Le 2 nazioni più liberali del mondo

Non c’è una nazione al mondo che riunisca la totalità del Liberalismo Classico.
Noi esseri umani non siamo perfetti né uguali, e per raggiungere il livello di funzionalità nell’ambito del Liberalismo, sarebbe necessaria un’egemonia culturale che -proprio per i principi liberali di tolleranza- non è possibile. Mentre i marxisti -e gli appartenenti ai filoni derivati- non si pongono alcun problema nell’imporre a milioni di individui connazionali la propria idea, sia con la forza, sia con la coercizione, sia con l’eliminazione.

Per fare un’analisi come quella proposta dobbiamo premettere che il liberalismo è una filosofia che difende la libertà in tutte le sue sfere, includendo aspetti economici, politici e sociali. Un’analisi olistica di tutte le aree, in cui la libertà deve essere presente e non solo limitata all’analisi parziale. A tal fine, dovrebbero essere considerati fattori come la libertà di stampa e di espressione in generale; la libertà di associazione; la libertà nei processi politici; il pluralismo politico e la partecipazione; il funzionamento del governo; lo stato di diritto, le libertà individuali in generale e la libertà economica.

Nuova Zelanda

Il paese più libero dell’Oceania occupava la quinta posizione nel 2016 e la tredicesima nel 2017 nella libertà di stampa (vedi il link); la stampa neozelandese è talvolta sottoposta a pressioni politiche che limitano l’accesso alle informazioni in determinate circostanze.

L’indicatore della Freedom House sulle libertà politiche elenca la Nuova Zelanda come un paese completamente libero in termini di libertà politiche e rispetto dei diritti umani. Questo fatto particolare è abbastanza rilevante considerando che la media della regione Oceania-Pacifico è solo del 38%.

La Nuova Zelanda è una monarchia costituzionale che risponde alla casa reale inglese, ma ha un proprio parlamento dal 1854 ed è totalmente indipendente dal parlamento inglese dal 1947.

Per quanto riguarda la questione economica, la Nuova Zelanda è classificata al 3 ° posto dell’Indice di libertà economica; superata solo da Hong Kong e Singapore. In questo indice ottiene una percentuale di libertà dell’84,2%, che è superiore al 59,7% della media globale ed è la ragione dell’evidente differenza con paesi come il Venezuela, dove questo indicatore raggiunge a malapena il 25,2%.

Svizzera

Eh sì, a due passi da noi c’è uno dei paesi più liberali del mondo.
Il paese che ci fa la concorrenza sul cioccolato è già molto famoso per le sue libertà e per i suoi comportamenti atipici rispetto al resto dei paesi del mondo. Immerso nell’Europa occidentale, tra Germania, Italia, Francia, Austria e Liechtenstein; non fa parte dell’Eurozona.

È una democrazia diretta che, nonostante abbia un sistema rappresentativo parlamentare, consente ai cittadini di presentare richieste referendarie che possano abolire le leggi approvate dai legislatori. Alcuni mesi fa, un referendum che proponeva l’introduzione di un reddito minimo pagato a ogni cittadino dallo Stato è stato respinto dall’80% della popolazione. È anche uno dei paesi con più armi al mondo, ma è riconosciuto fra quelli col livello più basso di criminalità.

La Svizzera occupa il 7 ° posto nella libertà di stampa nel mondo (vedi link). Il suo curriculum è  segnato unicamente da alcune restrizioni per la pubblicazione di informazioni trapelate sugli scandali riguardanti alcune banche.

Nelle libertà politiche, il continente europeo, secondo l’indicatore Freido Mouse, raggiunge un punteggio dell’86% in generale e del 66% nella libertà di stampa; e all’interno dell’Europa, la Svizzera è considerata un Paese completamente libero, messo in discussione solo da un referendum per il quale la costruzione di minareti nel paese è stata vietata.

In termini economici, la Svizzera è al 4 ° posto nel mondo (vedi link), con l’81.7% di libertà,  solo un posto sotto la Nuova Zelanda.

Quindi possiamo vedere come questi 2 paesi, che non sono al 100% liberi, hanno raggiunto una buona approssimazione all’ideale liberale.

Come abbiamo detto prima,  non possiamo pretendere di raggiungere -oggigiorno- una società perfettamente libera, perché avremo sempre la tendenza all’errore e alla stanchezza (caso classico della Svezia, che ha cambiato la sua società liberale in socialista, per poi invertire nuovamente il passo), ma almeno possiamo usare l’ideale come una guida che ci conduca a una società più libera e prospera e che possa assomigliare alla Nuova Zelanda e alla Svizzera, anziché al sogno socialista di paesi come Venezuela, Cuba o  Corea del Nord.

Adam Smith vs Adam Smith. Il messaggio perduto

“Tutti concordano nell’affermare che la grandezza dello stato si giudichino in base alla quantità d’argento che possiede”, così diceva Jean-Baptista Colbert, ministro della Finanza della Francia nel 1665.
Quindi per lui il denaro era ricchezza. Più soldi aveva lo Stato, più forte era lo Stato. Egli adottò la politica del Mercantilismo, cioè proteggere le aziende francesi, quindi istituì tasse sulle importazioni, sussidi alle esportazioni e burocrazia sulle imprese.

Nonostante ciò, la Francia non riusciva ad essere più ricca dell’Inghilterra.
Nel settecento, i pensatori francesi provarono a dare una risposta sul perché tutto ciò fosse possibile. In particolare i Fisiocrati, uno su tutti Francois Quesnay, ritenevano che l’economia fosse governata da leggi naturali, perciò la ricchezza non deve essere solo accumulata, ma deve anche circolare. Quindi riteneva che leggi, norme, tariffe, sussidi e provvedimenti simili tendevano solo ad ostacolare questa naturale circolazione.
La soluzione era semplice: LAISSEZ-FAIRE (Lasciare Fare).

Un piccolo slogan che diventerà presto il simbolo del Libero Mercato. Uno dei più grandi, influenzato dai Fisiocrati, fu lo scozzese Adam Smith che nel 1776 scrisse La Ricchezza Delle Nazioni.
Lui sviluppò al meglio l’idea di libero mercato attraverso la metafora della Mano Invisibile dove, attraverso un’accurata Divisione del Lavoro, ciascuno fa il proprio lavoro e guadagna per ciò che fa. Come disse lo stesso Smith: “Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse.”

Smith, inoltre, spiegò i meccanismi del libero mercato:
1. Anche nel caso il fornaio pensasse solo a se stesso, non può mettere un prezzo troppo alto
2. Perché gli altri fornai, pensando al loro interesse, potrebbero abbassare il prezzo per rubargli i clienti
3. Se fosse l’unico fornaio della città non potrebbe strafare perché altri aprirebbero un altro forno per il proprio interesse

Quindi, per Smith, è la competizione a mantenere tutti onesti, dove il mercato stesso capisce i bisogni della gente e il modo per soddisfarli.

Il libero mercato organizza ogni cosa molto meglio del miglior organizzatore. Immaginate qualcuno che pianifica i rifornimenti a Roma?

Ma ci sono anche tante altre cose non dette sullo stesso Smith. Per esempio, non era un dogmatico, cioè era consepevole che:
1. I mercati non sono perfetti
2. Non si occupavano dei servizi pubblici, come la pulizia stradale
3. I mercati non rispettano le leggi

Ed è proprio per questo che vedeva nello Stato un ruolo di arbitro, in grado di:
1. Occuparsi dei tassi d’interesse
2. Proteggere i salari dei lavoratori
3. Tenere sotto controllo l’onestà delle banche
4. Proteggere i Brevetti
5. Controllare le malattie e garantire un livello standard d’istruzione

Due punti, poco citati, del pensiero Smithiano erano
1. Lo stipendio del lavoratore
2. Le corporazioni

Per Smith, prezzi e stipendio avevano un rapporto particolare. Se uno saliva, l’altro scendeva (il suo potere d’acquisto) e viceversa.
Ma la sua risposta era: “Nessuna società può essere felice se la Maggior Parte di essa è povera”.

Questo passo è memorabile, in quanto ci permette di arrivare al vero messaggio (perduto) di Adam Smith. I capitalisti facevano il loro interesse, pagavano bassi stipendi, sfruttavano la propria forza nei confronti della politica da spingere la legge a stabilire sussidi e tariffe, limitando la concorrenza.

Il vero messaggio perduto di Adam Smith è “OCCHIO AI CAPITALISTI”, in quanto tendono a voler diventare i Padroni dell’Umanità con i Monopoli Istituzionalizzati dagli Stati, dove chi lavora non lavorerà mai sodo come se fosse sua o in una situazione di libero mercato, o le grandi Corporazioni che tendono a distruggere o inglobare chi vuole inserire in un determinato mercato.

Non faccia l’ingenuo signor Lang, siamo noi a decidere chi è ebreo e chi no!

Il 30 marzo 1933, il ministro della Propaganda in Germania, Joseph Goebbels, mi convocò nel suo ufficio e mi propose di diventare una sorta di “Fuhrer” del cinema tedesco. Io allora gli dissi: «Signor Goebbels, forse lei non ne è a conoscenza, ma debbo confessarle che io sono di origini ebraiche» e lui: «Non faccia l’ingenuo signor Lang, siamo noi a decidere chi è ebreo e chi no!». Fuggii da Berlino quella notte stessa.

Queste le parole di Fritz Lang, regista del film preferito di Adolf Hitler, ossia Metropolis.

Vorrei partire proprio da queste parole per andare a toccare un tema ben nascosto da certi critici del nazismo: la centralizzazione delle scelte. Eh sì, perché i più grandi critici del nazismo non mettono in dubbio il metodo, bensì i fini: molti non nascondono le proprie simpatie per l’idea di un Governo centralista e dirigista (come quello nazista), ma sono comunque convinti che “solo” i fini fossero sbagliati.

Decidere dall’alto quali persone debbano compiere certi lavori, quali lavori abbiano la priorità, quali persone debbano essere catalogate come più bisognose, quale sistema economico sia migliore, si rivela sempre un disastro, oltre che essere un insulto alla libertà umana.

Anche in un regime democratico potremmo ben vedere come tutto ciò porti al fallimento, se non a una vero e proprio governo della burocrazia e del clientelismo.

Ipotizziamo però che la trasparenza sia tale da rendere possibile ogni controllo, andiamo oltre: bisognerà che qualcuno prenda le decisioni, dopo essere stato eletto e aver opportunamente studiato il caso, dunque deciderà la strada giusta. Ipotizziamo allora che questa persona sia senza malizia, non voglia fare favori a nessuno e non lo faccia per interesse personale.

Questa persona (o questo insieme di persone) avrà un potere veramente ampio, con cui potrà cambiare profondamente la vita delle persone, perlomeno nel suo ambito di riferimento. Ecco che, con il seguito della maggioranza, porterà fino in fondo una riconosciutissima opinione, una semplice opinione, per raggiungere i più nobili obiettivi.

Diciamo che sono sempre i soliti: la pace, la prosperità, il benessere, la felicità, la ricchezza. Sono cose che vorremmo tutti, tranne qualche deviato. Ma davvero qualcuno sa come raggiungere la pace, la prosperità, il benessere, la felicità, la ricchezza? 

Nonostante le troppe assunzioni fatte, il corso degli eventi potrebbe non andare come desiderato. Oppure sì. In parole povere, è stato effettuato un lancio della moneta e tutto è andato per il verso giusto, oppure tutto è andato male.

Ora, però, facciamo un passo indietro: questa persona (o, di nuovo, questo insieme di persone) ha un enorme potere, dunque  può scegliere ciò che è il bene per tutti, ciò che tutti dovrebbero fare, ciò che tutti dovrebbero pensare.

Ovviamente, tutto ben votato dalla maggioranza, con dei fantastici schemi dimostranti che “se tutto fosse così, i risultati sarebbero strabilianti“, ossia partire da condizioni attualmente impossibili, raggiungibili attuando l’assurda pretesa di cambiare la natura delle persone (l’uomo è un legno storto, mai sentito?), educandole. In pratica 1984, anche se diranno che loro invece lo fanno per il tuo bene. Allora proprio come 1984.

Fa davvero acqua da tutte le parti: questo Leviatano ha una mano che oggi “po esse fero o po esse piuma”, se in democrazia sarà a discrezione degli umori del popolo considerando che la maggioranza, il 51%, potrebbe benissimo votare per la schiavitù del restante 49%, anche se non necessariamente una schiavitù formale come quella ai tempi delle piantagioni di cotone nell’Alabama.

Questo 51% -però- è rappresentato da un certo numero di persone, che potranno sempre decidere chi è ebreo e chi no, chi è amico e chi è nemico, chi va alla ghigliottina e chi merita un elogio sui giornali.

Un potere centralizzato non ha limiti. E i limiti sono importanti.

Vediamo un altro esempio: l’URSS negli anni ’20 diede l’incarico a Vavilov di occuparsi dell’Agricoltura nazionale, questi iniziò una catalogazione di tutte le piante e di tutti i metodi di coltura, un lavoro eccezionale, ma troppo costoso.

Vavilov fu parte del caso fortunato, quello in cui l’autorità centrale sceglie una persona che sa cosa fare e lo fa con metodo rigoroso e scientifico. Peccato che fu sostituito da Lysenko, uno di quei sostenitori della teoria lamarckiana secondo la quale le giraffe hanno allungato il proprio collo nel corso del tempo grazie agli imperterriti sforzi nel tentativo di raggiungere alberi molto alti.

Sembra una barzelletta, invece erano proprio così le scelte dell’Unione Sovietica: Lysenko ipotizzò che le piante potessero acquisire caratteristiche in base all’ambiente e al nutrimento che si dava loro. Non serve dire che portò alla fame milioni di persone per capire la vastità della sua anti-scientificità applicata in un ruolo scientifico.

Non esisterà mai qualcuno che saprà qual è il bene per noi, né che avrà le risposte a ogni problema. Ogni Individuo è un caso a sé, l’ordine spontaneo degli Individui in una società può permettere il progresso grazie a innumerevoli tentativi, fra i quali emergerà uno dei migliori, o almeno quello con le caratteristiche migliori secondo le esigenze dei consumatori. Questo è il meglio che si possa fare, ancora oggi, come migliaia di anni fa.

Per proseguire sulla strada dell’ordine spontaneo e della scienza non dovremo mai più permettere che qualcuno abbia il potere tale di decidere come vada governata l’intera società, o nelle parole del totalitario Goebbels, chi è ebreo e chi non lo è.

Milton Friedman sul socialismo

Traduzione e riadattamento dell’estratto di una conferenza

Il socialismo ha fallito perché la sua bontà è stata corrotta da uomini malvagi saliti al potere? È stato perché Stalin ha preso il posto di Lenin? Il capitalismo ha avuto successo nonostante i valori immorali che esso offre? Credo che la risposta a entrambe le domande sia negativa. I risultati sono sorti perché ogni sistema si è affidato ai valori che incoraggia, supporta e sviluppa nelle persone che vivono in quel sistema.

Ciò che ci interessa discutere dei valori morali qui, sono quelli che hanno a che fare con le relazioni tra persone. È importante distinguere due tipi di considerazioni morali: la moralità di ognuno di noi che interessa la nostra vita privata, come conduciamo noi stessi, come ci comportiamo, e ciò che è importante per i sistemi di governo, ovvero le relazioni tra le persone, e nel giudicare le relazioni tra persone non ritengo che il valore fondamentale sia fare del bene agli altri.

Il valore fondamentale non è fare del bene agli altri come tu vedi il loro bene. Non è obbligarli a fare del bene. Per come la vedo io, il valore fondamentale nelle relazioni tra persone è rispettare la dignità e l’individualità dei propri simili.

Trattare i propri simili non come un oggetto da manipolare per i propri scopi, ma come una persona che ha i propri valori e diritti, non da obbligare, non a cui fare il lavaggio del cervello. Questo mi pare essere un valore fondamentale nelle relazioni sociali.

Ogni volta che ci allontaniamo dalla cooperazione volontaria e proviamo a fare del bene usando la forza, i cattivi valori morali della forza trionfano sulle buone intenzioni. E capite bene l’importanza di ciò che sto dicendo perché la nozione fondamentale di una società capitalista è la cooperazione volontaria. La nozione fondamentale di una società socialista è, fondamentalmente, la forza.

Se il governo è il capo, se la società deve essere comandata dal centro, cosa produci? Alla fine dovrai ordinare alle persone cosa devono fare, fino a dove puoi spingerti? Torna indietro, portati ad un livello più mite.
Ogni volta che provate a fare del bene con i soldi degli altri dovete usare la forza. Come potete fare del bene con i soldi di qualcun altro se prima non glieli avete portati via? L’unico modo che avrete per prenderglieli è minacciare l’uso della forza: con un poliziotto o un esattore delle tasse che arriva e se li prende.

Tutto ciò spingerebbe ancora più avanti se davvero si vivesse in una società socialista, se non vi fosse un governo centralizzato, se ci fossero burocrati del governo a comandare cose che possono fondarsi in ultima istanza solo sulla forza, ma ogni volta che ricorrete all’uso della forza, anche per fare del bene, non dovete mettere in discussione i motivi delle persone, qualche volta possono essere dei malvagi, ma guardate i risultati che producono. Dategli il beneficio del dubbio, assumete che le loro intenzioni sia buone.

Sapete, c’è un articolo un antico detto a proposito della strada per l’inferno lastricata di buone intenzioni, dovete guardare al risultato: ogni volta che usate la forza, i cattivi valori morali di essa trionfano sulle buone intenzioni.
Il motivo non sta solo nel celebre aforisma di Lord Acton, lo avrete sentito tutti: “il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente“. Questa è una ragione per cui cercare di fare del bene con metodi che includono la forza porta a cattivi risultati.

Le persone che sembrano avere buone intenzioni sono esse stesse corrotte, e potrei aggiungere, se non sono corrotte, vengono rimpiazzate da persone con cattive intenzioni che sono più efficienti ad ottenere il controllo sull’uso della forza.

Tuttavia, la ragione fondamentale è più profonda, il danno più grande è fatto quando il potere è nelle mani delle persone che sono convinte della purezza dei loro istinti e della purezza delle loro intenzioni.
Thoreau ha detto che la filantropia è una virtù sopravvalutata, la sincerità è anche una virtù molto sopravvalutata. Non ci hanno salvato dal riformatore sincero che sa cosa è bene per te ed intanto, te lo farà fare che ti piaccia o meno. E questo quando va per il meglio.

Non ho motivi di dubitare che Lenin fosse un uomo le cui intenzioni fossero sincere, forse non lo erano, ma lui si è completamente persuaso di avere ragione, ed era disposto ad utilizzare qualsiasi mezzo per il bene finale.
Ancora, è interessante comparare l’esperienza di Hitler e Mussolini, Mussolini è stato di gran lunga una minaccia inferiore per i diritti umani perché era un ipocrita.

Perché egli non credeva davvero in ciò che diceva, stava al gioco. Ha iniziato da socialista, è diventato fascista, era disposta a vendersi a chiunque avrebbe brillato di più. Come conseguenza vi furono almeno un po’ di protezioni dal suo governo autoritario. Ma Hitler era davvero un fanatico, egli credeva in ciò che faceva, e fece decisamente più male.

5 punti contro quelli che “lo Stato deve pensare ai poveri”

Chiarisco fin dalla prima linea che uno Stato Liberale ha il compito di appianare la strada verso l’autorealizzazione a ogni individuo, ricco o povero che sia. Ovviamente, i poveri hanno un occhio di riguardo perché talvolta per loro è più difficile accedere al merito.

Tuttavia, chi dice “lo Stato deve pensare ai poveri” semplicemente non vuole assumersi la responsabilità di aiutare i poveri e chiede che ciò venga fatto con i soldi di qualcun altro; tale persona commette non so quanti errori, ne elencherò cinque che mi sono balenati per la mente:

  1. Il primo è che lo Stato non può pensare, perché non è un ente autocefalico;
  2. Il secondo è che dare a un individuo da mangiare tutti i giorni è diseducativo (al contrario dell’educazione di cui lo Stato Etico si dichiara difensore), rimarrà perennemente nel suo status e tenderà ad impigrirsi poiché non dovrà far nulla per raggiungere il benessere;
  3. Il terzo è la pretesa di redistribuzione della ricchezza, un atto che diventa tanto più dannoso quanto più denaro si preleva dalle tasche dei cittadini, aggiungendo al danno il “consumo” dell’apparato incaricato di gestire tale redistribuzione;
  4. Il quarto è che si punterà sempre il dito su chi sta meglio, tanto che oggi i socialisti sono prevalentemente appartenenti al ceto medio e non hanno alcuna voglia di condividere maggiormente la loro ricchezza, ma preferiscono guardare ai portafogli di quei pochi che – per merito o per il caso- hanno più denaro di loro, ma non solo, talvolta questi borghesi socialisteggianti pensano di non avere abbastanza privilegi economici, il cui carico dovrebbe gravare sulle spalle dei contribuenti più virtuosi di loro;
  5. Il quinto, come già accennato, è che si demanda ad altri il proprio dovere morale di aiutare chi è in difficoltà, secondo le proprie regole da imporre a quegli altri che si vuole paghino. Diranno “lo Stato non fa abbastanza per combattere la povertà”, la verità è che seguendo le loro istruzioni lo Stato non potrà far altro che generare ulteriore povertà.

Quest’ultimo è il più grave sintomo dovuto a una società collettivista di individui deresponsabilizzati.
Ironia del caso, persone che non vogliono prendersi la responsabilità di aiutare dei poveri che loro credono abbiano bisogno di un ben specifico aiuto (davvero sono sicuri che i loro provvedimenti aiuteranno le persone?), chiedono di aiutare tali poveri deresponsabilizzandoli dall’autorealizzazione, dalla ricerca di un lavoro o di un lavoro migliore, dal miglioramento del proprio status e delle proprie competenze.

A riguardo, voglio raccontare un aneddoto: c’è un mio carissimo amico, il quale ha oramai 70 anni, ma lavora ancora con enorme passione, legge libri e giornali, segue corsi per aggiornarsi e molto altro; non ha un lauto stipendio da poter fare lo spendaccione, eppure ogni volta che vede un mendicante gli prende qualcosa al supermercato, quando sa di un padre di famiglia che ha perso il lavoro si fa in quattro per chiedere a chiunque nella sua rete di contatti se ci sia la possibilità di trovargli una mansione.

Una volta mi disse che dovrei considerare uno strano paradosso: se lo Stato abbassasse la tassazione, lui avrebbe più soldi per aiutare il prossimo, ma che se la tassazione dello Stato fosse più bassa e dunque la presenza dello Stato minore, non ci sarebbe alcun bisognoso da aiutare.

Certo, io non so se avrei mai lo spirito per aiutare così tanto il prossimo come fa lui, eppure non è ipocrita come chi chiede di aiutare gli altri con soldi di altri ancora, è un altruista vero e non si sognerebbe mai di imporre la sua idea di solidarietà a nessuno.

Il vero punto a favore dello Stato Liberale è che riesce a fare del bene agli individui educandoli all’autorealizzazione, all’indipendenza, al miglioramento di sé pur senza dare un indirizzo morale o etico, fattore tipico del fallimentare Stato Etico.

Dunque, ricapitoliamo: uno Stato che dimora in un Sistema Liberale non crea cittadini di serie A e di serie B, bensì garantisce il rispetto della legge e favorisce i processi meritocratici. Per tutti.

Ecologia, conservazione e sviluppo in assenza di Stato (4); M.N. Rothbard (For a New Liberty, analisi 2^ parte)

Conservazione, ecologia e sviluppo:

In questa sezione, Rothbard affronta un cavallo di battaglia dei liberal di sinistra e dei socialisti, ovvero l’ecologia, la tecnologia e il loro rapporto col libero mercato e il capitalismo. A detta di Rothbard, i liberal di sinistra vedono nello Stato la soluzione per ogni problema, tra cui ovviamente il rispetto e la salvaguardia dell’ambiente, lo sviluppo della tecnologia e il progresso della società. Ma, fa notare, nel corso del tempo i vari liberal hanno sostenuto tesi contraddittorie. Eccone un piccolo riassunto che mostra l’attualità di alcune situazioni:

  • Tra gli anni ’30 e ’40 i liberal sostenevano che il capitalismo era in un “ristagno secolare” che avrebbe generato disoccupazione di massa permanente.
  • Negli anni ’50 il capitalismo stava crescendo ma non abbastanza rapidamente, era necessario l’intervento dello Stato per alimentare l’economia.
  • Alle soglie degli anni ’60 la situazione si capovolge, gli americani erano troppo benestanti e stavano perdendo la loro spiritualità tra gli scaffali dei supermercati. Lo Stato doveva ridurre questo esagerato benessere.
  • Poco dopo, il problema non era più l’eccessiva ricchezza ma l’eccessiva povertà: entra in scena la “guerra contro la povertà”.
  • Nel 1964, la “Ad Hoc Committee on The Triple Revolution” pubblica un manifesto in cui dice che, continuando di questo passo, il capitalismo avrebbe automatizzato tutti i mezzi di produzione: la produzione sarebbe stata sovrabbondante ma ne sarebbe conseguita una disoccupazione di massa. Questo è il periodo dell’”isteria dell’automazione.”
  • Successivamente, al centro dell’attenzione entra l’ecologia: il capitalismo non la salvaguarda, c’è bisogno dello Stato e di una società a crescita zero.

Rothbard fa notare che non è raro trovare persone che affermano contemporaneamente che viviamo in un’epoca di post-scarsità, dove non è necessario più della proprietà privata e del capitalismo, e al tempo stesso che viviamo in una società dove l’ingordigia capitalistica divorerà tutte le risorse a livello mondiale. Però, qualunque sia il problema, la risposta liberal è sempre una e solo una: socialismo e pianificazione statale.

Ma il “padre” dei libertari è di un altro avviso. Non è fermando il progresso tecnologico o cercando di frenare il capitalismo i vari problemi che si possono incontrare verranno risolti. Anzi, è solo grazie al progresso e all’aumento del benessere che le condizioni di vita sono migliorate. Se la tecnologia tornasse all’era preindustriale il risultato sarebbero “solo” carestia e morte. Proprio per questo motivo, lo Stato deve levarsi di mezzo e smettere di soffocare l’economia con tasse e regolamentazioni in modo tale permettere che le risorse economiche siano utilizzate appieno dai privati, permettendo così lo sviluppo tecnologico e dell’economia stessa.

Arriviamo ora al nocciolo della questione: come potrebbero il capitalismo e il libero mercato salvaguardare l’ambiente e le risorse? L’ingordigia capitalista non divorerebbe tutto non appena gli lasciamo la strada libera? Per Rothbard non c’è nulla di più assurdo. Il capitalismo vive di risorse e non potrebbe esistere senza. I meccanismi di libero mercato, del vero libero mercato, riuscirebbero a regolare le cose. Come? Con i prezzi. I prezzi ci dicono molte informazioni, non complete, ma importantissime. Se una risorsa scarseggia è ovvio che il prezzo salirà. Questo cosa comporta? Innanzitutto che i proprietari delle risorse, per non vedere crollare i loro prezzi, cercheranno di dosare, ad esempio, l’estrazione di minerali e/o combustibili fossili. Poi, seguendo sempre l’indicazione dei prezzi, nel momento in cui una risorsa è troppo costosa si andrà alla ricerca di nuove tecnologie meno costose ed efficienti o di nuove miniere o giacimenti. Questi sono gli effetti “conservativi” dei prezzi.

Inoltre, cosa importantissima, il capitalismo “crea” risorse. Il petrolio, prima delle lampade a kerosene e delle automobili era un rifiuto indesiderato. Ora è l’oro nero. Questo accade per una infinità di materiali e di fibre naturali e per i nuovi materiali di sintesi o artificiali.

Rothbard non vuole negare l’inquinamento e il rischio di esaurimento delle risorse, ma ritiene che il problema sta nella mancanza di incentivi economici a mantenere le risorse. Infatti, essendo quasi tutte le risorse principali di proprietà dello Stato, ad esempio foreste, laghi e fiumi, coloro che le hanno in concessione non hanno il men che minimo interesse a non sfruttarle fino all’ultima goccia o a farsi scrupoli se scaricano rifiuti inquinanti in acqua. Non essendo di loro proprietà, una volta che hanno la possibilità di sfruttare lo fanno. Invece, se lo Stato non possedesse questi beni ed essi fossero nelle mani di privati, la situazione sarebbe ribaltata. Se una persona possiede una risorsa ma non la valorizza né se ne cura, avrà sicuramente una perdita. Ecco che in questa situazione i privati sono economicamente incentivati a salvaguardare le risorse. Nessuno vorrebbe vedere esaurita o inquinata la sua fonte di ricavi, che sia una foresta o un lago.

Per ciò che riguarda l’inquinamento, il pensatore newyorkese trova un altro punto critico. Le critiche sono in parte simili a quelle precedentemente esposte, ma nello specifico, il problema è individuato nella arroganza dello Stato che lascia inquinare nella mancanza di rispetto dei diritti individuali delle persone. Infatti, lo Stato permette di inquinare i suoi laghi, i suoi fiumi, di consumare e di sfruttare le sue terre e, cosa ancora peggiore, di inquinare l’aria che respiriamo. L’inquinamento dell’aria non può non essere visto come una violazione dei diritti delle persone, è una aggressione. In teoria, lo Stato dovrebbe tutelare i suoi cittadini, dovrebbe verificare ed impedire questo tipo di aggressioni; invece ne è complice e anzi le promuove nel nome del superiore “bene pubblico”. Non importa se un aeroporto fa rumore, non importa se una fabbrica inquina perché c’è una cosa più importante dei diritti individuali, il bene pubblico. Per Rothbard i diritti sono inviolabili il bene pubblico non può essere una buona ragione per passare sopra ad essi. Per questo motivo rifiuta anche la soluzione di Milton Friedman che affronta questi temi con un calcolo costi-benefici.

Chiudo il resoconto con le parole di Schumpeter, citato da Rothbard:

«il capitalismo si presenta davanti ai giudici, e questi hanno già la sentenza di morte nelle loro tasche. Tale sentenza sarà definitiva, a prescindere da ciò che dirà in sua difesa; l’unica vittoria che la difesa può sperare è una diversa formulazione dell’imputazione.»

 

 

 

 

 

 

 

Autarchia: una pericolosa utopia

Il dibattito fra libero mercato e protezionismo non è certo un’invenzione dei nostri tempi. Già nell’Ottocento Cavour,convinto sostenitore del libero scambio,con le sue politiche economiche rese il Regno di Sardegna il più florido fra gli Stati italiani pre-unitari. Al contrario uno dei suoi successori,Francesco Crispi,nel pieno della grande depressione del 1873-1896 si imbarcò in una guerra commerciale contro la Francia,il nostro principale partner economico di allora,che risultò disastrosa per il Paese. Allora come oggi,dunque,una grave crisi economica spinse molti governi ad abbandonare il libero scambio per adottare politiche protezionistiche, che prolungarono ulteriormente la crisi. Il protezionismo, malgrado i danni che esso determina, non è nulla se confrontato all’antitesi stessa del libero mercato, l’autarchia.

Per “autarchia” si  intende l’assoluta autosufficienza del mercato nazionale,in grado di rispondere al fabbisogno interno di qualsiasi merce indipendentemente dagli scambi con i mercati esteri. Ciò era lo scopo ultimo della politica economica dei regimi totalitari europei del secolo scorso, ed è oggi il principio ispiratore delle proposte economiche di molti movimenti populisti,no global e della nuova sinistra.

Viene da chiedersi se l’autarchia possa essere considerata non solo un modello teorico,ma anche una concreta politica economica. A parere di chi scrive la risposta è sì,ma non nel XXI secolo. In passato infatti non sono mancati esempi reali di autarchia: cos’era infatti una corte feudale dell’Alto Medioevo,se non un microcosmo autarchico, in cui produttore e consumatore coincidevano nella medesima persona,il contadino?

Come per molte altre realtà storiche,dalla schiavitù al colera,a rendere obsoleta l’autarchia è stato lo sviluppo tecnico-scientifico. Mentre la civiltà feudale necessitava di risorse presenti ovunque nel mondo,quali terre fertili da coltivare e legname come combustibile,la nostra è una civiltà basata sulla tecnologia moderna,la quale tuttavia richiede materie prime che si trovano solo in aree specifiche del globo,come il petrolio (essenziale per carburanti,materiali sintetici e agricoltura) e le “terre rare”,come il neodimio,essenziali per i nostri dispositivi high-tech,dagli smartphone alle automobili elettriche. Ne consegue che nessuno Stato moderno possa sopravvivere senza scambi commerciali con altri Stati,in quanto non esiste paese al mondo dotato di tutte le risorse necessarie alla tecnologia moderna. Per ovviare a questo problema esistono tre possibili soluzioni: l’abbassamento delle condizioni di vita degli esseri umani,la guerra o il libero mercato.

La prima è la via intrapresa dal regime che governa la Corea del Nord,la cui ideologia prende il nome di “Juche”,generalmente tradotta come “autarchia” per l’appunto. La seconda è la scelta spesso adottata dagli Stati Uniti,che dalla seconda guerra mondiale in poi hanno sostenuto dittature e combattuto guerre al fine di assicurarsi il controllo di mercati esteri con le loro risorse. La terza,il libero mercato,rappresenta un modo per rimediare agli squilibri esistenti fra le nazioni senza ricorrere alla forza militare e senza rinunciare alle conquiste della tecnologia moderna,rendendo quindi possibile la ridistribuzione della ricchezza mondiale, non quella da attuare con la forza,figlia dell’ideologia marxista,bensì quella fra produttore e consumatore figlia della libertà economica,presupposto indispensabile per ogni altra libertà personale.

Ne consegue che l’autarchia è doppiamente pericolosa,in quanto ha come risultato un mercato interno bisognoso di espansione (spesso causa di guerre) e l’impoverimento delle nazioni. Soprattutto,l’autarchia è una grave restrizione alla libertà umana. Sin dalla nascita della civiltà,l’uomo ha condotto scambi economici con i suoi simili,prima con il baratto e poi con la moneta. Questi scambi, che oltre alle merci veicolano la diffusione delle idee, devono essere salvaguardati in una società libera,ed è per questo che l’autarchia è la compagna naturale del totalitarismo.

L’Italia del 2018 come la Giudea del 33 d.C. : analisi dell’elettorato

Il 33 d.C. è l’anno in cui -così si narra da due millenni- Gesù venne crocifisso. Cosa stava accadendo in Giudea in quel periodo? Premetto, come sempre, che sono fermamente convinto del mio agnosticismo e che quanto esporrò non avrà l’intenzione di far redimere nessuno come Paolo sulla via di Damasco.

Fra i giudei c’erano due fazioni opposte fra loro: la fazione per la sottomissione ai romani proponeva di chinare un po’ il capo per vivere nella pace instaurata dal dominio di Roma, dialogando con i dominatori per mantenere qualcuna delle proprie tradizioni; l’altra fazione era quella degli Zeloti, che contestavano l’Impero con la violenza e con rappresaglie partigiane, volevano scacciare i loro governanti reclamando il regno di Dio in terra.

Fra gli italiani dei nostri giorni le fazioni sono più di due, ma molto semplicisticamente possiamo dire che si possano dividere così: la fazione per lo Status Quo, quella parte della popolazione che si è rassegnata (consapevolmente o no) ai grandi cambiamenti e che spera tutto si risolva con piccoli e minimi interventi, facendo sì che tutto cambi per non cambiare; dall’altra parte la fazione che è stufa della stazionarietà, quella che vuole il cambiamento e lo accetta di qualsiasi forma esso sia, basta che qualcosa cambi e che l’establishment attuale perda i suoi privilegi.

Nel primo caso, nelle annate d’intorno al 33 d.C. si stava diffondendo una terza via: quella dell’Amore, propugnata dai seguaci di Cristo; predicavano che la Libertà sarebbe arrivata tramite l’Amore, che la pace fra gli uomini sarebbe stata solamente una delle conseguenze di Amore e Libertà. Ci sono voluti diversi secoli, ma il contagio di quelle idee è stato tale da espandersi in ogni continente e sopravvivere per due millenni. Quel marketing ha funzionato alla grande: a differenza delle altre grandi dottrine utopiche, il richiamo del cristianesimo viene spontaneamente da dentro di sé una volta che si ha innescato la miccia, ha funzionato senza imporlo dall’alto (sarà l’imposizione degli ultimi secoli il motivo per cui ora sta indebolendosi e perdendo seguito?). A differenza del comunismo o delle dittature benevole e costruttivistiche del Grande Leviatano, secondo cui è l’ente centrale a imporre la pace e il bene per gli uomini.

Il secondo caso, quello odierno, è più difficile da trattare. Quello che è certo, è che non possiamo aspettare l’avvento di un altro messia e non dobbiamo più riporre le nostre speranze nell’ascesa di un nuovo uomo forte, carismatico e capace che sappia cosa fare. Nessuno più di un liberale dovrebbe sapere che la salvezza, l’autorealizzazione, la dignità, l’impegno, il merito vengano solo da sé e non dagli altri. Nessuno più di un liberale dovrebbe darsi da fare per la lotta quotidiana contro il collettivismo, contro la massificazione, contro l’omologazione (altro che il Capitalismo che ci vuole tutti uguali, quello è il comunismo!), diffondendo senza paura quell’ideale che nascondiamo in un recondito angolo della nostra mente.

Noi liberali sappiamo cosa c’è da fare: diffondere la Libertà, il progresso, il mercato e darci da fare per cambiare il tessuto culturale del nostro paese; un paese che rischia di rimanere senza futuro a causa di chi ha troppa paura del cambiamento o di chi vuole rivoltare il sistema senza rigor di logica.

Il governo negli affari (3); M.N Rothbard, (For a new Liberty, analisi 2^ parte)

In questa sezione, Rothbard vuole mettere in evidenza l’ingombrante ed asfissiante presenza dello Stato nel settore dei servizi e del mercato, cercando di mostrare le inefficienze dello stesso nell’erogare i servizi e nel voler “raddrizzare” il mercato.

Inizialmente, egli fa notare come lo Stato nel corso del tempo si sia a tal punto identificato con i servizi che eroga che attaccare e criticare lo Stato nel suo operato appare come una critica al servizio stesso. Ad esempio, se si afferma che lo Stato non si dovrebbe occupare di fornire servizi giudiziari, spesso la gente considera ciò una negazione dell’importanza, in questo caso, dei servizi giudiziari. Inoltre, molti potrebbero domandarsi: chi fornirà questi servizi? La risposta di un libertario è ovvia: saranno delle imprese private calate in un contesto di libero mercato a fornire al consumatore tutto ciò di cui ha bisogno.

Rothbard deve però mettere le mani avanti: è impossibile delineare a priori un progetto costruttivo di un qualsiasi settore. Ma, come afferma: «l’essenza e la gloria del libero mercato consistono proprio nel fatto che le ditte e le imprese individuali che competono sul mercato offrono una gamma in costante trasformazione di beni e servizi efficienti». Le aziende hanno grande interesse nel fornire nel miglior modo possibile i servizi e i prodotti di cui gli individui hanno bisogno , altrimenti si troverebbero in breve tempo senza clienti e in bancarotta.
Infatti, nel libero mercato il cittadino è re, è “corteggiato” dalle varie imprese che devono fare del loro meglio, di necessità, per cercare di estendere la loro clientela. Ciò incentiva le imprese a cercare di essere efficienti e a diversificare e trasformare continuamente la loro offerta.

Questa situazione è l’opposto di quella in cui si trova il cittadino nei confronti dello Stato: il cittadino è quasi una “noia”, uno che sta “consumando” le già scarse risorse dello Stato. Lo Stato non è incentivato a diversificare e trasformare la sua offerta e, seppure volesse, non potrebbe farlo in tempi abbastanza rapidi da intercettare nel miglior modo la domanda di servizi. Inoltre, cosa molto importante, in ogni azione dello Stato vi è un fatale divario tra la fornitura di un servizio e il pagamento per riceverlo. A differenza delle imprese private, le quali ottengono i loro fondi attraverso le vendite, lo Stato si finanzia con le tasse forzosamente estorte ai cittadini.

Molti ritengono che lo Stato possa funzionare meglio se fosse amministrato come una azienda. Per Rothbard non c’è nulla di più falso. In primo luogo, come detto sopra, lo Stato si finanzia in maniera totalmente diversa dalle imprese private; in secondo luogo fornisce servizi in regime di monopolio legale, eliminando la concorrenza attraverso la legge; in terzo luogo, grazie ai prezzi che fornisce il libero mercato, le aziende hanno la possibilità di calcolare in maniere efficiente i loro costi per non subire perdite e distribuire servizi e beni in maniere intelligente, cosa di cui lo Stato non può usufruire in maniera genuina rendendo la pianificazione centrale molto faticosa, laboriosa ed estremamente fallibile. Inoltre, poiché in molti casi il servizio statale è erogato in regime di monopolio o semi-monopolio, quindi in una situazione in cui non vi è concorrenza, e poiché lo Stato non può andare in bancarotta o subire perdite, esso deve semplicemente tagliare i servizi o aumentare i prezzi. Nulla di più lontano da come funzionano le imprese.

La soluzione, è solo una: abolizione del settore pubblico. But who will build the roads?

 

La libertà personale secondo M.N. Rothbard (For a New Liberty, analisi 2^ parte)

In questa seconda parte dell’articolo su M.N. Rothbard, e nelle seguenti, tratteremo della seconda parte di “For a New Liberty”. Cominciamo dalla visione sulla libertà personale.

Libertà Personale:

In questa sezione del manifesto libertario, Rothbard prende tutti quei diritti, dalla libertà di parola al possesso delle armi, che possono essere collocate sotto il nome di libertà personali. Innanzitutto, il pensatore newyorkese prende in esame le “libertà civili” (diritto di parola, stampa, espressione) facendo notare il carattere assoluto che deve essere loro conferito. Ogni libertario deve sostenere strenuamente la libertà di parola e tutti i suoi derivati.

Inoltre, cosa molto importante, Rothbard fa notare come queste libertà siano inestricabilmente legate con i diritti di proprietà: esse derivano dalla proprietà privata (ad esempio: possibilità di stampare), ma allo stesso tempo devono rispettare la proprietà (egli cita come esempio della violazione della proprietà altrui con la parola la situazione in cui qualcuno urli “al fuoco!”, all’interno di un cinema, senza che vi sia realmente un incendio creando una perdita al proprietario del cinema).

Un caso molto particolare è quello del ricattatore o del diffamatore in a cui Rothbard giunge ad una conclusione molto particolare. Secondo lui, un blackmailer non può essere considerato un invasore di diritti altrui: egli esercita il suo diritto alla parola o calunniando o minacciando il rilascio di informazioni intime e non interferisce coi diritti di nessuno. Infatti, non si può dire che una persona abbia un “diritto di proprietà” sulla propria reputazione, essa è una funzione soggettiva dei sentimenti degli altri. Calunniare e ricattare è immorale, ma, per Rothbard, moralità e legalità sono due categorie diverse.

Altro punto su cui le libertà civili si intersecano con i diritti di proprietà sono le manifestazioni in luoghi pubblici. Secondo Rothbard, il problema di quali manifestazioni sono da autorizzare e quali da bandire è un problema che lo Stato non potrà mai risolvere senza danneggiare qualcuno e avvantaggiare qualcun altro. Infatti, essendo le strade pubbliche, tutti possono fare richiesta per manifestare, anche gruppi “estremisti” di qualsiasi tipo, poiché essendo contribuenti ne avrebbero diritto. Ma, se le strade fossero private sarebbero i proprietari a decidere chi potrebbe usufruirne e chi no, evitando conflitti tra contribuenti.

La posizione libertaria in merito alla legislazione sessuale e la pornografia è molto chiara e semplice. Infatti, poiché si tratta di interrelazioni tra adulti consenzienti e la donna o l’uomo possiedono il loro corpo, lo Stato non può proibire degli atti solo perché immorali, i cosiddetti “crimini senza vittime”, né mettere fuori legge tali comportamenti solo perché potrebbero essere dannosi e pericolosi. Agli occhi di un libertario la prostituzione è una vendita volontaria di lavoro. Inoltre, così facendo, lo Stato legifera su una delle sfere più private dell’uomo, impedendogli di comportarsi come vuole nel rispetto dei diritti altrui. Essere favorevoli alla prostituzione non significa volerla diffondere né essere favorevoli alla prostituzione in sé. Significa solo riconoscere che è una attività lecita e che come tale non può essere impedita per questioni morali.

Un altro caso particolare è quello dell’aborto. Rothbard lo risolve in maniera molto cruda ma coerente con la sua impostazione di base. Infatti, il problema cruciale è se l’aborto deve essere considerato un omicidio. Prescindendo da tutte le considerazioni mediche su quando inizi la vita e da quelle religiose, Rothbard mostra che se consideriamo un feto come avente tutti i diritti di un qualsiasi essere umano, tra cui il diritto di non essere ucciso, allora dobbiamo trovare una risposta alla seguente domanda: quale essere umano ha il diritto di rimanere, non invitato come parassita indesiderato all’interno del corpo di un altro essere umano? Per Rothbard ogni donna può decidere in quale momento quando disfarsi di quello che è un “parassita” indesiderato dal suo corpo.

Per quanto riguarda le droghe Rothbard è molto chiaro: il proibizionismo non ha funzionato nella pratica e nella teoria non è ammissibile. Infatti, lo Stato non può negare a nessuno di assumere quali sostanze preferisce solo perché fanno male o possono portare a compiere atti criminosi nei confronti di altri individui. Oltretutto si sta negando la libertà di un individuo di fare ciò che vuole del proprio corpo. Lo Stato proibisce l’utilizzo delle droghe “per il nostro bene” e per il bene degli altri; ma, se il ragionamento è questo, allora dovremmo poter ammettere anche l’incarceramento preventivo di tutte le persone potenzialmente aggressive e violente e dovremmo altresì proibire tutte le sostanze e i comportamenti rischiosi (ad esempio sostanze come il burro e il gelato) poiché potrebbero far male. La costatazione finale di Rothbard è che alla fin fine, se il ragionamento è questo, sarebbe meglio «mettere la gente in gabbie, in modo che possa ricevere la giusta quantità di luce solare, una dieta corretta, scarpe comode, e così via».

Infine, il classico argomento libertario è quello sulle armi e Rothbard non si esime dal dire la sua. Innanzitutto, poiché ogni persona possiede il suo corpo e le sue proprietà allora ha anche il diritto di difenderla come meglio crede. Però, lo Stato ha eroso continuamente questa prerogativa, non solo negando l’utilizzo di armi da fuoco come armi da difesa, ma anche impedendo di avere con sé coltelli o altri oggetti da difesa. Secondo il pensatore newyorkese, ciò impedisce alle potenziali vittime di disporre di un loro diritto e di essere alla mercé dei potenziali aggressori. Inoltre, poiché nessun oggetto fisico è di per sé aggressivo e qualsiasi oggetto può essere usato per aggredire qualcuno «non è più logico proibire l’acquisto di pistole di quanto lo è proibire il possesso di coltelli, mazze, spilloni e pietre».

(continua nella parte 3 che uscirà nei prossimi giorni)