Che cos’è il Minarchismo: lo Stato Minimo e il Guardiano Notturno

Il minarchismo è una teoria politica libertariana che si fonda sull’esistenza di uno Stato Minimo, ridotto entro rigorosi limiti di legittimità, e che non presuppone la cessione di competenze allo Stato oltre a: ordine pubblico, giustizia e difesa del territorio.

Il termine è stato coniato da Samuel Edward Konkin III per distinguere, fra i libertari, gli anarco-capitalisti da quelli che parteggiano per la presenza di uno Stato con funzioni limitate.

Uno stato minimale, strettamente limitato alle funzioni di protezione contro la violenza, il furto, la frode e garante del rispetto dei contratti privati, è giustificato. Qualsiasi estensione di queste funzioni viola il diritto delle persone a non essere costrette, ed è quindi ingiustificata. 

(Robert Nozick, Anarchia, stato e utopia , 1974)

Quali sono le cose che gli uomini hanno il diritto di imporsi l’un l’altro con la forza? Ne conosco solo una: la giustizia. Non ho il diritto di costringere nessuno a essere religioso, caritatevole, educato, laborioso; ma ho il diritto di costringerlo ad essere giusto: questo è il caso dell’autodifesa. Ma nella comunità di individui non può esistere alcun diritto che non pre-esista negli individui stessi […] L’azione di governo è essenzialmente limitata all’ordine, alla sicurezza, alla giustizia. 

(Frederic Bastiat, Avviso alla Gioventù, 1830)

Parliamo quindi di un Guardiano Notturno. Talvolta, i minarchici assegnano allo Stato anche le infrastrutture essenziali, come le strade, ma altri ambiti molto preminenti come l’istruzione, la salute o il controllo della moneta continuano ad emergere come iniziativa privata.

I poteri dello Stato Minimo

Lo stato minimo è uno stato con poteri sovrani (tasse, polizia, giustizia, esercito) che si occupa di alcune funzioni aggiuntive quali la manutenzione delle reti stradale, elettrica, ferroviaria, ecc. La moneta e l’educazione sono gestite dal settore privato.

Concedere allo Stato un numero limitato di  funzioni non è sufficiente per parlare di stato minimo in senso stretto. In effetti, è anche importante che le prerogative dello Stato in ciascuno di questi ambiti decisionali siano severamente circoscritte.

Ad esempio, il ruolo di sicurezza del governo non può giustificare il monitoraggio dei suoi cittadini come potenziali sospetti. Superando questo limite, lo stato non è più uno stato minimo. Questo è il motivo per cui, per ragioni di accuratezza, lo stato minimo dovrebbe essere definito come uno stato con poteri sovrani limitati.

Secondo Ayn Rand, un governo deve assumere solo tre funzioni: la polizia (per proteggere i cittadini dai criminali), la difesa (per proteggerli dall’invasione straniera) e la giustizia (per risolvere i conflitti in base a leggi oggettive). Qualsiasi altra funzione del governo richiederebbe l’uso coercitivo della forza e sarebbe quindi immorale. Anche secondo questa definizione, lo stato minimo implica necessariamente un governo limitato.

L’idea dello Stato Minimo dei Liberali Classici è, dunque, stata ereditata dai libertari minarchisti, il cui rappresentante più famoso, Robert Nozick, definisce due condizioni necessarie per l’esistenza dello Stato:

  1. Un monopolio di fatto sull’uso o l’autorizzazione dell’uso della forza in un dato territorio (stato ultra-minimo);
  2. Protezione estesa a tutti gli abitanti di questo territorio (stato minimo).

Per Frédéric Bastiat, lo stato minimo è una condizione imperativa per la salvaguardia dei diritti individuali:

Anche lo Stato è soggetto alla legge malthusiana. Tende a superare il livello dei suoi mezzi di esistenza, cresce in proporzione a questi mezzi. Guai a chi non saprà come limitare la sfera di azione dello Stato. Libertà, attività privata, ricchezza, benessere, indipendenza, dignità… tutto ciò finirà.

Contrariamente all’argomento di Locke che giustifica moralmente l’esistenza dello stato perché il mercato non potrebbe fornire i beni pubblici necessari per la sicurezza della società (polizia e giustizia), Hasnas[1] indica che il compito dello Stato non è quello di fornire questi beni pubblici, ma di garantire che tali servizi siano forniti, sostenendo che è impossibile giustificare un monopolio a priori, come la produzione di questi servizi da parte dello Stato.

Confronto con l’anarco-capitalismo

Mentre gli anarco-capitalisti credono nella possibilità di un mercato diversificato della sicurezza, i minarchisti credono che la sicurezza sia un monopolio naturale e che in una situazione di anarchia le agenzie di protezione in competizione finirebbero per federarsi in un’unica singola azienda dominante.

Secondo Nozick, tale agenzia dominante corrisponde a uno stato minimale prodotto dall’ordine spontaneo (senza un contratto sociale!). L’agenzia dominante riesce, grazie al suo monopolio di fatto, a far rispettare il divieto di utilizzare procedure legali non approvate da essa. L’agenzia dominante si trasforma in uno stato minimo offrendo protezione gratuita a coloro che sono svantaggiati dal suo monopolio di fatto sulle procedure giudiziarie.

Alcuni anarco-capitalisti come Murray Rothbard contestano questo tipo di scenario. Da un lato non vedono come possa nascere uno stato ultra-minimale (“concezione immacolata” dello stato, secondo Rothbard), né, d’altro canto, perché un’agenzia dominante emergerebbe necessariamente, e cosa impedirebbe in seguito l’emergere di concorrenti di questa agenzia. D’altra parte, gli anarco-capitalisti dubitano che lo stato minimo resti minimo all’infinito:

I fautori del governo limitato spesso difendono l’ideale di uno Stato di sopra della mischia che non prende le parti o che non ostenta il suo potere, un “arbitro” che potrebbe decidere in modo imparziale tra le varie fazioni della società. Ma per quale motivo gli uomini di stato dovrebbero comportarsi in questo modo? Dato il loro potere senza un contrappeso, lo Stato e i suoi leader agiscono per massimizzare il loro potere e la loro ricchezza, e quindi inevitabilmente tendono a superare i propri presunti”limiti”. Ciò che è importante è che l’utopia dello stato limitato e del liberalismo non fornisce alcun meccanismo istituzionale per contenere lo stato entro questi limiti. Eppure la sanguinaria storia dello Stato avrebbe dovuto dimostrare che tutti i poteri vengono necessariamente superati e abusati.

Murray N. Rothbard

Dal momento in cui ammetti che lo stato, in quanto monopolista territoriale con potere di tassazione e in grado di prendere decisioni definitive, è qualcosa di cui hai bisogno, non hai modo di limitare il suo potere affinché rimanga uno stato minimale. Supponendo semplicemente che i leader tendano a promuovere i propri interessi, è chiaro che qualsiasi stato minimo tende a diventare uno stato massimo, nonostante le disposizioni costituzionali che si oppongono ad esso. Dopo tutto, la Costituzione deve essere interpretata, ed è interpretata da una Corte Suprema, cioè da un ramo dello stesso governo il cui interesse è quello di espandere il potere dello Stato, e per lo stesso motivo il suo stesso potere.

Hans Hermann Hoppe

Confronto con il Liberalismo Classico

Alla luce delle definizioni riportate in questa pagina, sembra che il minarchismo difenda gli ideali del Liberalismo Classico. La denominazione Minarchismo fu usata dagli autori anglosassoni degli anni ’70 (ma in misura molto minore del termine libertarismo ) per distinguersi dall’uso molto social-democratico del termine liberalismo e dai liberals, i quali non hanno nulla a che vedere coi liberali.

Autori minarchici

John Locke, Wilhelm Von Humboldt, Thomas Jefferson, Frédéric Bastiat, Auberon Herbert, John Prince Smith, Herbert Spencer, James M. Buchanan, Richard Epstein, Ludwig von Mises, Charles Murray, Robert Nozick, Ayn Rand, Leonard Read, Thomas Szasz.

Note:

[1]: John Hasnan, Alcune riflessioni sullo Stato Minimo.

L’inversione della curva dei tassi d’interesse: è in arrivo una nuova crisi?

La linea blu rappresenta il tasso di interesse sui titoli del Tesoro USA a 3 mesi. La linea rossa, il tasso di interesse sui titoli del Tesoro USA a 30 anni.

Le barre grigie verticali rappresentano i periodi di recessione economica.

(ignorate la discontinuità della linea rossa tra il 2002 e il 2006, è un errore dell’algoritmo) 1

Anche un osservatore laico può immediatamente percepire una relazione diretta: ogni volta che la linea rossa cade sul blu – e specialmente quando è sotto il blu – si verifica una recessione pochi mesi dopo.

Vediamo ora quest’altro grafico. La linea blu continua a rappresentare il tasso di interesse sui buoni del Tesoro a  3 mesi . La linea verde, il tasso di interesse dei titoli del Tesoro  decennale.2

Possiamo fare la stessa osservazione che è stata fatta per il primo grafico, con l’unica eccezione per il lontano 1966, l’unica volta in cui le linee si intersecarono e non ci fu recessione.

Il fenomeno

Tale fenomeno è chiamato inversione della curva di interesse. In inglese, c’è un termine pomposo: inverted yield curve.

L’inversione si verifica quando i tassi di interesse a lungo termine (in questo caso, 30 anni) sono inferiori ai tassi di interesse a breve termine (in questo caso, 3 mesi). Chiaramente, è un’anomalia che i tassi di interesse a lungo termine raggiungano livelli inferiori ai tassi di interesse a breve termine.

In tempi normali, gli agenti economici (proprio come qualsiasi individuo) tendono a richiedere un interesse maggiore per periodi più lunghi. Più lungo è il periodo di un prestito, maggiore è l’interesse richiesto. Fondamentalmente, tre elementi definiscono il tasso di interesse per un prestito: il rischio, l’aspettativa di inflazione dei prezzi e la preferenza temporale.

  • Più lungo è il periodo del prestito, maggiore è il rischio. Pertanto, maggiore è l’interesse richiesto per compensare questo rischio.
  • Più lungo è il periodo del prestito, maggiori sono le possibilità di una grande perdita del potere d’acquisto della valuta. Pertanto, maggiore è l’interesse richiesto per compensare questa perdita di potere d’acquisto.
  • Più lungo è il periodo del prestito, più tempo dovrai rinunciare al tuo consumo. Dunque, l’interesse richiesto sarà maggiore per rinunciare a questo consumo nel presente, in cambio di più denaro in futuro. Questa è la base delle preferenze temporali.

Pertanto, è un’anomalia che i tassi di interesse a lungo termine diventino inferiori ai tassi di interesse a breve termine. E questa anomalia precede sempre una recessione.

Ma perché si verifica? E perché precede una recessione?

Cosa dice la teoria convenzionale

Il sito Investopedia3 offre questa definizione:

Storicamente, le inversioni dei tassi di interesse hanno preceduto diverse recessioni negli Stati Uniti. A causa di questa correlazione, la curva degli interessi è spesso vista come un modo accurato di prevedere variazioni nel ciclo economico.

Una curva di interesse invertita prevede che i futuri tassi di interesse nell’economia saranno inferiori, e questo perché le obbligazioni a lungo termine sono più richieste delle obbligazioni a breve termine, e questa maggiore domanda abbassa i tassi d’interesse. […]

Ciò che influenza i tassi di interesse nel mercato sono le variazioni nella domanda di titoli di termini diversi in un dato momento e date determinate condizioni economiche. Quando l’economia è diretta verso una recessione, gli investitori – sapendo che i futuri tassi d’interesse saranno più piccoli proprio perché l’economia sarà in recessione – diventeranno più disposti a investire in obbligazioni a più lungo termine. Questa maggiore domanda aumenta i prezzi di questi titoli e, di conseguenza, diminuisce i loro tassi di interesse (maggiore è il prezzo di un titolo, minore è l’interesse che pagano).

Allo stesso tempo, un minor numero di investitori desidera investire in obbligazioni a breve termine, che stanno ancora pagando tassi di interesse più bassi rispetto alle obbligazioni a lungo termine. Con una minore domanda di obbligazioni a breve termine, i tassi di interesse tendono a salire, generando una curva invertita.

E adesso, una spiegazione più liberale

La spiegazione appena mostrata è tecnicamente corretta. Ma è limitato solo alla visione del mercato finanziario.

Cerchiamo ora di espanderla all’economia reale. Alla fine, vedremo che il ragionamento è lo stesso.

Il seguente grafico mostra l’evoluzione della base monetaria statunitense. Adesso è marzo 2019 e il grafico inizia ad agosto 2013.

Oggi, la base monetaria statunitense, che è una variabile completamente sotto il controllo della Fed, ha praticamente lo stesso valore cinque anni fa. La Fed sta mantenendo una politica monetaria restrittiva. Non c’è alcun dubbio su questo.

Questo dato può aiutare a spiegare perché il dollaro è forte in tutto il mondo.

La teoria economica della Scuola Austriaca insegna che quando la Banca Centrale inizia a stabilizzare la base monetaria, il ciclo di espansione economica viene interrotto. Inizialmente, la stabilizzazione della base monetaria inizia a incidere sui tassi di interesse a breve termine, che iniziano a salire (c’è meno denaro disponibile per il sistema bancario da prestare a consumatori e imprenditori).

Di conseguenza, per gli imprenditori, diventa più difficile continuare con le loro attuali politiche di espansione del business. Trovano più costoso prendere in prestito i soldi di cui hanno bisogno per completare le iniziative avviate quando immaginavano che la domanda dei consumatori sarebbe aumentata.

Gli imprenditori quindi iniziano a competere per prestiti a breve termine perché devono portare a termine i loro progetti. Quando competono tra loro per questo denaro, il tasso di interesse a breve termine aumenta.

Allo stesso tempo, non prendono prestiti a lungo termine perché hanno paura di non riuscire a ripagare il loro debito nel caso in cui l’economia entrasse in recessione. Come conseguenza di questa minore domanda di prestiti a lungo termine, i tassi di interesse a lungo termine iniziano a calare.

Nel frattempo, nel mercato obbligazionario (pubblico e privato), cresce il timore che la fase espansiva del ciclo economico stia volgendo al termine. Di conseguenza, gli investitori ritengono che sia una buona idea acquistare titoli a lungo termine (pubblici e privati) e ricevere gli interessi su questi titoli. Dato che ci sarà una recessione, avere un reddito garantito e bloccato a un tasso di interesse ancora alto è una buona idea.

Così, mentre gli imprenditori e le imprese riducono le loro richieste di prestiti a lungo termine, gli investitori iniziano a comprare più obbligazioni a lungo termine. Ciò riduce ulteriormente il tasso di interesse a lungo termine.

Tesi finale: quando inizia il processo di stabilizzazione della base monetaria, la tendenza è quella di aumentare i tassi di interesse a breve termine e di ridurre il tasso di interesse a lungo termine. Infine, c’è l’inversione della curva dei tassi di interesse.

Detto questo, vale la pena ricordare che di recente, il 22 marzo 2019 , c’è stata un’inversione della curva di interesse per le metriche 3 mesi e 10 anni, che già innesca un cattivo segnale. Ecco gli ultimi valori:

Conclusioni

La teoria sostiene ciò che la pratica ci sta mostrando. Sì, l’inversione della curva di interesse – che è un fenomeno atipico – è un buon segnale predittore di una recessione americana. In media, la recessione inizia 6-12 mesi dopo l’inversione (non c’è una teoria esatta a questo riguardo).

Finché i tassi di 30 anni e tre mesi non sono invertiti, non si può dire che si stia per affermare una recessione negli Stati Uniti. Tuttavia, l’inversione delle curve di 10 anni e 3 mesi – che è il secondo miglior predittore – attira l’attenzione. E accende un allarme.

Fonti:

  1. https://www.mises.org.br/Article.aspx?id=2971
  2. https://fred.stlouisfed.org/graph/?g=np1a
  3. https://www.investopedia.com/terms/i/invertedyieldcurve.asp

Post-Modernismo: il marxismo 2.0

Il Comunismo in senso stretto non esiste più, in pochi lo difendono apertamente e i partiti che si rifanno ad esso sono ridotti a misere percentuali. Eppure, l’egemonia culturale comunista non può essere scomparsa di colpo: che fine ha fatto?

C’è ancora ed è più forte che mai, perché è in incognito. Fa finta di non essere marxismo, ma lo è all’estremo: è il post-modernismo, il marxismo culturale, da cui discendono il buonismo, l’ultra-progressismo, i movimenti per i diritti delle minoranze e via dicendo.

Ciò che ha trasformato i presupposti marxisti in post-modernismo, a partire dagli anni ’70, è il fatto che il proletariato non vuole più ribellarsi e sovvertire il sistema perché, anzitutto, i proletari-lavoratori stanno aumentando il proprio benessere [grazie al libero mercato] e ciò ha completamente smontato la base rivoluzionaria del Comunismo, siccome per continuare a ribellarsi i proletari avrebbero dovuto continuare ad essere poveri e malmessi; secondariamente, il marxismo in Russia, a Cuba, in Venezuela e ogni altro posto in cui è stato provato ha generato solamente catastrofi e genocidi e non è desiderabile nemmeno dai vecchi sostenitori del Comunismo italiano, tranne per quei quattro gatti che inneggiano ancora a Stalin mentre parlano di plusvalore e valore-lavoro.

Purtroppo per noi, hanno avuto un’intuizione malefica, che possiamo immaginare abbiano articolato più o meno così: “dobbiamo trovare un nuovo modo di giocare la partita ‘oppressori contro oppressi‘ riformulando capitalisti contro proletari… Eureka! Possiamo introdurre le politiche dell’identità per gruppi: non sei più oppresso perché fai parte della classe dei lavoratori, tu ora sei appresso perché sei una donna, o perché appartieni a un’etnia differente da quella della maggioranza, o perché le tue preferenze sessuali sono in qualche maniera fuori dalla norma. Insomma, sei oppresso perché fai parte di una minoranza“.

E non ci stancheremo mai di dirlo: la più piccola minoranza sulla Terra è l’Individuo, le leggi devono essere uguali per tutti gli individui al fine di togliere privilegi a chi li ha senza doverli concedere a chi ieri era discriminato, altrimenti si creerebbe un nuovo ciclo di discriminati e discriminanti.

Nuovamente purtroppo per noi, hanno trovato un campo fertile, perché è innegabile che ci siano razzisti, omofobi, maschilisti o discriminazioni di ogni genere, dunque hanno individuato dei nuovi oppressori da combattere, generalizzando al massimo le loro caratteristiche. Il cattivo ora è quello che non viene discriminato: basta che sia bianco, eterosessuale, uomo, capitalista.

In questo modo, distruggono il valore delle proteste per i veri diritti, avviliscono chi desidera avere pari opportunità, chi lotta per una società giusta, libera e di equità, chi desidera un mondo in cui sia le donne sia gli uomini siano liberi di scegliere e di fare. E non finisce qui: come ben possiamo vedere in Italia, questi sentimenti del post-modernismo generano il nemico che loro stessi lottano, poiché pur di opporsi al post-modernismo le persone finiscono per diventare il mostro identificato come razzista, sessista, maschilista, misogino, omofobo.

Definiscono fascismo ogni cosa, ma finiscono a deturpare il significato della parola fascismo affibbiandola a chiunque non abbia le loro idee. Esistono pure gli estremisti, che dicono cose come “è giusto che [inserire qui una minoranza qualsiasi] abbiano più diritti degli altri perché sono stati discriminati ed ora hanno il diritto di pareggiare i conti discriminando gli oppressori“.

Insomma, hanno iniziato a traslare il carattere totalitario del marxismo verso gli ambiti culturali e sociali, tanto da corroborare le proprie idee con l’intolleranza. I post-modernisti non credono che esista la competenza e debba essere remunerata né credono che esistano strutture valoriali in base alla cultura che si possiede, ad esempio quella Occidentale, non credono nemmeno che gli individui abbiano un background biologico da cui dipendono alcuni tratti della loro personalità, chiamano tutto ciò costruzione sociale.

Eppure, il mercato può funzionare solo se viene premiata la competenze, poiché in tal modo il venditore può fornire ciò che il compratore desidera ed è proprio il compratore a decidere chi premiare; la cultura Occidentale, per quanto abbia ancora molti difetti e non sia libera dai pregiudizi, è quella che concede le maggiori libertà agli individui; quelli che vogliono fare costruttivismo sociale, inventare paradigmi nuovi a seconda di come gira, a seconda di chi sembra più oppresso, sono proprio loro, i nuovi nemici della libertà, della tolleranza e della pace sociale: i post-modernisti, ossia i comunisti 2.0.

Quando Cavour convinse il parlamento a costruire la TAV

Riportiamo il discorso parlamentare tenuto dal Presidente della Camera Camillo Benso di Cavour il 27 Giugno 1857; all’opposizione, contrari al Traforo del Moncenisio (esattamente dove oggi sarebbe il traforo per la TAV), molti parlamentari guidati dal Deputato Moia, che sia per assonanza sia per l’ideologia si potrà scambiare per qualche politico odierno.

« Signori, l’impresa che noi vi proponiamo, non vale il celarlo, è impresa gigantesca; la sua esecuzione dovrà però riuscire a gloria e a vantaggio del paese.
Ma se le difficoltà che si debbono incontrare sono molte, non è meno grande la speranza che abbiamo di poterle vincere. Le grandi imprese non si compiono, le immense difficoltà non si vincono che ad una condizione, ed è che coloro a cui è dato di condurre queste opere a buon fine, abbiano una fede viva, assoluta, nella loro riuscita.

Se questa fede non esiste, non bisogna accingersi a grandi cose né in politica, né in industria; se noi non avessimo questa fede, non verremmo ad insistere avanti a voi chiamando sul nostro capo una così grave responsabilità.

Se fossimo uomini timidi, se ci lasciassimo impaurire dal pensiero della responsabilità, potremmo adottare il sistema del deputato Moia [=rinunciare per potenziare altre linee].

Voi mi direte, o signori, dove noi, che in qualità di uomini di Stato non dovremmo lasciarci dominare dall’immaginazione, dove abbiamo attinta questa fede, che in certo modo può, se non trasportare, almeno traforare i monti. Ve lo dirò.

Noi abbiamo fede nel giudizio di una Commissione la quale conta nel suo seno scienziati di prim’ ordine, ingegneri abilissimi, giovani professori di un tal merito, che in pochi anni sono passati dal banco della scuola al seggio dell’Accademia; uomini nei quali, prima dell’ esame dei metodi impiegati, regnava forse uno scetticismo pari a quello del deputato Moia. Ebbene, noi abbiamo fede in questo giudizio.

Finalmente lo dichiaro altamente, io ho fiducia negli ingegneri proponenti l’impresa, e l’ho perché conosco,  sia come ministro sia come privato,  la loro capacità e la loro onestà.
Io mi lusingo, o signori, che voi condividerete questa nostra fiducia. Io spero che darete un voto deciso. Se un dubbio vi tormenta che nelle viscere della montagna che si vuol squarciare si nasconda ogni maniera di difficoltà, di ostacoli e di pericoli, rigettate la legge; ma non ci condannate ad adottare una via di mezzo, che sarebbe in questa contingenza fatalissima.

Se voi ora adottaste la proposta di Moia, inaugurereste assolutamente un altro sistema; ed io ne sarei dolentissimo, non solo perché andrebbe perduta questa stupenda opera, ma perché un tale atto sarebbe un fatale augurio per il futuro sistema politico che sarà chiamato a seguire il Parlamento.

Noi avevamo la scelta della via; abbiamo preferito quella della risoluzione e dell’arditezza; non possiamo rimanere a metà; è per noi una condizione vitale, un’alternativa impreteribile : o progredire, o perire.

Noi non dubitiamo che, non solo la Camera e il paese nostro, ma l’Europa intiera condividerà la nostra fede nella riuscita dell’impresa.

Io nutro ferma fiducia che voi coronerete la vostra opera colla più grande di tutte le imprese moderne, deliberando il perforamento del Moncenisio. »

 

La Camera approvò il provvedimento con 98 voti favorevoli e 30 contrari. Alcune settimane dopo Cavour andò sul luogo dei lavori  «dove lo attendevano con le rappresentanze delle Camere e dell’ esercito gli ingegneri e i direttori dell’ impresa, il principe Napoleone ed una folla di popolo festante».

Liberismo e Liberalismo: Benedetto Croce si sbagliava

Nel 1927 Benedetto Croce pubblicò alcuni scritti, fra cui il noto Liberismo e Liberalismo, nel quale non negava certamente la necessità del libero mercato, ma asseriva che non fosse condizione necessaria per giungere ad una società capace di mantenere salde le libertà politiche e individuali.

Nel corso del lungo dibattito, che spaziava dalla filosofia alla sociologia, sostenuto con l’amico e avversario Luigi Einaudi, altri autori e ricercatori hanno detto la propria, con alcune basi storiografiche e scientifiche talvolta più solide: parliamo di Karl Polanyi (il quale nonostante fosse ostile al libero mercato, diede un contributo positivo al dibattito), Eduard Meyer, Karl Popper e Friedrich Von Hayek.

Il metodo da loro utilizzato è consistito nell’osservare l’evoluzione delle società del passato, traendone i caratteri che potessero rivelare informazioni sulla correlazione fra libertà individuali e libertà economiche [1] ; è chiaramente un metodo induttivo e in quanto tale non se ne può dedurre una legge universalmente valida, tuttavia i risultati hanno portato ad evidenze interessanti: la libertà individuale si è presentata in modo indipendente dal sovrano solamente quando si è potuto contare sul libero scambio di merci e idee.

Eduard Meyer fu uno dei primi a mettere in discussione l’idea -rafforzatasi nel periodo hegeliano- che l’economia greca fosse ristretta a quella dell’Oikos ( οἶκος ), ossia un’economia di tipo familiare, di auto-sussistenza. Sostenne che quando Atene incominciò «a partecipare sempre più vividamente alla lotta della concorrenza»[2] ed i capitali e le idee di diversi popoli iniziarono ad affluire nella città, la popolazione riuscì ad emanciparsi dalla sussistenza e dai privilegi, entrando in un clima di benessere economico e libertà politica, quest’ultima sviluppatasi attraverso la democrazia.

La democrazia greca, però, era di una forma molto particolare: essa «richiedeva salvaguardie materiali per impedire ai ricchi di mantenere quella parte di popolo politicamente attiva»[3] in modo tale da evitare il clientelismo, ma imponeva anche che la polis si facesse carico della distribuzione degli alimenti per il popolo, seppur senza burocrazia; sembrerebbe un paradosso, eppure i greci trovarono una soluzione geniale: il mercato, il quale distribuiva gli alimenti molto meglio dei pianificatori, dei burocrati e degli aristocratici desiderosi di corrompere gli elettori. Ovviamente, ciò poteva funzionare per via della ricchezza fornita dal fiorente commercio, grazie alla quale ogni cittadino poteva emanciparsi dai lavori di sussistenza per poter guadagnare molto di più servendo le necessità altrui tramite il mercato.

Karl Popper, noto per lo studio della Società Aperta e i suoi nemici, individuò anche i nemici della società chiusa: «l’instaurazione di contatti culturali diede vita a quello che è forse il peggior nemico per la società chiusa, cioè il commercio» [4]. Ecco a noi il punto cruciale del discorso: il commercio favorisce l’incontro fra culture, l’apertura verso di esse e la loro accettazione, lo scambio commerciale diventa uno scambio filosofico, come fece notare anche Nicola Abbagnano, il quale sosteneva che la Filosofia sia nata nelle isole ioniche[5] (e non nella Grecia continentale!) proprio per mezzo del commercio, che ha favorito il logos, il discorso, fra popoli.

Constatato che anche Popper riconosce e sottolinea il legame fra libertà economiche e libertà individuali, troviamo una formulazione ancor più puntuale grazie ad Hayek [6]: «L’autorità che dirige l’intera attività economica non controllerebbe semplicemente un settore della vita umana, che possa essere separato dal resto; controllerebbe l’allocazione di mezzi limitati per tutti i nostri fini. E chiunque abbia l’esclusivo controllo dei mezzi determina quali fini debbano essere perseguiti, quali valori debbano essere considerati superiori e quali inferiori: in breve cosa gli uomini devono credere e a che cosa aspirare.»

Una società in cui vengano garantite le libertà individuali da un ente superiore (e, dunque, privilegiato) che ha il potere discrezionale di decidere come allocare le risorse, avrà direttamente e conseguentemente il potere di decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato; pensare che ci si possa affidare ad un buon legislatore, un Messia politico, o alla burocrazia,  è ingenuità o pura illusione.

Note:

[1]: alcune citazioni di autori in questo articolo sono tratte da Ignoranza e Libertà, 1999, Lorenzo Infantino

[2]: L’evoluzione economica dell’antichità, 1905, Eduard Meyer

[3]: Traffici e mercati negli antichi imperi, 1957, Karl Polanyi

[4]: Le fonti della conoscenza e dell’ignoranza, 1960, Karl Popper

[5]: Storia della Filosofia, 1946, Nicola Abbagnano

[6] Liberalismo, 1973, Friedrich Von Hayek

I 10 presidenti più libertari degli Stati Uniti

Molti presidenti lungo il corso della storia statunitense hanno ispirato quello che oggi è il movimento libertario, contribuendo al rafforzamento delle basi della dottrina liberale.

 

Ronald Reagan

10. Ronald Reagan

Reagan è l’unico presidente post-1929 in elenco ed è uno dei due presidenti libertari di tutto il ventesimo secolo. Reagan ha spesso affermato che “il cuore e l’anima” del conservatorismo è il libertarismo. Inoltre, fu molto meno guerrafondaio di quanto alcuni conservatori -e non- moderni desiderino ricordare. Molti dei suoi sforzi per ridurre il governo furono ostacolati dal Congresso (e lo stesso Reagan favorì un governo con grandi poteri con progetti come la “war on drugs”, bisogna pur ammettere avesse qualche difetto) e persino dai membri del suo stesso partito, ma comunque Reagan combatté duramente per diminuire il perimetro statale, fino all’ultimo giorno del suo secondo mandato.

 

Zachary Taylor

9. Zachary Taylor

Taylor fu presidente per poco più di un anno, prima della sua morte nel 1850. Firmò il trattato Clayton-Bulwer con il Regno Unito, che impedì a entrambi i paesi di impadronirsi del Canale del Nicaragua. Nel tentativo di impedire che la schiavitù si estendesse a sud-ovest, si oppose al Compromesso del 1850.

 

Rutherford B. Hayes

8. Rutherford B. Hayes

Hayes visse e governò durante la fine dell’Era della Ricostruzione (1863-1877), lavorando per proteggere gli americani neri che erano oppressi nel sud. Era a favore del gold standard e mise fine al “sistema del bottino” (Spoil System, ossia il cambio degli alti dirigenti con il cambiare del governo), designando così i funzionari del governo per merito e non attraverso le loro associazioni politiche. Era un forte seguace della Dottrina Monroe, ossia riteneva che gli Stati Uniti non dovessero intervenire negli affari di altri paesi. Tuttavia, usò le truppe federali per sedare il famoso sciopero chiamato Great Railway Strike.

 

George Washington

7. George Washington

Al padre degli Stati Uniti d’America, George Washington, venne affidato un incredibile lavoro: avrebbe dovuto dare l’esempio a tutte le persone che lo avrebbero seguito nel governo degli uomini liberi. Si rifiutò sempre di essere nominato in termini regali e si dimise dopo il suo secondo mandato, nonostante le insistenze. Nel suo discorso di addio, avvertì della possibilità di stringere alleanze all’estero, nonché alleanza con un intero sistema di partiti politici vicini alla causa della Libertà. Purtroppo, ha anche uno scheletro nell’armadio: nominò e seguì il consiglio del difensore della banca centrale Alexander Hamilton e usò l’esercito per sedare la ribellione del whisky.

 

Martin Van Buren

6. Martin Van Buren

Van Buren cercò la diplomazia con il Messico, in contrasto con le politiche di guerra di Andrew Jackson. Sostenne con vigore l’idea di dazi più bassi e difese allo strenuo il libero scambio. Durante il Panico del 1837 (forte depressione economica), praticò politiche di libero mercato e si rifiutò di coinvolgere il governo federale. Tuttavia, Van Buren aderì al piano Trail of Tears (deportazione forzata dei nativi americani in riserve) promulgato da Andrew Jackson.

 

John Tyler

5. John Tyler

Tyler entrò in carica dopo la morte di William Henry Harrison (che alcuni potrebbero dire fosse stato il presidente più libertario perché non visse abbastanza a lungo per portare avanti anche solo una minima iniziativa). Tyler governò quasi 4 anni e usò spesso il suo potere di veto, ad esempio per cancellare i fondi alle banche. Concluse la Seconda Guerra Seminole contro alcuni nativi americani e non usò truppe federali durante la Ribellione di Dorr. Tuttavia, fece annettere il Texas, che in seguito portò alla guerra tra il Messico e gli Stati Uniti.

 

Thomas Jefferson

4. Thomas Jefferson

Considerato da molti come l’epitome del libertarismo moderno, Jefferson fece tutto il possibile per attuare politiche a favore della libertà una volta diventato presidente. Eliminò gran parte dell’eccesso del governo “hamiltoniano” che i presidenti Washington e Adams si erano lasciati alle spalle. Vietò la schiavitù nel territorio del nord-ovest e proibì il commercio internazionale degli schiavi nel 1807. Mentre alcuni libertari possono criticare l’acquisto della Louisiana, è documentato che Jefferson fu molto esitante e premuroso circa la costituzionalità di queste azioni.

 

James Madison

3. James Madison

Il padre della Costituzione continuò lungo la strada ereditata dal suo predecessore Jefferson. Grazie alle politiche economiche di successo di Jefferson, Madison ereditò un surplus di bilancio e optò per ridurre le tasse. L’assalto alla enorme struttura del governo nazionale di Hamilton continuò. Pose il veto sulla creazione della Seconda Banca nel 1814. Dopo la guerra del 1812, Madison dovette trattare con un Congresso di totale opposizione, permettendo che i poteri governativi lievitassero. Tuttavia, nel suo atto finale di presidente, Madison pose il veto ai dividendi della Seconda Banca nel 1817 e colse  l’occasione per criticare il Congresso per aver interpretato così ampiamente i poteri di imposizione e di spesa della Costituzione.

 

2. Grover Cleveland

L’unico presidente a d aver governato in due mandati non consecutivi, Cleveland fu uno dei pochi democratici favorevoli al minarchismo. Dopo la sua elezione, proprio come Hayes, combatté duramente contro lo Spoil System e ha inoltre ridotto il numero di lavoratori governativi. Si oppose all’imperialismo americano e in diverse occasioni impedì agli Stati Uniti di intraprendere azioni militari.

 

1. Calvin Coolidge

Calvin Coolidge

Silent Cal” è in cima alla nostra lista per il suo ruolo nel consolidare i principi libertari di oggi. Come Reagan, Coolidge usò il pulpito intimidatorio nel tentativo di cambiare la percezione di come il governo dovrebbe funzionare. In un’epoca che ha visto come presidenti i grandi personaggi delle alte tasse e delle enormi spese governative come Theodore Roosevelt, Woodrow Wilson, Herbert Hoover e Franklin Roosevelt, il nostro Coolidge si distinse notevolmente.

Venne eletto nel 1923 e prestò servizio per quasi sei anni alla Casa Bianca. Ridusse sostanzialmente le tasse in almeno tre occasioni e inserì attori del laissez-faire presso agenzie governative come la Federal Trade Commission e la Interstate Commerce Commission. Il debito federale venne ridotto di un quarto dopo un’epoca che aveva visto crescere i governi statali e locali in modo esponenziale. Coolidge pose il veto alle sovvenzioni agricole e respinse l’intervento federale nel controllo delle inondazioni.

 

Tradotto da Alessio Cotroneo dal partner hispanoamericano Mas Libertad.

Capire il Libero Mercato: 10 aforismi di personaggi famosi

Immagina di essere con i tuoi amici e, ad un certo punto, come sempre, inizia il dibattito politico. Nessuno sa cosa sia il libero mercato, ma lo criticano tutti. Per te loro sono tutti socialisti, tu per loro sei uno strano egoista turbocapitalista che vuole la disumanizzazione totale.

Ecco 10 piccoli passi per capire e far capire il Libero Mercato ai profani:

  1. Condannare il libero mercato a causa di ciò che accade oggi non ha senso. Non ci sono prove che il libero mercato esista oggi. Siamo profondamente coinvolti in un’economia pianificata dall’interventismo, che consente ai partiti di ottenere importanti benefici dal punto di vista elettorale. Si può condannare la frode e il sistema attuale, ma devono essere chiamati con i loro nomi propri: inflazione keynesiana, interventismo e corporativismo. [Ron Paul]
  2. La generazione di oggi è cresciuta in un mondo in cui, sia tramite la scuola che nella stampa, l’imprenditorialità è stata rappresentata come attività disonesta e cercare il profitto è stato definito un atto immorale, e dare un lavoro a centinaia di persone è considerato sfruttamento, ma è considerato onorevole far dare ordini allo Stato ad altrettante persone. [Friedrich Von Hayek]
  3. La nostra libertà di scelta in una società competitiva si basa sul fatto che, se una persona rifiuta di soddisfare i nostri desideri, possiamo rivolgerci a qualcun altro. E non può avvenire con un monopolio statale. [Friedrich Von Hayek]
  4. La grande virtù di un sistema di libero mercato è che non importa di che colore siano le persone; non importa quale sia la loro religione; importa solo se possono produrre qualcosa che vuoi comprare. È il sistema più efficace che abbiamo scoperto per consentire alle persone che si odiano l’un l’altra di confrontarsi e aiutarsi a vicenda. [Milton Friedman]
  5. Tutti i sistemi sono capitalisti. È solo una questione di chi possiede e controlla il capitale – che sia un re, un dittatore o un privato. Dovremmo concentrarci sul contrasto tra un sistema di libero mercato, in cui gli individui hanno il diritto di vivere come re se hanno la possibilità di guadagnare quel diritto, e un sistema in cui l’economia è controllata dallo Stato, come nelle nazioni socialiste. [Ronald Reagan]
  6. Ci son 4 modi per spendere i soldi. Puoi spendere i tuoi soldi per te stesso: in tal caso, sarai davvero attento a cosa starai facendo e cercherai di avere la massima resa per la tua spesa. Oppure, puoi spendere i tuoi soldi per qualcun altro: per esempio, io ho comprato un regalo di compleanno per una persona; in realtà non ho grande interesse per il contenuto del dono, ma sono stato molto attento al costo. Altra possibilità, tu puoi spendere i soldi di qualcun altro per te: e allora se puoi spendere i soldi di qualcun altro per te stai sicuro che ci scapperà una bella mangiata al ristorante! Infine, io posso spendere i soldi di qualcuno per un’altra persona ancora; e se io dovrò spendere i soldi di uno per un altro, non sarò preoccupato a quanto ammontino, né sarò preoccupato su come li spendo. E questo è quel che fa lo Stato. [Milton Friedman]
  7. Il libero mercato è una rete di scambi volontari e gratuiti in cui i produttori lavorano, producono e scambiano i loro prodotti per i prodotti degli altri attraverso prezzi volontariamente raggiunti. [Murray Rothbard]
  8. Il benessere degli Stati Uniti non fu creato dai sacrifici pubblici per il bene comune, ma dal genio produttivo degli uomini liberi che perseguivano i propri interessi personali e la realizzazione del proprio destino. [Ayn Rand]
  9. Il fatto centrale più importante su un mercato libero è che nessuno scambio avvenga a meno che entrambe le parti non ne traggano vantaggio. [Milton Friedman]
  10. Più lo stato pianifica, più l’individuo si trova in difficoltà nell’organizzare la propria vita. [Friedrich Von Hayek]

Liberalismo e Anarchia: analogie e differenze

Negli ultimi anni si è potuto vedere come i movimenti per la libertà e quelli per l’anarchia si siano avvicinati, dando luogo a gruppi sempre più gremiti di libertari e simpatici anarco-capitalisti. Cosa li unisce? Cosa li differenzia?

Facciamo un passo indietro, perché è già avvenuto che il Liberalismo e un altro movimento si accostassero: in seguito alla Rivoluzione Francese il liberalismo si è trovato in stretto rapporto con il movimento per la democrazia ¹; entrambi chiedevano l’abolizione dei privilegi e lottavano per le costituzioni.

In quelle lotte i liberali e i democratici hanno condiviso il mezzo, tuttavia mantenendo due differenti fini da raggiungere: il liberalismo pone l’attenzione sulle funzioni del governo e sulla limitazione del potere, mentre per i movimenti democratici la questione centrale è quella di chi debba detenere il potere.

In parole povere: i democratici chiedevano che al Re si sostituisse il Popolo, conferendo alla volontà popolare la scelta dei governanti e, dunque, dei provvedimenti da adottare. Adatto alla situazione è Tocqueville, il quale ha egregiamente illustrato quali siano i problemi della democrazia pura e di come possa diventare facilmente una dittatura della maggioranza.

Torniamo al presente. Ora inizia ad essere più semplice riconoscere i liberali dai democratici, oggi conosciuti -causando molta confusione- come “liberals“; e quasi per ironia c’è la compensazione dall’altro lato, dove si iniziano a confondere i confini fra liberalismo e anarchia, causando non pochi problemi a chi si approccia al mondo della Libertà.

Chi mi sta leggendo ed è libertario sino all’estremo probabilmente storcerà il naso a questa citazione di Hayek ²:

Il liberalismo si distingue nettamente dall’anarchismo e riconosce che, se tutti devono essere quanto più liberi, la coercizione non può essere eliminata, ma soltanto ridotta al minimo indispensabile, per impedire a chicchessia di esercitare una coercizione arbitraria a danno di altri.

I movimenti anarchici tendono all’annullamento di tutte le leggi statali, mentre i liberali chiedono la loro minimizzazione a quelle necessarie e fondamentali. Ora sorgerebbe un’affermazione in contrasto alla mia nel lettore anarchico o volontarista: se si inizia a fare leggi in maniera arbitraria, benché minime, non si finisce più! E invece non è così o, meglio, sono sbagliate le premesse: le norme volute dal liberalismo non sono decise in maniera arbitraria o costruttivista, bensì sono suscettibili di essere scoperte, così come ogni legge nella Natura.

Il NAP (Non-Aggression-Pact: Principio di Non Aggressione) non è abbastanza per mantenere in piedi il comune vivere degli individui, è dunque necessario cercare le leggi intrinseche nelle relazioni degli esseri umani intraprese con altri o con l’ambiente circostante.

Un suggerimento, geniale ma al contempo evidente in sé, arriva sempre da Hayek³:

La fede nell’esistenza di norme di mera condotta, suscettibili di essere scoperte (e quindi non frutto di una costruzione arbitraria) poggia sul fatto che la grande maggioranza di queste norme è sempre assolutamente accettata.

Ovviamente ci si riferisce a norme individuali, sulle quali siamo veramente tutti abbastanza d’accordo: chi potrebbe ritenere lecito uccidere, rubare il frutto del lavoro di un altro o infrangerne le libertà?

Invece, quando si passa dal particolare (l’Individuo) all’universale (l’umanità, la collettività) il discorso si complica per ciascuno, poiché quel che si chiede sarà sovente in contrasto con le norme di mera condotta individuali: come si potrebbe sostenere la redistribuzione della ricchezza, l’espropriazione, l’imposizione di una volontà sulle altre?

Ecco, dunque, che se il lettore anarchico o estremamente libertario mi stava leggendo storcendo il naso, ora è probabile che guardi con meno diffidenza la mia posizione. Indubbiamente per molti anni, forse per qualche secolo, liberali e anarchici lotteranno fianco a fianco per il raggiungimento di fini comuni: la diminuzione della burocrazia, l’abbassamento del carico fiscale, l’emancipazione dallo Stato.

Alcuni sostengono che il liberalismo possa essere un passo verso l’anarchia, non ne escludo la possibilità, ma reputo sia altamente improbabile: per evitare la coercizione altrui sarà sempre necessaria una minima coercizione che imponga il rispetto delle norme di mera condotta.

Pertanto, se le differenze si fondano sia sui principi sia sugli obiettivi, l’applicazione dei principi di ambe le parti conduce ad una strada che pare essere la stessa lungo una buona parte del tragitto: oggi la libertà del cittadino è talmente limitata, sia nell’ambito civile sia in quello economico, ma persino in quello privato, che non si possono ignorare il positivismo giuridico, il dirigismo, il capitalismo di Stato, le sovvenzioni per categorie, il protezionismo, la diversificazione del trattamento fiscale a seconda di chi si è o cosa si fa e… la lista potrebbe continuare per altre centinaia di righe.

Alla luce di ciò, è indiscutibile e insindacabile la tacita alleanza fra liberalismo e anarchia, purché rimanga chiaro il confine fra i due campi d’idee, per dar semina della cultura insieme e cogliere i frutti da scagliare contro il collettivismo prima che questi distrugga definitivamente le nostre libertà.

1: Liberalismo, p.54, Friedrich Von Hayek
2: ibidem
3: ibidem

Senza lo Stato, chi costruirebbe le strade? Domino’s Pizza.

Molti libertari ci seguono, dunque è giunta l’ora di trattare un tema a loro molto caro: chi costruirebbe le strade se non lo facesse lo Stato?  Se sei un libertario da oggi in poi potrai argomentare alla perfezione la tua tesi, perché a quanto pare in America la seconda catena di pizzerie al mondo ha deciso di aggiustare le strade per evitare che ai clienti arrivino pizze tartassate durante il viaggio a causa delle buche.

La campagna si chiama “Paving for Pizza” ed è stata ampiamente condivisa in tutto il web negli ultimi giorni, probabilmente perché è molto sentita la frustrazione di quando la pizza arriva a casa maciullata, con il formaggio spiaccicato ovunque sulla scatola di cartone e assente nella pizza.

Prima di questa campagna, Domino’s aveva lanciato un’assicurazione che proteggesse la pizza del consumatore dalle strade dissestate, tuttavia bisognava comunque inviarne un’altra e non era poi così redditizio, né si risolveva il problema alla fonte.

In un solo giorno hanno riparato 50 buche fra Texas, Delaware e California. In Italia probabilmente sarebbero stati fermati e multati, e la buca riportata nelle condizioni iniziali. O, forse, per ogni buca avrebbero dovuto aspettare qualche mese prima che un burocrate comunale desse una risposta, dopo minuziosi studi di fattibilità compiuti senza neanche aver guardato il luogo indicato.

Tornando alla domanda iniziale, con cui i socialisti di tutto il mondo tartassano i libertari, fino ad oggi era difficile fare un esempio importante in cui un’azienda del XXI secolo si fosse fatta carico della costruzione o riparazione di strade (in realtà accade tutti i giorni che delle aziende costruiscano strade di vari generi, ma questo caso ha dell’eccezionale), anche perché è difficile che qualcuno si curi di un bene pubblico da cui non avrebbe alcun ritorno economico.

E, invece, siamo tutti testimoni di una grandissima vittoria del profitto, del libero mercato, del capitalismo.  Domino’s Pizza ha un buon motivo per riparare le strade: soddisfare i clienti e far sì che preferiscano il loro servizio a quello della concorrenza. Quali buoni motivi ha lo Stato per riparare le strade? Nessuno. E si vede, siccome vengono dimenticate al loro destino per anni.

Lo Stato non ha alcun buon motivo né incentivo per soddisfare chi paga le tasse con ottimi servizi, perché il cittadino dovrà pagare lo stesso sia quando il servizio è buono sia quando è cattivo. Dunque, per quale motivo rendere un buon servizio se il cliente non può sottrarsi al pagamento? E non passiamo a frasi come “se però le cose fossero così e colà” perché è giusto rammentare che siamo in Italia e, forse un po’ qualunquisticamente, siamo un popolo di furbi.

Io, però, non sono libertario ma liberale classico, dunque partendo dal presupposto che non saprei cosa accadrebbe se le strade venissero lasciate in balia dei privati, prendo un pochettino le distanze da questa linea di pensiero e guardo con simpatia tutto l’accaduto.

Per lo meno, i libertari ora possono stare tranquilli sapendo che la prossima volta che ci avvicineremo alla famigerata domanda sulle strade, potranno guardare a Domino come un faro di innovazione del libero mercato.

Caro lettore, se abiti a Roma o in un comune con delle strade che sembrano appena uscite da un bombardamento, chiedi agli amministratori comunali di aprire le porte a queste grandi aziende. Potrebbero fare il lavoro che loro non fanno (e per cui sono pagati).