Vogliono continuare a derubare i redditi medio-alti per riuscire ad ottenere quel sogno mai realizzato dai socialisti, quello stesso sogno iniziato negli anni sessanta.

Continuano a dirci che il problema non è il loro progetto, ma che i soldi vengono sprecati, che i soldi vengono usati per corruzioni, che i soldi vengono usati per i vitalizi dei politici. No cari, il problema è che esistete voi, voi socialisti.

La verità di José Piñera su Pinochet e Allende

José Piñera è noto per essere stato il tecnico padre, durante il governo dittatoriale di Pinochet, del Miracolo del Cile. Tuttavia ha anche espresso alcune opinioni interessanti sulla salita al governo di Allende e sul golpe, e relativi effetti sul Cile, che meritano di essere analizzate.

Per prima cosa chiariamo che una dittatura, come quella di Pinochet, che ha usato ampiamente la tortura è un male. Anche José Piñera era di tale avviso, infatti governò con i militari solo per tre anni, per poi divenire oppositore del regime.

Per secondo, sono d’accordo con Milton Friedman: Le riforme di mercato hanno reso possibile dare alla dittatura una vita breve. Avere investitori, sia interni che esterni, che hanno potuto fare pressione sul Cile per mettere da parte Pinochet, ma non la sua politica economica che è stata portata avanti da molti altri presidenti cileni, anche nominalmente socialisti, è stata la salvezza del popolo cileno.

Se tutto fosse stato dello Stato, chi avrebbe potuto sovvertire questa dittatura? Nessuno, non senza spargimenti di sangue o un enorme sconvolgimento, come accadde nelle rivoluzioni dell’autunno delle nazioni.

Allende: Un martire?

Allende è spesso dipinto come un martire dei militari e degli USA, ma Piñera fa notare una cosa: Ad aver chiesto l’intervento dei militari fu il Parlamento, che vide nelle azioni compiute da Allende, come gli espropri e il governare per decreto, una violazione della Costituzione e lo depose.

Dunque Piñera ritenne il golpe un male minore e un qualcosa di formalmente legale, condannando poi le successive azioni della junta, come l’aver sciolto il Parlamento.

Piñera fece un contestato paragone con l’ascesa di Hitler, pienamente legale e democratica, e fece notare una certa collusione di Allende con la sinistra armata, alla quale offrì posti di governo.

In sostanza, per il tecnico cileno la vera causa del golpe è da ricercarsi nelle azioni antidemocratiche e illiberali di Allende, che hanno offerto ai militari uno spunto, legale, per fare un colpo di Stato e instaurare una triste dittatura, comunque meno triste di ciò che le collettivizzazioni avrebbero portato.

Le riforme di Piñera

Piñera fu autore di varie riforme, la più nota fu quella delle pensioni, che da statali divennero private e a capitalizzazione. Con tale sistema si è garantito un basso costo del lavoro per le imprese e un’ampia libertà di scelta per i lavoratori, che hanno permesso all’economia di crescere.

Un’altra riforma importante fu quella dell’istruzione, messa in concorrenza con i voucher, un sistema restato in piedi per più di 25 anni e solo di recente modificato, con l’aggiunta di un sussidio maggiore per i più poveri, il cui costo per l’istruzione è risultato maggiore.

Fu sempre grazie a lui che il governo di Pinochet chiamò i Chicago Boys e privatizzò vari settori dell’economia, aprendo la strada al Miracolo del Cile.

Cosa possiamo imparare?

Certe riforme andrebbero fatte perché portano benessere e crescita per tutti. Pur senza arrivare all’estremo di un colpo di Stato, un’opzione sicuramente estrema da adottare solo in caso di attentato alla democrazia, possibilmente senza compierne un altro poco dopo, bisogna considerare come il cambiamento non potrà mai arrivare dalla politica ma dovrà arrivare dalla società civile.

La politica ha come unico scopo, essenzialmente, raccogliere voti, e lo fa bene con misure assistenzialiste. Bisogna far capire alla maggioranza come l’assistenzialismo sia semplicemente parassitismo di minoranza che li danneggia.

Impossibile? In Brasile in una decina d’anni, grazie alla diffusione del liberismo da parte di competenti istituti, sono passati dal Partito dei Lavoratori a Bolsonaro con Guedes all’economia.