Libertà individuale. Quanto viene sottovalutata?

“L’indipendenza individuale è il primo bisogno dei moderni (…) la vera libertà moderna. La libertà politica che ne è garante, è perciò indispensabile. Ma chiedere ai popoli di oggi di sacrificare come facevano quelli di una volta, la totalità della libertà individuale alla libertà politica è il mezzo più sicuro per staccarli dalla prima, per poi, raggiunto questo risultato, privarli anche dell’altra.”

Così affermava un grande promotore del pensiero liberale, Henri-B. Constant de Rebecque, in una sua celebre conferenza a Parigi. Constant, in questo suo breve pensiero, concentra tutta la sua attenzione su una questione che forse, oggi, si dà per scontata o ancor più, si tende a sottovalutare; la libertà individuale.

L’uomo “moderno”, può infatti definirsi tale, proprio perché titolare di una serie di diritti individuali che gli “antichi” certamente non vantavano.

Per diritto individuale si intende una insieme di prerogative, “innate” ma garantite anche costituzionalmente, di cui nessuno, astrattamente, potrebbe o dovrebbe essere privato. Il presupposto indispensabile per poter godere di queste prerogative risiede nel concetto di indipendenza, sinonimo a sua volta di auotodeterminazione.

Può definirsi moderno l’individuo italiano?

Considerando che attualmente, vige una visione secondo cui lo Stato, e non l’individuo, debba essere al centro della libertà politica, la risposta non può che essere negativa.

Legittimando lo Stato alla totale disciplina dei diritti individuali non si fa che aumentare il suo potere di regolamentazione e dunque, di “disposizione” degli stessi, lasciando all’individuo un esiguo margine di libertà.
Lo Stato si fa, così, garante delle masse ma nemico del singolo.

Constant, riaffermava ancora,

Il dispotismo statale non ha alcun diritto su ciò che è individuale, che non dovrebbe essere sottomesso al potere sociale”

Un chiaro esempio di quanto detto si raffronta nella questione dei diritti individuali concernenti la c.d. comunità LGBT, soggetta alla continua “demonizzazione” di una determinata espressione sessuale umana, considerata non su base volontaria e individualista ma su base collettivista.

Ancora una volta, collegandoci alle normativa sulle unioni civili, centro di molteplici discussioni e probabili rivisitazioni, le masse, e dunque lo Stato che se ne fa rappresentate, tendono ad imporre un dettame sociale dato per unico su una libertà individuale, limitando di fatto il potere del singolo sul proprio io e sulla propria vita privata. Si viola, cioè, l’essenza dell’intimità umana.

La libertà politica, in poche parole, nel contesto sopracitato, e in generale nel più ampio contesto italiano, non tutela più quella individuale ma la sacrifica e la assorbe piegandola a proprio piacimento.

Ma il diritto individuale non può per sua stessa natura discendere da una decisione autoritaria e, il più delle volte, anche arbitraria, non può essere alla mercé della maggioranza, della quale bisogna certo tenere conto ma senza assurde assolutizzazioni.

L’uomo moderno deve, in conclusione, riappropriarsi della propria “modernità” ossia, della propria indipendenza e ciò può farlo solo ponendo il diritto all’individualità come perno principale su cui basare il sostrato sociale, perché così facendo, non solo non si annienta il singolo ma si preserva anche l’idea stessa di collettività, rielaborata, appunto, come insieme di singoli differenti tra loro e non semplicemente come insieme omogeneo e standardizzato.

La libertà, dunque, di scegliere per sé piuttosto che quella di scegliere per gli altri.

La libertà di essere “io” tra gli “altri” piuttosto che la libertà di essere “io, come gli altri.”

 

Anna Faiola

L’individualismo di genere

Il femminismo è un’arma per mantenere vivo il fantasma comunista: dal genericidio del voler rendere uomini e donne -due universi opposti e complementari- uguali è stata creata una lobby che crea una solidarietà volta al guadagno e al mantenimento dello status quo del politicamente corretto tra chi di questa lobby fa parte e ci guadagna e tra chi, tramite il lavaggio del cervello proposto dalla stessa, crede di fare una cosa giusta sentendovisi appartenente, così tanto da arrivare a straziare il proprio corpo de-generizzandolo pur di perpetrare il suo linguaggio.

Che il femminismo della quarta ondata sia cominciato e sia esploso con il #metoo a fini strumentali, come arma per nuocere ad un presidente che sta ottenendo consensi sempre maggiori, pare ovvio; sono i risvolti dello stesso a fare paura a chi del proprio pene o della propria vagina ne va fiero. Che sesso, soldi e politica vadano a braccetto è un’altra ovvietà, ma dirlo è una sconcezza. Da questo paradigma così ovvio ma così altamente politicamente scorretto ho fatto partire un’intera ideologia volta a difendere il maschio in un mondo dove le femmine sono scorrette a definirsi tali se non aggiungono quell’-ista finale che accompagna ogni aggettivo volto a definire una presa di campo.

Essere individualista comporta un -ista minore nella sua portata rispetto all’essere un’altra forma di -ista o un collettivista: l’individualista deve usare questa desinenza per aggettivarsi, ma è per definizione sé stesso.

Noi donne possiamo essere femministe, oppure si può pensare con la propria testa e con la propria vagina ed essere femmine individualiste accanto a maschi altrettanto fieri di esprimere la propria natura senza essere etichettati per forza come maschilisti.

I maschilisti prima, e le femministe poi, commettono terrorismo di genere escludendo il genere avversario da alcune forme della società civile. Se le donne erano prima escluse dalla vita politica e hanno ottenuto i diritti politici millenni dopo gli uomini, adesso si assiste alla versione opposta, o almeno al suo albore, con strumenti assurdi come le quote rosa, paragonabili ai gradi di invalidità civile.

Promuovendole come strumenti democratici e conquiste femminili, le femministe si sono auto-discriminate; praticamente ammettono di essere inferiori agli uomini e di non riuscire ad ottenere un posto di lavoro nel settore pubblico o una poltrona in parlamento per merito personale. Perfino l’Organizzazione delle Nazioni Unite in ogni offerta di lavoro ha bisogno di chiarire che in caso di parità di requisiti la donna è preferita; sia mai infatti che l’ONU risulti politicamente scorretta!

Pur di rientrare nell’ambito della legalità si scaglia infatti contro qualsiasi reale ingiustizia, o almeno non è capace di mettersi nei panni di chi realmente ha bisogno di difendersi: vengono create convenzioni per le donne ma intanto in alcuni paesi mussulmani queste vengono ancora lapidate per adulterio; Hamas spende i pochi soldi dei palestinesi per creare armi fai-da-te e li manda a morte sicura, ma gli assassini sono gli israeliani che non possono dire di difendersi davanti ai media in quanto si parlava di manifestazioni pacifiche, nonostante ci fossero telecamere a dimostrare il contrario.

La versione dell’ONU è una e l’aggettivo pacifista nasconde forse quel comunista che racchiude il femminismo stesso. Del resto se l’ONU fosse così pacifica e democratica un contraltare per gli uomini vittime di violenza domestica sarebbe già stato creato, o almeno nella CEDAW (Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna) sarebbe stata aggiunta una clausola per scrutare la realtà dei fatti. Per non parlare di oggi, un tempo in cui gli uomini meritano una convenzione per il loro genere che li protegga da accuse di violenza non dimostrabili ed assurde per il fatto che spesso tali accuse piovono su relazioni comprovate nel tempo.

Queste accuse, raccolte sotto l’hashtag #metoo, fanno passare la donna come perenne vittima abusata in un momento di fragilità psichica. Queste femministe saranno contente di aver trovato un modo di guadagnare ulteriore una volta finito di beneficiare dagli uomini che prima di denunciare amavano, ma devono solamente vergognarsi di non ammettere fieramente di essersi prostituite allora e di persistere in tale nobile lavoro castrando il genere maschile. (La prostituta è la più antica lavoratrice del mondo, è una professionista del sesso e viene pagata per dare piacere e non problemi. È notorio che andare a puttane salva tanti matrimoni e dovremmo incentivare questo costume anche legalizzando il settore, piuttosto che giustificare il divorzio.)

In sostanza il mondo non è mai stato così polarizzato su due estremi, e non è mai stato così evidente il contrasto tra ipocrisia e sincerità.

La Natura è varia nelle sue manifestazioni, ma per quanto riguarda il genere dovremmo essere grati di come siamo nati, e ricordarci che siamo anatomicamente fatti per ricevere un solo altro. Siamo individualisti amandoci, perché solo amando sé stessi possiamo amare ed accogliere dentro di noi l’altro. Questa forma di collettività non può essere aggettivata con la desinenza  -ista perché può essere chiamata solamente Amore.

L’individualismo di genere è amore: vi sono coinvolte più persone, ma ne deriva un nucleo unico, chiamato famiglia. E del resto parliamo di due pianeti diversi a comporla, Marte e Venere, azione e compassione (da cum e patior, capacità di sentire insieme); questi restano tali anche nelle coppie omosessuali per i ruoli che vengono presi nella dinamica della coppia. L’amore è tale, trascende, non ha connotazioni etero/omosessuali, rimanendo innegabile che la vita biologicamente nasca da uno spermatozoo e un ovulo.

“Il debito pubblico non è importante, in fondo siamo noi i nostri stessi debitori” – Perché Krugman e Keynes si sbagliano

I debiti, alla fine, vanno ripagati

Quando i dirigenti d’affari giapponesi hanno messo in discussione la politica del loro governo di sfrenato uso del debito pubblico come strumento risolutore, il premio Nobel Paul Krugman ha immediatamente scritto un articolo sul New York Times intitolato “La saggezza economica – o la sua mancanza – dei dirigenti d’impresa”. Krugman sostiene essenzialmente che il governo può spendere, spendere e spendere. Può continuare ad accumulare debito senza mai preoccuparsi di ripagarlo perché lo dobbiamo a noi stessi. Accenna anche che chiunque non riesca a comprendere questa semplice nozione non è sicuramente del suo livello intellettuale.

Le conclusioni tratte dall’economista fanno sorgere almeno due domande: il debito pubblico è davvero diverso da quello privato? E siamo davvero noi i nostri stessi debitori? A queste domande le risposte, usando lungimiranza ed onestà, sono: non nel lungo periodo e no, ben diverse da quelle prospettate da Krugman.

Analizziamo la prima risposta, in cui sosteniamo che in un’ottica di lungo periodo il debito pubblico sia uguale a quello privato e che, come tale, vada ripagato: nonostante lo Stato abbia il monopolio della forza e possa rifiutarsi di pagare il debito, i creditori hanno memoria e, delusi dall’impossibilità di vedersi ripagati, non erogheranno più credito a tale scopo, costringendo i governi ad aumentare le tasse o la quantità di moneta per mantenere il livello di spesa pubblica. In entrambi i casi i cittadini perderebbero potere d’acquisto, per la minore disponibilità individuale di risorse (tasse) o per un aumento smodato del livello dei prezzi (inflazione). Basti notare gli esempi di Grecia e Argentina e l’attuale crisi inflattiva del Venezuela.

La seconda risposta è una protesta contro la disonestà dell’asserzione: “siamo noi i nostri stessi debitori”. Ovviamente viene esclusa la realtà, che non tutti i creditori sono cittadini della nazione e che non tutti i cittadini della nazione erogano credito. Nel caso di investitori stranieri assistiamo a ciò che è accaduto in Grecia (ossia il debito è stato riscosso con la forza, costringendo il paese a vendere moltissimi beni pubblici ad imprese straniere), mentre nel secondo caso si omette che la maggior parte degli investitori appartiene a ceti medio-alti, di fatto la necessità di ripagare alti debiti tramite tasse costituisce una redistribuzione di ricchezza dai ceti più poveri a quelli più ricchi. Di fatto la spesa pubblica, nata per appianare le disuguaglianze, finisce per accentuarle.

Infine, una considerazione sul capitale: l’individuo genera capitale tramite tentativi e scoperta imprenditoriale, processi che richiedono tempo e mostrano che il valore non è infinito e non è generabile tramite alcun strumento governativo. L’imprenditore è il responsabile per l’accumulo e la creazione di capitale, quindi di valore. Quando questo processo viene distorto con interferenze governative, il meccanismo si interrompe ed è inevitabile che il processo di crescita e benessere si interrompa con esso, e le generazioni successive ne soffriranno.

Per questi motivi il debito pubblico non è, come distopicamente sostenuto da Krugman, diverso da quello privato e l’ipotesi collettivistica del debito è tanto errata e pericolosa come i collettivismi che hanno portato l’umanità ad indicibili sofferenze.

Come rendere sconveniente il lavoro nero

Vi è lavoro nero quando un datore di lavoro non versa i contributi pensionistici e assicurativi per suo dipendente e perciò quando non lo assume regolarmente. In questo articolo non si proporrà una soluzione per quel tipo di lavoro nero che non può non essere tale, cioè quando l’attività economica sottostante è di tipo criminale e perciò impossibile l’assunzione di personale in maniera regolare, ma solo di quando l’attività economica è lecita.

Per spiegarvi la mia idea, vi mostro le conseguenze economiche di quando un imprenditore sceglie di assumere regolarmente o irregolarmente un lavoratore dipendente:

  • Se assume un lavoratore dipendente in modo regolare (ipotizziamo il contratto standard e non stage, tirocinio, apprendistato ecc.), dovrà pagare oltre al salario lordo i contributi pensionistici e assicurativi, il TFR e la tredicesima e assumersi altri impegni di tipo contrattuale (tutele crescenti)
  • Se assume un lavoratore in modo irregolare, a lui dovrà corrispondere solo il salario lordo che in questo caso sarà pari a quello netto; dato che ovviamente il lavoratore non potrà pagarci le tasse e la parte di contributi a suo carico. Oltre a questo, l’imprenditore potrà prendere in considerazione il costo del rischio di essere trovato in flagrante e pagare multe o subire altri tipi di sanzioni non solo economiche.

Vi starete forse chiedendo: come si fa a rendere conveniente assumere un lavoratore se assumerlo in modo irregolare ha molti meno costi? Ottima domanda. L’imprenditore quando assume un lavoratore può detrarre dalla base imponibile (ciò che si moltiplica per le aliquote fiscali per calcolare le imposte da versare al fisco) i suoi costi. Perciò, la differenza fra le due opzioni in questo caso non è uguale ai costi precedentemente elencati, ma si deve prendere in considerazione anche l’aliquota a cui è assoggettata l’impresa. L’IRES in Italia è del 24%, perciò ora vediamo la tabella delle opzioni attuabili dall’imprenditore e dei suoi possibili risultati (Calcolo approssimativo):

Scelta

Salario lordo del lavoratore

Cuneo fiscale lato imprenditore

Tredicesima, TFR, ferie pagate

Risparmio fiscale sulla base imponibile (Totale*24%)

Totale costo

Assunzione regolare

1000

320

270

382

1208

Assunzione irregolare

1000

1000

La differenza è di 208€, pari al 20,8% del salario lordo. I calcoli sono approssimativi perché i costi sono diversi a seconda di tante variabili (costo indiretto in termini di burocrazia), ma comunque verosimili. Come si tutelano gli imprenditori che rispettano le regole? Le soluzioni sinteticamente sono 3: una vigorosa, una drastica e una soft (adatta per la politica) che non risolverebbe appieno il problema ma comunque aiuterebbe.

La prima soluzione vigorosa, semplice quanto impraticabile a livello politico, è il passaggio da un sistema in cui i costi dei contributi sono ripartiti fra imprenditore e lavoratore (in sostanza i soldi escono solo dalla tasca dell’imprenditore) a uno in cui sono tutti a carico del lavoratore, a cui ovviamente si accompagnerebbe un aumento dei salari di pari misura per quelli già in essere. Per gli imprenditori il costo rimarrebbe identico e i lavoratori si renderebbero conto del costo di tutti questi contributi e diventerebbe un’esigenza elettorale anche dei lavoratori la diminuzione del cuneo fiscale.

Oltre a questo, per fare diventare questa una proposta drastica bisognerebbe rendere TFR, 13sima e ferie non obbligatori per gli imprenditori ( assolutamente inverosimile ottenerlo a breve-medio termine). Con ciò, ci dovrebbe essere una cancellazione di tutte quelle forme che prevedono sconti fiscali o particolari condizioni di vantaggio per alcuni imprenditori che causano semplicemente distorsioni della concorrenza fra imprese e fra lavoratori e non creano sana occupazione. I contratti di lavoro così servirebbero solo per definire salario, benefits e responsabilità reciproche (pura illusione), e la burocrazia relativa ai contratti sarebbe praticamente azzerata.

Con queste due soluzioni il costo del lavoro regolare diventa minore di quello irregolare, perciò sarebbe economicamente stupido non assumere un lavoratore quando ce ne è bisogno.

La soluzione soft e non efficace economicamente quanto le altre due (fra poco vediamo perché) è la riduzione del cuneo fiscale. Dato che è soft, sarà ed è quella che viene perseguita politicamente per altre meritorie ragioni (dare più competitività alle imprese italiane). Il problema è che solo per ottenere la parità di costi fra lavoro nero e regolare (presupponendo la parità di salari lordi) bisogna abbassare “eccessivamente” il cuneo fiscale.

Hai detto fino ad ora  di azzerare il cuneo fiscale e adesso ti lamenti che si abbassi eccessivamente? Non esattamente. Il cuneo fiscale ha in buona parte la funzione di pagare assicurazioni e pensioni, per cui se le pensioni e le assicurazioni rimangono pubbliche come ora bisogna che qualcuno le paghi, ed è meglio che ognuno si paghi la sua quando ne ha la possibilità dato che rompere questo legame fra versamenti e pensioni e contributi versati potrebbe far cadere qualcuno nella tentazione di pensioni uguali per tutti o retributive. La parità di costo economico fra lavoratore regolare e irregolare con un IRES al 24% si otterrebbe con un cuneo fiscale più costi accessori (ferie, TFR e tredicesima) pari al 31,6% del salario nominale.

131,6 x (100-24) = 100

Dato che di quel 31,6% , 27 sono già occupati dai costi extra, significherebbe avere un cuneo fiscale del 4,6%, insostenibile per le casse dello Stato. Perciò, o si attua solo in parte questa terza misura, o si fa un mix fra questa misura e quelle precedenti, o il problema rimane.

Alla classe politica l’ardua scelta.

 

Articolo 41. L’iniziativa economica privata è davvero libera?

Articolo 41. L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

 

Questo è l’articolo 41 della Costituzione Italiana. Notate qualcosa di strano o contraddittorio?

L’articolo, almeno per noi liberali, sembra essere promettente, almeno se ci limitiamo al primo comma.

Ma proprio quando iniziamo ad emozionarci, ecco che arriva la doccia gelata. Nel secondo comma, infatti, si parla di “(l’iniziativa economica privata) non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale”. Che cosa vorrà dire? La Costituzione può contenere parti astratte considerati degli obiettivi programmatici e sia parti con contenuti rafforzati e ben precisi.

Giusto per fare qualche esempio.

Nel primo caso, rientra il secondo comma dell’articolo 3

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Nel secondo caso, rientra l’articolo 17

I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.

Ebbene, l’articolo 41 è una via di mezzo che rende lo stesso articolo contraddittorio o confusionario. L’iniziativa privata è libera o è limitata? L’utilità sociale è un concetto collettivista, poiché punta al raggiungimento della maggior quantità di benessere per il maggior numero di individui. In realtà, a tal proposito, vorrei riportare due citazioni degni di nota.

L’unico motivo che determina il possessore di un capitale a investirlo nell’agricoltura o nell’industria […] è il proprio profitto.
Adam Smith

Non faccio film per guadagnare soldi. Guadagno soldi per fare film.
Walt Disney

Questo perché la società non esiste, ma esistono le persone, con i loro pregi e difetti, con i loro successi e fallimenti, che plasmano l’ambiente e le istituzioni e che determinano la ricchezza delle nazioni.

L’articolo 41 non è un articolo da sottovalutare, in quanto dietro lo Stato, specie se interventista e socialista, si nasconde sempre la forza politica che governa. Come dimostra il terzo comma, il fatto che spetti al legislatore di “determina(re) i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”, vuol dire che in una Repubblica come quella italiana dominata dai partiti e dai sindacati di categoria, l’iniziativa privata libera, la vera iniziativa economica privata, è pura utopia.

A tal proposito, ritengo opportuno inserire una citazione di Sergio Ricossa

Il collettivista non è contro i consumi in generale: è solo contro i consumi privati, ma è per i consumi pubblici, quelli decisi da lui, dai politici collettivisti come lui

Questo vuol dire che, grazie a questo articolo, qualsiasi governo è legittimato costituzionalmente a “fotterci” l’iniziativa privata. Anzi, visto e considerato che la Costituzione Italiana, almeno per quanto riguarda l’organizzazione del sistema politico, va a braccetto con la Partitocrazia o con La Democrazia dei Partiti, vuol dire che l’iniziativa economica privata è sempre stato nelle mani del potere politico e della forza politica dominante. Considerando che in Italia, dagli anni cinquanta ad oggi (e con oggi intendo proprio oggi oggi), hanno dominato solo forze politiche socialiste, non stupisce il fatto che l’economia italiana, con il passare del tempo, è diventata sempre più lenta, sempre più ostacolata, sempre più maltrattata.

Eliminare quei due commi dall’articolo 41, non risolverebbe tutti i nostri problemi, anche perché sono davvero tante le riforme liberali di chi ha necessariamente bisogno l’Italia che probabilmente una legislatura non basterebbe. Almeno, potremo dire, che siamo riusciti a togliere una delle tante e troppe ipocrisie appartenenti al collettivismo e statalismo italiano.

Capire il Libero Mercato: 10 aforismi di personaggi famosi

Immagina di essere con i tuoi amici e, ad un certo punto, come sempre, inizia il dibattito politico. Nessuno sa cosa sia il libero mercato, ma lo criticano tutti. Per te loro sono tutti socialisti, tu per loro sei uno strano egoista turbocapitalista che vuole la disumanizzazione totale.

Ecco 10 piccoli passi per capire e far capire il Libero Mercato ai profani:

  1. Condannare il libero mercato a causa di ciò che accade oggi non ha senso. Non ci sono prove che il libero mercato esista oggi. Siamo profondamente coinvolti in un’economia pianificata dall’interventismo, che consente ai partiti di ottenere importanti benefici dal punto di vista elettorale. Si può condannare la frode e il sistema attuale, ma devono essere chiamati con i loro nomi propri: inflazione keynesiana, interventismo e corporativismo. [Ron Paul]
  2. La generazione di oggi è cresciuta in un mondo in cui, sia tramite la scuola che nella stampa, l’imprenditorialità è stata rappresentata come attività disonesta e cercare il profitto è stato definito un atto immorale, e dare un lavoro a centinaia di persone è considerato sfruttamento, ma è considerato onorevole far dare ordini allo Stato ad altrettante persone. [Friedrich Von Hayek]
  3. La nostra libertà di scelta in una società competitiva si basa sul fatto che, se una persona rifiuta di soddisfare i nostri desideri, possiamo rivolgerci a qualcun altro. E non può avvenire con un monopolio statale. [Friedrich Von Hayek]
  4. La grande virtù di un sistema di libero mercato è che non importa di che colore siano le persone; non importa quale sia la loro religione; importa solo se possono produrre qualcosa che vuoi comprare. È il sistema più efficace che abbiamo scoperto per consentire alle persone che si odiano l’un l’altra di confrontarsi e aiutarsi a vicenda. [Milton Friedman]
  5. Tutti i sistemi sono capitalisti. È solo una questione di chi possiede e controlla il capitale – che sia un re, un dittatore o un privato. Dovremmo concentrarci sul contrasto tra un sistema di libero mercato, in cui gli individui hanno il diritto di vivere come re se hanno la possibilità di guadagnare quel diritto, e un sistema in cui l’economia è controllata dallo Stato, come nelle nazioni socialiste. [Ronald Reagan]
  6. Ci son 4 modi per spendere i soldi. Puoi spendere i tuoi soldi per te stesso: in tal caso, sarai davvero attento a cosa starai facendo e cercherai di avere la massima resa per la tua spesa. Oppure, puoi spendere i tuoi soldi per qualcun altro: per esempio, io ho comprato un regalo di compleanno per una persona; in realtà non ho grande interesse per il contenuto del dono, ma sono stato molto attento al costo. Altra possibilità, tu puoi spendere i soldi di qualcun altro per te: e allora se puoi spendere i soldi di qualcun altro per te stai sicuro che ci scapperà una bella mangiata al ristorante! Infine, io posso spendere i soldi di qualcuno per un’altra persona ancora; e se io dovrò spendere i soldi di uno per un altro, non sarò preoccupato a quanto ammontino, né sarò preoccupato su come li spendo. E questo è quel che fa lo Stato. [Milton Friedman]
  7. Il libero mercato è una rete di scambi volontari e gratuiti in cui i produttori lavorano, producono e scambiano i loro prodotti per i prodotti degli altri attraverso prezzi volontariamente raggiunti. [Murray Rothbard]
  8. Il benessere degli Stati Uniti non fu creato dai sacrifici pubblici per il bene comune, ma dal genio produttivo degli uomini liberi che perseguivano i propri interessi personali e la realizzazione del proprio destino. [Ayn Rand]
  9. Il fatto centrale più importante su un mercato libero è che nessuno scambio avvenga a meno che entrambe le parti non ne traggano vantaggio. [Milton Friedman]
  10. Più lo stato pianifica, più l’individuo si trova in difficoltà nell’organizzare la propria vita. [Friedrich Von Hayek]

Liberalismo e Anarchia: analogie e differenze

Negli ultimi anni si è potuto vedere come i movimenti per la libertà e quelli per l’anarchia si siano avvicinati, dando luogo a gruppi sempre più gremiti di libertari e simpatici anarco-capitalisti. Cosa li unisce? Cosa li differenzia?

Facciamo un passo indietro, perché è già avvenuto che il Liberalismo e un altro movimento si accostassero: in seguito alla Rivoluzione Francese il liberalismo si è trovato in stretto rapporto con il movimento per la democrazia ¹; entrambi chiedevano l’abolizione dei privilegi e lottavano per le costituzioni.

In quelle lotte i liberali e i democratici hanno condiviso il mezzo, tuttavia mantenendo due differenti fini da raggiungere: il liberalismo pone l’attenzione sulle funzioni del governo e sulla limitazione del potere, mentre per i movimenti democratici la questione centrale è quella di chi debba detenere il potere.

In parole povere: i democratici chiedevano che al Re si sostituisse il Popolo, conferendo alla volontà popolare la scelta dei governanti e, dunque, dei provvedimenti da adottare. Adatto alla situazione è Tocqueville, il quale ha egregiamente illustrato quali siano i problemi della democrazia pura e di come possa diventare facilmente una dittatura della maggioranza.

Torniamo al presente. Ora inizia ad essere più semplice riconoscere i liberali dai democratici, oggi conosciuti -causando molta confusione- come “liberals“; e quasi per ironia c’è la compensazione dall’altro lato, dove si iniziano a confondere i confini fra liberalismo e anarchia, causando non pochi problemi a chi si approccia al mondo della Libertà.

Chi mi sta leggendo ed è libertario sino all’estremo probabilmente storcerà il naso a questa citazione di Hayek ²:

Il liberalismo si distingue nettamente dall’anarchismo e riconosce che, se tutti devono essere quanto più liberi, la coercizione non può essere eliminata, ma soltanto ridotta al minimo indispensabile, per impedire a chicchessia di esercitare una coercizione arbitraria a danno di altri.

I movimenti anarchici tendono all’annullamento di tutte le leggi statali, mentre i liberali chiedono la loro minimizzazione a quelle necessarie e fondamentali. Ora sorgerebbe un’affermazione in contrasto alla mia nel lettore anarchico o volontarista: se si inizia a fare leggi in maniera arbitraria, benché minime, non si finisce più! E invece non è così o, meglio, sono sbagliate le premesse: le norme volute dal liberalismo non sono decise in maniera arbitraria o costruttivista, bensì sono suscettibili di essere scoperte, così come ogni legge nella Natura.

Il NAP (Non-Aggression-Pact: Principio di Non Aggressione) non è abbastanza per mantenere in piedi il comune vivere degli individui, è dunque necessario cercare le leggi intrinseche nelle relazioni degli esseri umani intraprese con altri o con l’ambiente circostante.

Un suggerimento, geniale ma al contempo evidente in sé, arriva sempre da Hayek³:

La fede nell’esistenza di norme di mera condotta, suscettibili di essere scoperte (e quindi non frutto di una costruzione arbitraria) poggia sul fatto che la grande maggioranza di queste norme è sempre assolutamente accettata.

Ovviamente ci si riferisce a norme individuali, sulle quali siamo veramente tutti abbastanza d’accordo: chi potrebbe ritenere lecito uccidere, rubare il frutto del lavoro di un altro o infrangerne le libertà?

Invece, quando si passa dal particolare (l’Individuo) all’universale (l’umanità, la collettività) il discorso si complica per ciascuno, poiché quel che si chiede sarà sovente in contrasto con le norme di mera condotta individuali: come si potrebbe sostenere la redistribuzione della ricchezza, l’espropriazione, l’imposizione di una volontà sulle altre?

Ecco, dunque, che se il lettore anarchico o estremamente libertario mi stava leggendo storcendo il naso, ora è probabile che guardi con meno diffidenza la mia posizione. Indubbiamente per molti anni, forse per qualche secolo, liberali e anarchici lotteranno fianco a fianco per il raggiungimento di fini comuni: la diminuzione della burocrazia, l’abbassamento del carico fiscale, l’emancipazione dallo Stato.

Alcuni sostengono che il liberalismo possa essere un passo verso l’anarchia, non ne escludo la possibilità, ma reputo sia altamente improbabile: per evitare la coercizione altrui sarà sempre necessaria una minima coercizione che imponga il rispetto delle norme di mera condotta.

Pertanto, se le differenze si fondano sia sui principi sia sugli obiettivi, l’applicazione dei principi di ambe le parti conduce ad una strada che pare essere la stessa lungo una buona parte del tragitto: oggi la libertà del cittadino è talmente limitata, sia nell’ambito civile sia in quello economico, ma persino in quello privato, che non si possono ignorare il positivismo giuridico, il dirigismo, il capitalismo di Stato, le sovvenzioni per categorie, il protezionismo, la diversificazione del trattamento fiscale a seconda di chi si è o cosa si fa e… la lista potrebbe continuare per altre centinaia di righe.

Alla luce di ciò, è indiscutibile e insindacabile la tacita alleanza fra liberalismo e anarchia, purché rimanga chiaro il confine fra i due campi d’idee, per dar semina della cultura insieme e cogliere i frutti da scagliare contro il collettivismo prima che questi distrugga definitivamente le nostre libertà.

1: Liberalismo, p.54, Friedrich Von Hayek
2: ibidem
3: ibidem

Sanità Pubblica. Troppo costosa, poco efficiente

Per ogni cittadino la sanità pubblica costa circa 2300€, per una famiglia composta da tre persone costa circa 6900€ e per una famiglia composta da cinque persone costa circa 11500€.
Per ogni cittadino la sanità privata costa circa 666€, per una famiglia composta da tre persone costa circa 2000€ e per una famiglia composta da cinque persone costa circa 3300€.

Questi sono i costi enormi della sanità pubblica e privata per ciascun cittadino. Cifre molto alti se consideriamo che viviamo con un sistema sanitario pubblico e universale. Non solo, ma la spesa sanitaria è la seconda voce della spesa dello stato, dietro solo all’assistenzialismo e alla pensione.

Possiamo considerarci soddisfatti da questa sanità?
Facciamo un piccolo elenco
– Anarchia sulla gestione assunzioni e corruzione
– Attesa infinita liste d’attesa per una visita
– Impossibilità nel garantire il servizio sanitario nazionale

Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è organizzato e governato da un governo centrale, dai 20 governi regionali e dallele Aziende sanitarie locali (Asl). Uno dei principi fondanti del SSN è garantire gratuitamente un servizio di assistenza, soccorso e cure per tutti i cittadini del territorio nazionale. Tutto bello, tutto affascinante, peccato però che per far funzionare la sanità pubblica servono tre requisiti fondamentali:
– obbligare i medici al servizio pubblico a discapito di quello privato (come avviene nelle regioni particolarmente socialiste, come l’Emilia Romagna);
– più soldi pubblici;
– che non tutti vadano a curarsi.

Fateci caso, ma la sanità pubblica soffre particolarmente proprio quando si tratta di cure di basso rilievo (tempi lunghi d’attesa) e totale disorganizzazione (vedi pronto soccorso). Nei casi più gravi, la qualità migliora e il servizio è più veloce, ma questo dipende da regione a regione.
Insomma, per far funzionare la sanità pubblica bisogna evitare di fare i controlli di routine e bisogna sperare di non ritrovarci con una grave malattia o un brutto infortunio.

Cosa fare? Io non sono per il classico sistema americano, ma ritengo che l’Italia abbia bisogno di un sistema sanitario nuovo e che sostituisca quello vecchio, cercando di garantire il diritto di salute per tutti.

Prima Soluzione: Riformare il ruolo dello Stato

Lo Stato non è più in grado di gestire il servizio sanitario e la politiche del “servizio convenzionato ASL” presente nei studi clinici privati non bastano più. Riformare il ruolo dello Stato vuol dire istituire l’Autorità Indipendente del Privato Sociale. Il privato sociale è un’azienda autonoma, garantita pubblicamente e controllata nelle sue risorse e nei suoi esiti sociali secondo criteri stabiliti come bene comune nel momento pubblico universalistico. Tutte le aziende sanitarie private potranno ricostituirsi come società di privato sociale e, godendo di una tassazione particolarmente bassa, dovranno rispettare alcuni parametri di qualità. Ciascun cittadino potrà decidere, ogni anno, quale debba essere la sua organizzazione di privato sociale adatta per le sue esigenze.

Seconda Soluzione: Buono Salute per i più bisognosi

Se è fondamentale l’aspetto del ruolo dello Stato, non meno importante è la questione che riguarda il cittadino, specie se in difficoltà economiche. Questo perché bisogna garantire il servizio anche per coloro che non si possono permettere di curarsi. Pertanto, serve il Buono Salute, un ticket da sfruttare solo per visite, assicurazioni ed eventuali abbonamenti sanitari. Con il Buono Salute, lo Stato risparmierà moltissimi miliardi di euro. Perché? Secondo l’ISTAT, nel 2016 erano circa 4 milioni e mezzo gli italiani i poverissimi. Ebbene, proviamo ad immaginare un Buono Salute del valore di 2500€ annui: costerebbe allo Stato (e ai cittadini) solo 11 miliardi di euro, contro i 117 miliardi di euro spesi dalla sanità pubblica.

Terza Soluzione: Valorizzare il Welfare Aziendale

Fondamentale sarà anche lo smantellamento dell’attuale welfare state che contribuisce ad appesantire i cittadini che pagano le tasse. Una terza soluzione necessaria è quella di far scegliere agli imprenditori, insieme ai suoi lavoratori, quale welfare privato aziendale scegliere. Questo tipo di soluzione permetterebbe di ottimizzare i costi per l’azienda e per il lavoratore grazie ad un servizio sanitario che riguardano aspetti frequenti come le cure odontoiatriche; supporto in caso di patologie croniche; check up e prevenzione generale; servizi per la maternità; assistenza infermieristica domiciliare.

Senza lo Stato, chi costruirebbe le strade? Domino’s Pizza.

Molti libertari ci seguono, dunque è giunta l’ora di trattare un tema a loro molto caro: chi costruirebbe le strade se non lo facesse lo Stato?  Se sei un libertario da oggi in poi potrai argomentare alla perfezione la tua tesi, perché a quanto pare in America la seconda catena di pizzerie al mondo ha deciso di aggiustare le strade per evitare che ai clienti arrivino pizze tartassate durante il viaggio a causa delle buche.

La campagna si chiama “Paving for Pizza” ed è stata ampiamente condivisa in tutto il web negli ultimi giorni, probabilmente perché è molto sentita la frustrazione di quando la pizza arriva a casa maciullata, con il formaggio spiaccicato ovunque sulla scatola di cartone e assente nella pizza.

Prima di questa campagna, Domino’s aveva lanciato un’assicurazione che proteggesse la pizza del consumatore dalle strade dissestate, tuttavia bisognava comunque inviarne un’altra e non era poi così redditizio, né si risolveva il problema alla fonte.

In un solo giorno hanno riparato 50 buche fra Texas, Delaware e California. In Italia probabilmente sarebbero stati fermati e multati, e la buca riportata nelle condizioni iniziali. O, forse, per ogni buca avrebbero dovuto aspettare qualche mese prima che un burocrate comunale desse una risposta, dopo minuziosi studi di fattibilità compiuti senza neanche aver guardato il luogo indicato.

Tornando alla domanda iniziale, con cui i socialisti di tutto il mondo tartassano i libertari, fino ad oggi era difficile fare un esempio importante in cui un’azienda del XXI secolo si fosse fatta carico della costruzione o riparazione di strade (in realtà accade tutti i giorni che delle aziende costruiscano strade di vari generi, ma questo caso ha dell’eccezionale), anche perché è difficile che qualcuno si curi di un bene pubblico da cui non avrebbe alcun ritorno economico.

E, invece, siamo tutti testimoni di una grandissima vittoria del profitto, del libero mercato, del capitalismo.  Domino’s Pizza ha un buon motivo per riparare le strade: soddisfare i clienti e far sì che preferiscano il loro servizio a quello della concorrenza. Quali buoni motivi ha lo Stato per riparare le strade? Nessuno. E si vede, siccome vengono dimenticate al loro destino per anni.

Lo Stato non ha alcun buon motivo né incentivo per soddisfare chi paga le tasse con ottimi servizi, perché il cittadino dovrà pagare lo stesso sia quando il servizio è buono sia quando è cattivo. Dunque, per quale motivo rendere un buon servizio se il cliente non può sottrarsi al pagamento? E non passiamo a frasi come “se però le cose fossero così e colà” perché è giusto rammentare che siamo in Italia e, forse un po’ qualunquisticamente, siamo un popolo di furbi.

Io, però, non sono libertario ma liberale classico, dunque partendo dal presupposto che non saprei cosa accadrebbe se le strade venissero lasciate in balia dei privati, prendo un pochettino le distanze da questa linea di pensiero e guardo con simpatia tutto l’accaduto.

Per lo meno, i libertari ora possono stare tranquilli sapendo che la prossima volta che ci avvicineremo alla famigerata domanda sulle strade, potranno guardare a Domino come un faro di innovazione del libero mercato.

Caro lettore, se abiti a Roma o in un comune con delle strade che sembrano appena uscite da un bombardamento, chiedi agli amministratori comunali di aprire le porte a queste grandi aziende. Potrebbero fare il lavoro che loro non fanno (e per cui sono pagati).

Intervista a Daniele Priori di GayLib

Ho avuto una piacevole conversazione telefonica con Daniele Priori, referente per l’associazione GayLib Italia per discutere di quanto accaduto al RomaPride 2018 del nove giugno scorso e per riflettere sulla situazione italiana concernente i diritti individuali.

Daniele, volevo farti qualche domanda sull’accaduto perché ritengo che siate stati ingiustamente allontanati dal corteo in una maniera così becera e vi ribadisco la vicinanza della nostra associazione sia in quanto liberali sia in quanto attenti ai diritti individuali. Molto spesso pensano che i liberali parlino solo di economia quando invece i diritti dell’individuo sono fondamentali…

Sai, purtroppo questo è un errore figlio della storia del pensiero liberale italiano. Si sono un poco abbandonate certe tematiche e questo è uno dei motivi per cui se ne è appropriata la sinistra, anche in una maniera indegna, perché se si va a vedere la storia del Partito Comunista insomma… dai regimi di sinistra gli omosessuali hanno subito le peggiori cose.

Innanzitutto, volevo chiedervi cosa sia successo al Pride e perché siate stati allontanati, ma soprattutto perché vi hanno tacciato di fascismo cantandovi “Bella Ciao” come la cantavano i partigiani ai nazifascisti.

Per essere precisi la mia associazione non aveva aderito a questo Pride, avevamo aderito ad altre manifestazioni in passato come l’Europride 2011 ma dal 2012 non siamo più riusciti ad aderire a nessun Pride romano; in altre parti di Italia il la situazione è più distesa e c’è più confronto, ma Roma è divenuta una piazza infrequentabile anche perché il movimento è stato cannibalizzato da quelle aree “antagoniste”, da non intendere come un insulto. Un’ area molto organizzata che si appoggia al Circolo Mario Mieli, il quale organizza eventi di cui alcuni molto belli e interessanti, ma che definisco antagoniste perché si rifanno alla sinistra extra-parlamentare. Considera che insieme a noi sono stati allontanati anche esponenti moderati del PD perché credevano che facessero parte della nostra associazione… Quello che è successo a noi è stupido, non riesco a trovare altre parole. Eravamo presenti solo con una bandiera per essere solidali con l’evento e siamo andati senza nessuna volontà di provocazione. Pensa che il 17 maggio scorso abbiamo organizzato un incontro alla Camera dei Deputati grazie alla Vicepresidente della Camera Mara Carfagna invitando tutte le associazioni per la giornata contro l’omo-transfobia e tutte le associazioni si sono presentate, tranne chi mi ha poi allontanato, e mi hanno ringraziato in quanto organizzatore dell’evento. Tutto pensavo tranne che a questo finale… non avevamo striscioni, solo una bandiera. Credo che un uomo con una bandiera possa muoversi liberamente all’interno del corteo, quando invece mi hanno detto che io volevo provocare…

Capisco l’amarezza, una manifestazione che dovrebbe essere inclusiva…

Esatto, una manifestazione contro la discriminazione in cui accade il contrario.

Coloro che manifestano contro la discriminazione divengono i discriminatori solo per l’appartenenza politica.

Figurati che quest’anno ricorre, per così dire, il decimo anniversario da un fatto simile, quando non ci hanno permesso di partecipare al Pride di Lubiana del 2008. Eravamo in Friuli a commemorare Pim Fortuyn, leader della destra olandese, omosessuale dichiarato e assassinato nel 2002 che per le sue posizioni sull’Islam e l’integrazione dei musulmani fu tacciato erroneamente di essere xenofobo, quando invece proponeva un modello di integrazione nuovo per l’Olanda anche alla luce di alcuni episodi a Rotterdam in cui le coppie omosessuali non potevano andare in giro per mano perché venivano aggrediti. Per questa nostra partecipazione non ci permisero di partecipare al Pride di Lubiana perché eravamo persona sgradite. Dieci anni dopo a Roma succede quasi la stessa cosa.

Quasi un marchio che vi hanno lanciato addosso da tempo.

Sì, assolutamente. Anche se poi pensi sempre che il tempo faccia pulizia di queste “perversioni mentali”.

Riguardo l’associazione, dato il fatto che siete una realtà particolare all’interno del panorama delle associazioni per i diritti degli omosessuali per il vostro ascendente liberale, volevo chiedervi perché avete sentito il bisogno di proporvi, anche nel nome, come alternativa liberale sia migliore e in cosa si differenzia un approccio di questo tipo al tema dei diritti individuali rispetto a quello proposto dalle altre associazioni?

In maniere molto semplice potrei dirti perché “il mondo è bello perché è vario”. Noi crediamo che l’essere liberale non sia assolutamente antitetico all’avere un orientamento omosessuale né a qualsiasi altra battaglia per i diritti civili. Anzi la battaglia per i diritti civili è un caposaldo del liberalismo. I diritti civili sono i diritti dell’individuo ma soprattutto i diritti della persona. Io non riesco a fare tanta distinzione tra i diritti civili, i diritti umani e anche alcuni di quei diritti sociali che fanno parte ad esempio della dignità del lavoro e te lo dico da liberale, anche se qualcuno mi dice che sia una cosa socialista. Per esempio, un grande tema che GayLib ha portato nel dibattito è quello sulla diversity nel mondo del lavoro che all’estero c’è ed è rispettata. In Italia non sanno nemmeno cosa sia e forse non lo sanno anche i militanti di queste associazioni di sinistra. Ma in Italia purtroppo molti pensano a fare gli antagonisti… anche se per fortuna ne sto conoscendo molti che si approcciano seriamente alla dignità dell’individuo e alla libertà dello stesso… Mentre a sinistra continuano a fare tante ed infinite distinzioni in cui di mezzo ci vanno sempre le libertà e gli individui.

Per quanto riguarda il vostro programma come associazione, che posizioni avete?

Alcune delle tesi che puoi trovare oramai sono vecchie di vent’anni e stiamo ragionando e cercando di elaborarne di nuove per portare nuovi ingredienti all’interno del dibattito. Basti pensare al fatto che vent’anni fa non si parlava di step-child adoption o di maternità surrogata e avere una posizione seria e concreta su questi temi ha bisogno di discussione. Stiamo cercando di elaborare una nuova linea. Ma ci siamo mossi su altri fronti: grazie al mio contributo e a quello di Mara Carfagna e di Francesca Pascale, nel 2014 abbiamo fatto sì che Forza Italia, che rimane un partito di ispirazione liberale, si dotasse del Dipartimento di Libertà civili e diritti umani.

In conclusione, cosa manca secondo te nel panorama italiano per fare il salto di qualità nella questione dei diritti individuali?

Oggi ti potrei dire che, paradossalmente, la situazione è peggiore dell’altro ieri molto peggiore di ieri. Ci troviamo in un passaggio della storia in cui concetti e temi che sembravano archiviati come il razzismo sono tornati di attualità. E la cosa che mi inorridisce è il fatto che se non fai la “faccia brutta” davanti ad una persona di colore sei un “buonista”. Penso il mio impegno come militante per i diritti civili non possa prescindere dal tendere la mano ad un fratello africano, ad esempio. È un individuo che lotta per la sua libertà e il suo futuro e chi siamo noi per negarglielo… Poi, sul tema dei diritti individuali, chi è che nel 2018 pensa di poter fermare quei movimenti naturali che esistono da sempre? Penso che il processo di liberazione degli individui e di pacificazione dei paesi avrebbe dovuto portare a superare questa situazione e invece non è così. Ciò che manca in Italia è una tutela vera e propria a livello legislativo per quanto riguarda l’omofobia e la transfobia: c’è la legge Mancino che riguarda l’odio razziale e una soluzione potrebbe essere quella di allargarla. Ad esempio, grazie a noi di GayLib e all’Arcigay dal 2010 esiste l’OSCAT, un osservatorio della polizia e dei carabinieri contro gli atti discriminatori che grazie alla collaborazione di Manganelli e a Maroni, allora ministro degli interni del governo di centrodestra dell’epoca, si occupa di monitorare le varie denunce e di formare anche i corpi di polizia sul tema. Altra cosa importante è il fatto che nel luglio 2015 la Corte Europea dei Diritti Umani abbia emesso una sentenza contro l’Italia, in relazione al diritto di contrarre un’unione sanzionata e riconosciuta dallo Stato per persone dello stesso sesso, in seguito a dei ricorsi di alcune coppie gay italiane. La prima coppia italiana che ha portato avanti questi ricorsi è una coppia formata dal presidente della nostra associazione Enrico Oliari e dal suo compagno. Grazie a questa sentenza il Parlamento italiano si è poi smosso per pronunciarsi sulle unioni civili nella scorsa legislatura.